"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (129)
di Michele Nardelli
Il 15 maggio è stato l'Italy Overshoot Day per il 2023, il giorno in cui questo paese ha superato nei suoi consumi quanto gli ecosistemi sono in grado di produrre. In altre parole, l'Overshoot Day misura l'impronta ecologica di un paese, tanto più pesante quanto prima sopraggiunge nel calendario annuale.
E se quello globale nel 2023 sarà (salvo aggiornamenti dovuti all'incrocio di dati fin qui indisponibili) il 27 luglio, significa che l'impronta ecologica dell'Italia è maggiore della media globale, laddove la classifica dell'insostenibilità vede ai primi posti il Qatar (10 febbraio), il Lussemburgo (14 febbraio), gli Stati Uniti d'America, Canada e Emirati Arabi (13 marzo) mentre agli ultimi (cioè le posizioni più virtuose) la Giamaica (20 dicembre) e i paesi che consumano meno di quanto sono in grado di generare i loro ecosistemi come ad esempioil Burkina Faso o il Madagascar. Nell'immagine allegata avete il quadro dell'impronta paese per paese, con l'avvertenza che questo calcolo non tiene conto che gli Stati sono spesso territori eterogenei1.
Parlare dell'impronta ecologica non è una questione astratta: investe la vita reale delle persone e dei luoghi che abitiamo. Voglio qui solo ricordare che quando ho iniziato a parlare dell'impronta ecologica come criterio di misurazione della sostenibilità di un territorio – se non ricordo male dodici anni fa – ero nel Consiglio della Provincia Autonoma di Trento e di aver proposto in quella sede come la riduzione progressiva dell'impronta potesse diventare un terreno di verifica periodica delle scelte dell'autonomia. Si era anche immaginato che questa verifica potesse essere affidata ad un soggetto indipendente come un'Università o un qualificato centro di ricerca, ma poi non se ne fece nulla anche perché il dato che emergeva relativo all'impronta del Trentino non era poi così lusinghiero come qualcuno avrebbe voluto. Evidentemente si preferiva stiracchiare il concetto di sostenibilità fino a farne una parola vuota e inservibile.
Riconoscere di essere nel territorio dell'insostenibilità avrebbe dovuto rappresentare il primo passo per attivare politiche virtuose di “riduzione del danno”. Purtroppo l'idea di una crescita senza limiti ancora oggi non viene associata alla condizione patologica in cui versa il pianeta: una trasversalità di approccio niente affatto estranea all'omologazione culturale che ha fatto venir meno le condizioni per rinnovare l'anomalia trentina e che ha consegnato il Trentino alla barbarie del “prima noi”.
Allo stesso modo, l'interrogarsi sull'impatto delle crisi sugli ecosistemi, come abbiamo cercato di fare e stiamo facendo – purtroppo nella pressoché totale indifferenza della politica – sul dopo Vaia e sul futuro della montagna trentina, avrebbe potuto segnare un metodo e avviare un percorso di ricostruzione di un tessuto sociale e programmatico che in questi cinque anni è invece mancato. Perché se vogliamo dare una nuova chance ad un Trentino diverso dovremmo partire anche da qui, da un'impronta e da un modello di sviluppo segnato dalla monocultura e anche per questo sempre più insostenibile.
Quando pensate sia l'overshoot day del Trentino? L'ultima volta che l'abbiamo misurato era il 6 giugno. Più di duecento giorni in debito con il pianeta.
1Il calcolo del giorno del superamento per ciascun paese è piuttosto complesso ma se volete saperne di più potete consultare il sito del Global Network Footprint (Country Overshoot Days 2023 - Earth Overshoot Day) dove potete trovare anche lo strumento di calcolo sull'impronta territoriale e individuale.
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