"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini
Il tempo che stiamo vivendo chiede un surplus di desiderio che attivi energie e fantasia dentro la comunità. Lo stato di un panorama partitico impegnato a difendere ipotetiche rendite di posizione e incapace di essere avanguardia nel governo delle grandi trasformazioni in atto genera però frustrazione e sfiducia, confermati anche dal crollo dell’affluenza al voto nelle recenti elezioni regionali.
È faticoso stare in questo incrocio di emozioni perché da un lato non posso chiamarmi fuori – come consigliere comunale e attivista di Futura – da questa crisi di sistema. Se siamo ancora in questa condizione di fragilità significa che i tentativi messi in atto fin qui non hanno saputo toccare le corde giuste, non hanno cambiato lo scenario, non hanno prodotto l’emersione di nuova classe dirigente.
Dall’altro lato, sarebbe troppo facile accodarsi all’attacco generico alla Politica come unica colpevole. Un esercizio che va per la maggiore senza offrire però un’alternativa credibile (dentro e fuori le istituzioni) per elaborare pensiero e azione politica, per rispondere ai bisogni e ai desideri di ciascuno, per elaborare strategie in grado di resistere e reagire alle tensioni che il mondo contemporaneo subisce.
Per farlo serve più politica. Meglio: serve una rigenerazione delle comunità politiche e sociali del Trentino che non sia impermeabile a ciò che ci succede attorno ma derivi da un’idea forte di interdipendenza con il Mondo, nel rapporto reciproco e generativo con l’Europa, con lo Stato, con la macroregione alpina, con i vicini a nord e a sud. In quest’ottica torniamo a investire in cooperazione e relazioni internazionali? Ci inseriamo convintamente in coalizioni di territori e città che immaginano e costruiscono insieme gli elementi desiderabili del futuro?
Questa rigenerazione deve portare a guardarci onestamente dentro, lì dove la specialità amministrativa di cui beneficiamo deve trovare nuove fondamenta culturali e materiali, e che – pur da un territorio di confine – dovrebbe permetterci non solo di difenderci dai possibili rischi connessi alla cosiddetta Autonomia differenziata ma di proporci come artefici credibili di una nuova fase federalista nel contesto europeo.
Quello che immagino è quindi un Trentino che riscopre e rimette in moto le sue diverse articolazioni: tessuti connettivi di prossimità, comunità operose, filiere di competenze e grumi di progettualità. Riprendiamo in mano il ruolo di Comunità di Valle e Comuni, investendo nel loro funzionamento, in chiave democratica e partecipativa. Non disperdiamo la tradizione e rilanciamo l’attualità del modello cooperativo (nell’agricoltura, nel credito, nell’organizzazione del lavoro) che rischia altrimenti il definitivo appiattimento su modelli di tipo estrattivo. Presidiamo la gestione dei beni comuni come l’acqua, l’energia, il paesaggio, gli spazi urbani, le relazioni: ricchezze (limitate) di questa terra che dobbiamo riportare a una gestione mutualistica, prima che sia troppo tardi.
Solo se questa infrastruttura sarà rimessa in sesto potranno davvero “girare” le idee che devono rispondere alle priorità in agenda.
Ci sono la crisi climatica – non da oggi – e la necessità di affrontare una conversione ecologica che cambierà radicalmente il nostro vivere individuale e collettivo. Candidandosi a governare il Trentino per i prossimi anni occorre affermare che questa conversione non ricadrà sulle spalle delle persone più fragili e che serviranno alleanze tra chi si interroga e agisce per anticipare le prossime crisi.
Sul tema del turismo, dove la suggestione di una Panarotta invernale meta degli “sport in natura” ci dice che nelle difficoltà si possono trovare gli spunti per trasformare le vocazioni della montagna. L’esperienza di Dolomiti Paganella Future Lab è ancora più strutturata e vuole dotare – come dovremo fare in ogni valle del Trentino – la comunità degli strumenti per fare i conti, in anticipo e strutturalmente, con i cambiamenti epocali in atto sapendo intercettare i nuovi indirizzi e investendo in biodiversità.
“Il nostro futuro è una storia da scrivere insieme” si legge nell’intestazione del progetto ed è questo il monito che dobbiamo aver chiaro in mente.
Vale per l’agricoltura, per cui gli ultimi dati ISTAT mostrano una contrazione in numero di imprese e di superficie coltivata. Come proposto per le foreste nel post-Vaia servirebbe un Green Deal (un patto di progettazione e sviluppo) anche per la zootecnia, per la filiera del latte, per la cura dei pascoli e del paesaggio delle terre alte.
Non è diverso il caso energetico. Invece di resistere alla direttiva europea sull’efficientamento degli immobili dobbiamo scegliere di valorizzare le nostre esperienze nel distretto Habitech e nel protocollo Casa Clima per lanciare un diffuso piano di rigenerazione urbana e sociale, che garantisca – facendo leva su un’ITEA ripubblicizzata e riorganizzata – il diritto all’abitare oggi negato a troppi.
Se condividiamo il fatto che l’emergenza climatica rappresenta la più grande incertezza con cui fare i conti è bene dirsi anche che per farvi fronte, la parola chiave è cura.
Dopo decenni di generico laissez faire, la menzogna dietro la doppia promessa di una crescita infinita e di un’automatica redistribuzione della ricchezza è davanti agli occhi di tutti e tutte. Dobbiamo avanzare una proposta politica che abbia nella sicurezza – nella sua accezione più autentica e comunitaria – un pilastro fondamentale.
Sicurezza di un lavoro degno. Sicurezza del posto e sul posto di lavoro. Sicurezza – in assenza di lavoro – di un reddito (di esistenza). Sicurezza di venir assistiti da una sanità pubblica e accessibile, puntuale sul territorio e non precarizzata nella sua infrastruttura fondamentale, il personale. Sicurezza di trovare servizi adeguati ai propri bisogni in ogni fase della vita. Sicurezza di poter trovare dentro il mondo della scuola, dell’istruzione e della cultura contesti stimolanti e gravidi di opportunità. Sicurezza di fronte agli inconvenienti della vita, con reti di solidarietà, sostegno e accompagnamento capaci di non trasformare le fragilità in destini di esclusione. Sicurezza di far parte di una comunità, di vedersi riconosciuta attraverso la stretta relazione tra diritti civili e diritti sociali la possibilità di poter esprimere in pieno la propria personalità, concorrendo concretamente al raggiungimento del bene comune. Sicurezza di non sentirsi soli. Sicurezza di una vita buona, degna di essere vissuta.
Non siamo a buon punto in questa traversata. Troppo lenti, spesso contraddittori, certamente scoordinati. Ecco che allora a poco valgono le promesse (soprattutto se elettorali) e più importante – mi rivolgo all’Alleanza democratica per l’Autonomia, di cui mi sento parte – è spendersi generosamente per prepararci al tempo che ci aspetta, per dar forma all’ignoto restituendo speranza e fiducia a tante e tanti.
Per affrontare sfide così intrecciate non bastano leadership individuali (“il nome”) o ricette preconfezionate. Servono mobilitazioni collettive e cooperative. Chi sente l’urgenza di un cambiamento è bene si faccia avanti ora, disponibile a fare insieme. Solo così potremo dare a questa costruzione politica le giuste premesse, di metodo e di senso.
da https://pontidivista.wordpress.com/
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