"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Domini collettivi: se fosse in loro la ragion pura di eccellenza e autonomia?

Roana, cartello usi civici

di Marta Villa *

Gli spunti proposti dall’editoriale (Corriere del Trentino del 7 febbraio scorso) del prof. Michele Andreaus mi hanno sollecitato: da vent’anni faccio ricerca etnografica nelle Terre Alte documentando e analizzando strategie di adattamento a un territorio liminale, quello montano, e mi sono confrontata con i concetti di autonomia ed eccellenza. Vorrei qui proporre un ulteriore spunto di discussione, dal mio punto di vista, storico-antropologico.

Concordo che queste parole sono sulla bocca di molti, vittime di strumentalizzazioni. Mi inserisco quindi nel dibattito per articolare maggiormente la prospettiva e per rilanciare, guardando al futuro, una declinazione che è stata vetrificata: un ninnolo, certamente, e, aggiungo io, da musealizzare come quegli idola provenienti da culture lontane che, suscitando in noi paure ancestrali, vengono esorcizzati riponendoli all’interno di scatole. Autonomia ed eccellenza invece possono essere parole di una potenza straordinaria, se ricollocate all’interno di processi decisionali partecipati e vitali.

Nelle mie ricerche compiute in Trentino mi sono imbattuta spesso in forme di governance eccellenti e autonome. Si tratta dei Domini collettivi, delle Regole, degli Assetti fondiari collettivi, delle Proprietà collettive, degli Usi civici… quante parole per definire un medesimo altro modo di possedere e di occuparsi del territorio proprio! Le trovo vivissime nel passato, emergenti dagli archivi, in prima linea a difendere una specifica visione del mondo, combattive… Le ritrovo oggi capaci di autogoverno, autentici laboratori di democrazia ribollente. Una mia informatrice (parole vive dal “campo”), molto più efficaci di mille teorizzazioni, mi disse nell’ottobre 2018: «Le elezioni più importanti per me non sono quelle di domenica. Quelle non mi interessano, potrei anche non andare. Ma quelle del consiglio della mia ASUC, sì! Io voto scegliendo le persone, che devono essere galantomini, perché vanno a decidere sui beni di tutti, e tra noi ci conosciamo e sappiamo a chi affidare queste cose».

Sembra difficile parlare in Trentino di queste forme di governance autonoma: nel resto del globo le Commons sono guardate come luoghi dove si è capaci di conservare senza dissipare, c’è un concorso di collaborazione tra esseri umani e natura per il mantenimento e lo sviluppo della biodiversità, si sperimentano eccellenti forme di resilienza alle crisi. Cosa rende così speciali questi Istituti? In modo provocatorio prendo a prestito le parole di Baruch Spinoza, che oggi più che mai ci permettono di capire il significato profondo di questi enti. Scrive nell’Etica: «non c’è nulla di più utile all’uomo per il godimento della vita razionale, se non l’uomo che è guidato dalla ragione». E ancora dice quanto sia indispensabile «educare gli uomini in modo che vivano finalmente sotto il dominio proprio della ragione». Questa è forse quella ragione vera, pura, sincera che porta a prendersi cura del bene collettivo?

Paolo Grossi e Pietro Nervi spiegano la nuova sfida dei domini collettivi, basata su un’economia antropologica e una antropologia anti-individualista, laboratori di un’educazione alla ragione spinozista. Queste comunità di proprietari sono costruttrici di ambienti vivi (naturali e sociali): predispongono idonei sistemi di protezione per un corretto uso e salvaguardia delle risorse. Alla base c’è un consenso su diverse tipologie e livelli, dibattiti e decisioni collettive, una sorta di controllo sociale cosciente. Mai si è assistito ad un uso spropositato di una risorsa, come invece accade in altri contesti, anche pubblici: la governance autonoma è quindi eccellente dal punto di vista della sostenibilità. I Domini collettivi costituiti da persone e terre/risorse (res frugifera) possono essere visti come un ecosistema culturale dove bios e logos trovano equilibrate consonanze. Ma come spesso accade non basta la Legge (168/2017) per proteggere queste cellule di partecipazione: servono persone che applichino questa Legge e servono persone capaci di rispettare gli Aspetti fondiari collettivi e quindi le terre, i diritti e le decisioni che ne sono espressione. Sono le persone il centro vitale di queste autonomie ed eccellenze! Ecco che quindi concetti vuoti possono trovare corpo: senza le persone autonomia ed eccellenza sono solo flatus vocis! Qui è possibile trovare una forma reale di tutela ambientale, vera resistenza a dominio e sfruttamento distruttivi e predatori, buon governo, autonomo ed eccellente di territori di vita e per la vita.

* antropologa culturale Università degli Studi di Trento

 

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