"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(aprile 2023) Vittorio Bellavite era una figura poliedrica che bene incarnava ciò che un tempo chiamavamo “identità demoproletaria”. Quel pensiero laterale che faceva convivere in un'unica soggettività culture politiche diverse, il Concilio Vaticano II e la teologia della liberazione, il pacifismo e la nonviolenza, l'egualitarismo e l'ambientalismo, nello sforzo tutt'altro che banale di condurre a sintesi pensieri e pratiche di liberazione.
La sua storia politica era quella di molti di noi, il cristianesimo dei poveri, il Movimento Politico dei Lavoratori di Livio Labor, il Partito di Unità Proletaria di Vittorio Foa e Silvano Miniati, l'impegno in Democrazia Proletaria e, conclusasi questa esperienza, la Convenzione per l'alternativa di Milano, la Costituzione Beni Comuni, l'associazione “Laudato si'”. E poi la sua dedizione nel movimento ecclesiale "Noi Siamo Chiesa", parte di quel movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica, di cui era coordinatore e portavoce in Italia, come a riprendere nel suo ultimo tragitto quell'antico filo conduttore peraltro mai interrotto.
Ci sentivamo di tanto in tanto, per raccontarci le cose che stavamo facendo, nel rispetto delle scelte di ognuno, con la curiosità per le nostre strade e la mitezza di chi non ha bisogno di convincere. Nel dire che Vittorio era persona mite non vorrei che lo si pensasse accomodante. Non lo era affatto e nella nostra militanza comune ricordo un sapersi indignare che quasi non ti aspettavi.
E poi Vittorio ci voleva bene. Può sembrare strano dire così. Per questo plurale che mi trovo ad usare per una storia collettiva che non esiste più, se non nei mille rivoli nei quali ciascuno di noi ha scelto di percorrere. E per l'assonanza politica e culturale che Vittorio avvertiva verso “i trentini”, anche quando decidemmo di navigare in solitaria.
Magari non era d'accordo sulle nostre scelte, ma accanto al rammarico c'era stima e curiosità verso il nostro tragitto, vivendo in prima persona la fatica del riconoscersi nelle forme politiche che nacquero dalla diaspora demoproletaria.
Lo ricordo a Trento, in quel fatidico 9 novembre 1989 quando demmo vita a Solidarietà. In quelle stesse ore cadeva il muro di Berlino e finiva una storia, si aprivano grandi speranze che ben presto si rivelarono cariche di nuove insidie e vecchie tragedie. Passaggi epocali, tempi interessanti. Eravamo in dialogo, non più ossessionati dalle diatribe interne ma attenti ad interrogarci sul volgere delle cose.
Lo eravamo anche dieci anni più tardi quando ci ritrovammo in tantissimi alla festa del nostro percorso ventennale alla vecchia cantina di Mezzocorona e fra i nostri amici c'era anche lui (nella foto lo vediamo con il maglione rosso insieme a Stefano Semenzato, Massimo Gorla, Franco Calamida, Emilio Molinari, Patrizia Arnaboldi, Vittorio Agnoletto), fra lo stupito e l'ammirato che quel piccolo vascello avesse retto la navigazione pur nella turbolenza di quegli anni.
Oppure sull'Altopiano di Piné, quando montava la sua tendina in riva al Lago delle Piazze. Per arrotondare uno stipendio di insegnante che non bastava mai per la sua famiglia numerosa, veniva a luglio in Trentino come commissario esterno per gli esami di maturità e, già che c'era, per qualche giorno in montagna da trascorrere insieme o in rapporto con la natura.
Lo voglio ricordare così, con quella forza d'animo che non s'arrendeva di fronte alle prove della vita e con quel sorriso con cui ti accoglieva nel rivedersi anche dopo tanto tempo. Le nostre esistenze sono state ricche, caro Vittorio, di incontri, di relazioni, di impegno per il prossimo. Dense di significato. Anche grazie all'incrocio dei nostri sguardi. Il tuo, di sguardo, lo porterò dentro di me. (m.n.)
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