"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
“L’Appennino meridiano, fra spopolamento e terre dell’osso”. Abbiamo intitolato così il sedicesimo capitolo di “Inverno liquido”, incrociando letture e pensieri di cui ci hanno fatto dono Franco Cassano, Vito Teti e Manlio Rossi Doria e che non dovrebbero mai mancare nell'avvicinarci con garbo e prudenza alle terre alte del Mezzogiorno.
Un capitolo nel quale abbiamo raccontato storie di migrazioni e ritorni, di risorse finanziarie che impoveriscono e di ricchezze che non si riconoscono, di villaggi turistici inventati ed oggi decrepiti e di comunità che diventano custodi delle loro biodiversità. E di come anche qui, la crisi climatica impatta la fragilità di territori insieme presidiati e lasciati soli.
Abbiamo previsto tre occasioni di presentazione del libro a Cusano Mutri (Benevento), Piedimonte Matese (Caserta) e nel centro storico di Napoli.
Giovedì 23 febbraio, alle ore 18.30, saremo alla Pizzeria Millenium di Cusano Mutri (Benevento) in una conversazione fra Guido Lavorgna e Michele Nardelli, insieme alla Comunità dei Custodi del Monte Mutria.
Il giorno successivo, venerdì 24 febbraio, sempre alle ore 18.30, saremo invece a Piedimonte Matese (Caserta), presso la Biblioteca Diocesana San Tommaso D'Aquino, dove in dialogo con Michele Nardelli ci saranno Vincenzo D'Andrea e Ugo Iannitti.
Infine, sabato 25 febbraio, alle ore 17.00, saremo nel cuore di Napoli, presso la Taverna a Santa Chiara, dove si svolge una Panchina Letteraria dedicata a “Inverno liquido”. In dialogo con uno degli autori, Michele Nardelli, ci saranno Pino Mandarano, Alleanza Slow Food dei Cuochi Campania, Paola Silvi, Forum delle Culture, Vito Trotta, ambientalista e Nives Monda, ostessa e che di questo spazio letterario è l'animatrice.
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L'incipit del capitolo “L’Appennino meridiano, fra spopolamento e terre dell’osso”.
Il senso di sconfitta non mi impedisce però
di immaginare cure e terapie.
Non imbellettamenti, non accanimenti terapeutici,
ma «passione» (quotidiana e notturna)
unita a consapevolezza, a desiderio di progettare,
a immaginazione, a sogno,
quasi come accade agli ultimi abitanti.
Vito Teti
Le terre alte lungo la dorsale appenninica rappresentano uno spaccato non trascurabile di questo paese. Un racconto delle sue contraddizioni, in primo luogo. Di grandi potenzialità, ambientali e culturali, come di emigrazione e di precarietà. Di cantieri stradali aperti chissà quando e diventati strutturali, di tetti in amianto su capannoni abbandonati, di edifici nati vecchi dai quali spuntano armature in ferro ormai arrugginite che prevedevano ritorni mai realizzati. Forse un piano di ripresa e di resilienza sarebbe dovuto partire da qui.
Nello spostarci verso le terre dell’osso, la suggestiva espressione con cui Manlio Rossi Doria descrive le aree interne del Mezzogiorno, vengono in mente le parole di Vito Teti: «La scelta dell’abbandono produce sempre uno scarto. La fuoriuscita non è mai pulita, netta, senza attriti. L’abbandono è un’esplosione, una detonazione lenta che frammenta, frattura, disintegra, incenerisce. L’abbandono pone in questione la struttura del mondo che si lascia; mette in tensione le relazioni; modifica la densità dei luoghi, cambia la morfologia dell’abitato e degli spazi; il loro aspetto formale e i loro usi. Soprattutto, qualcuno resta. Gli abitanti dei paesi calabresi dell’interno si aggirano come ombre e fantasmi in attesa del peggio. Gli ultimi abitanti che resistono sono spaesati nei paesi, esuli in patria, stranieri a loro stessi»... „
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