"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (131)
Quel che siamo
Non so quel che accadrà oggi 22 ottobre in Trentino, in questa terra della quale sono stato orgoglioso e che oggi fatico a riconoscere. Perché qui (lo scrivo per le tante persone che frequentano questo blog da lontano) oggi si va al voto per il rinnovo del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento (e del Consiglio della Provincia Autonoma di Bolzano) nonché per l'elezione diretta del Presidente della Provincia e, lo affermo nella speranza di essere smentito, la fotografia che ne verrà non sarà delle più lusinghiere.
Dal 92,51% al 64,05%
Intanto vedremo quante persone andranno a votare e questo non è un aspetto da nulla. L'aria che tira non è buona e la disaffezione alla partecipazione lascia intravvedere uno scenario preoccupante – non nuovo, certo – che per un territorio come il nostro dotato di competenze autonomistiche ampie e crescenti (l'autonomia è sempre differenziata) equivarrebbe alla sua sconfitta. Voglio solo ricordare che la partecipazione al voto per le elezioni provinciali del 1978 raggiunse il 92,51% degli aventi diritto e che nel 2018 (quarant'anni dopo) è stata il 64,05%. Un arco di tempo nel quale un terzo dei trentini ha deciso che chi gestisce le risorse dell'autonomia non è affar suo. Niente male. Se questa percentuale dovesse ancora calare ci sarebbe da chiedersi (a prescindere dallo schieramento vincente) quale possa essere il grado di rappresentatività delle nostre istituzioni. Peraltro, non è affatto un esercizio inutile riconsiderare le percentuali raggiunte dai partiti in base al flusso elettorale.
Effetti del maggioritario
Se penso che quando venne introdotta l'elezione diretta del presidente della Provincia fu presentata come scelta democratica, che avrebbe prodotto una maggiore partecipazione, vien proprio da sorridere. Un'idea che continua ad ottenere consenso, malgrado rappresenti in ogni dove una pericolosa deriva plebiscitaria. Senza peraltro dimenticare le implicazioni dettate dalla logica della “governabilità”, che alterano l'assegnazione proporzionale dei seggi attraverso il premio di maggioranza.
Vecchi paradigmi
Non possiamo poi negare come l'affluenza elettorale sia strettamente connessa alla qualità dell'offerta politica. Mi limito a dire che la crisi dei partiti corrisponde a quella di gran parte dei corpi intermedi e che la crisi della politica rappresenta l'esito dell'incapacità di interpretare quel che accade alla nostra casa comune e dell'inadeguatezza dei paradigmi che hanno sin qui informato il pensiero politico. Le tragedie a cui assistiamo in Europa e nel vicino Oriente sono esattamente il prodotto della marcescenza di paradigmi (quello dello stato-nazione in primo luogo) che dovremo mettere in soffitta.
Chi decide?
Non è affatto trascurabile un altro elemento. Il castello politico-istituzionale che abbiamo costruito nella modernità ha sempre meno a che fare con i luoghi decisionali reali, in corrispondenza cioè con il crescere di ambiti extra-politici che decidono del nostro futuro. Una storia è finita, che ci piaccia o no. Siamo nell'interdipendenza e questo richiede nuovi sguardi, nuove geografie e anche nuovi assetti istituzionali.
Lo sfarinamento
Avremmo dovuto comprendere per tempo i processi culturali che avvenivano nella nostra comunità. Invece si è lasciato che venisse meno l'aspetto principale che ha permesso a questa terra di rappresentare per almeno vent'anni un'interessante anomalia quando nel nord imperversava la destra, quel senso di coesione sociale che era costituito da un assetto comunitario tanto nella dimensione proprietaria (dalle proprietà collettive alla cooperazione, dalla finanza di territorio alle risorse in capo alla provincia autonoma), quanto dalle forme partecipative (quello straordinario tessuto di autogoverno che si prendeva cura in senso ampio della vita quotidiana delle persone).
Errore di comunicazione?
Cinque anni fa in molti hanno creduto che la sconfitta elettorale fosse il prodotto di un errore di comunicazione. Avremmo dovuto ricostruirlo quel tessuto sociale e culturale che ci faceva diversi. Si sa che ricostruire è più difficile che demolire, richiede intanto di essere consapevoli di quel che è avvenuto, di interrogarsi senza reticenze sui motivi e soprattutto che occorre un lavoro paziente e tempi più lunghi di ricostruzione. Tutto questo non c'è stato.
Nuovi pensieri
Cinque anni di governo della destra hanno lasciato il segno. Se n'è parlato. Sanità, casa, scuola, università, cultura, servizi, rilancio di grandi opere costose e dannose, cooperazione internazionale … Invece è sostanzialmente mancata una visione d'insieme, un'idea di futuro. Un vuoto che tende a riprodursi, come effetto di un appiattimento sugli interessi forti, sulle spinte lobbistiche e corporative, ma soprattutto di un pragmatismo privo di pensiero. Occorrono una nuova visione e nuovi pensieri: la cultura del limite, un approccio ecosistemico per leggere il mondo, la nonviolenza, il federalismo responsabile... E l'inderogabile necessità di indagare la natura umana.
Un cantiere per una nuova stagione
Non ho particolari aspettative per questo voto, mi accontenterei che servisse a farci aprire gli occhi e a capire che serve un cantiere delle idee come presupposto per una nuova stagione politica. Il ritrovare il bandolo della matassa per ricostruire un tessuto senza il quale la politica diventa politicismo. Ieri pomeriggio ero a presentare "Inverno liquido" a Vipiteno, città natale di Alex Langer. E' stato un incontro bello e partecipato, dal quale sono uscito con la convinzione che il bandolo si possa trovare. Ho avuto un'analoga percezione l'altra sera nelle parole di Francesco Valduga (che accompagnava Elli Schlein nella manifestazione di chiusura della campagna elettorale), la consapevolezza di questo difficile tragitto e per questo lo voterò. (m.n.)
PS 1. Un lontano ricordo. Quello del 1978 era un autunno mite con splendide giornate di sole. Battemmo il Trentino palmo a palmo, casa per casa, in una campagna elettorale che sembrava senza fine. In mancanza di strumenti più efficaci, c'eravamo presi per tempo e pensammo di stampare una specie di opuscolo che più austero era difficile immaginare, nel quale non appariva nemmeno la lista dei candidati che avremmo inserito in corso d'opera. C'era invece un simbolo che ricordava il terzomondismo e c'era, cosa della quale andavamo orgogliosi, un appello di Beppino Mattei per il voto a Democrazia Proletaria. C'era soprattutto un nucleo di pensiero collettivo che ci avrebbe accompagnati lungo tutta una vita. In molte forme diverse, siamo ancora qui.
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