"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Nei giorni scorsi ci ha lasciati il professor Pietro Nervi, per tanti anni docente di economia e politica montana e forestale all'Università di Trento, professore all'Istituto agrario di san Michele, direttore dell'Istituto superiore di servizio sociale, fondatore della Scuola di Preparazione Sociale nonché del Centro studi e documentazione sui Demani civici e le Proprietà collettive. Negli anni '90 era stato anche presidente dell'Associazione Progetto Prijedor, ambito nel quale avevamo sviluppato un'intensa collaborazione che è successivamente proseguita nel tempo come sguardo sul nostro tempo. Che ci mancherà.
Caro Pietro,
la prima cosa che mi viene riguarda il tuo sorriso, quello che traspare anche in questa tua foto in occasione di una circostanza tanto solenne come il riconoscimento che la città di Trento ha voluto nell'insignirti dell'Aquila di San Venceslao. E con il quale riuscivi ad attenuare anche le parole più severe, perché sapevi esserlo severo malgrado la tua mitezza. Ho sempre pensato che quel sorriso ti venisse dall'ironia con la quale sapevi prendere le cose della vita, che pure contrastava con il rigore che pretendevi da te stesso come dagli altri.
Quella stessa ironia con la quale ti rapportavi benevolmente alla mia persona e al mio impegno politico. Un giorno mi raccontasti di come verso la fine degli anni '70, mi pare nel corso di una delle tante assemblee sindacali di quel tempo, qualcuno ti mise in guardia verso quella testa calda che poi ero io. Perché se i nostri punti di partenza erano distanti, nel corso degli anni in cui abbiamo lavorato insieme, nell'ambito della cooperazione internazionale e non solo, abbiamo imparato a conoscerci e a rispettarci, ritrovandoci in quell'approccio territorialista che poi era l'ambito dei tuoi studi e della tua traiettoria umana e professionale. E, mi permetto di aggiungere, anche politica. Di questa tua benevolenza, parola desueta forse ma per me carica di significato, ti voglio ringraziare.
Come ti voglio ringraziare del contributo di pensiero che hai portato in quegli anni. Ragionavamo insieme sugli effetti della devastazione sociale ed economica nel dopoguerra bosniaco, sul lascito dei vecchi regimi comunisti e sui processi di deregolazione che segnavano quella che un tempo era stata la Jugoslavia. Che cercammo di tradurre in “un disegno – uso le tue parole – di sviluppo integrato ed endogeno del territorio” sul quale far convergere le risorse e i saperi locali. Dove lo sviluppo locale diveniva sviluppo di comunità. Ricordo gli incontri che realizzammo con il mondo agricolo di Prijedor in Bosnia Erzegovina, come spiegavi con passione ed autorevolezza quale avrebbe potuto essere una strategia di rinascita economica. Ricordo il compiacimento nell'incontrare giovani che avevano voglia di rimboccarsi le maniche nel settore primario, ma anche la risolutezza con la quale mandavi al diavolo le autorità locali che preferivano la logica deresponsabilizzante degli aiuti. Pensiero che ispirò la redazione di un manifesto per lo sviluppo locale nei Balcani che presentammo, oltre che a Prijedor, anche in altre città come Sarajevo, Zavidovici, Belgrado, Kraljevo, Pec-Peja, Scutari in collaborazione con le aree dove si andavano sperimentando forme inedite di cooperazione comunitaria.
Quei nostri lunghi viaggi nell'altra Europa erano l'occasione anche per confrontarci a tutto tondo sulla nostra di comunità, sullo stato di salute della nostra cooperazione e di un mondo rurale di cui ti sentivi parte e che andavano smarrendo i propri riferimenti fondamentali. Oppure della politica trentina, che sferzavi con tanto rigore. Perché volevi bene a questa terra e perché lo spirito critico ti portava a cogliere le contraddizioni e le forme degenerative del potere che, nel tempo, si sarebbero manifestate in maniera evidente. E malgrado ti definissi un “cristiano tecnico”, il tuo sguardo era finemente politico. Grazie anche per questo sguardo sulla nostra terra.
Per una vita ti sei occupato di domini collettivi. Il valore di questo impegno va ben al di là del riconoscimento di un istituto giuridico che, mentre veniva guardato con sospetto dalle grandi vulgate politiche (perché non corrispondeva al dualismo pubblico/privato), si è cercato di anestetizzare nelle sue prerogative culturali e materiali. Ciò nonostante, l'idea dell'inalienabilità delle proprietà collettive (o, se si vuole, dei beni comuni) si configura come parte di quel cambio di paradigma che s'impone per uscire tanto da una visione mercantilistica quanto da quella statalistica. Il che ci può far comprendere quanto prezioso sia stato il tuo lavoro di ricerca sulle proprietà collettive che poi, in questa terra, sono essenza costitutiva della nostra stessa autonomia.
Ancora un'ultima cosa, caro Pietro, ti volevo dire. Nel tuo percorso di vita – dall'Università di Trento alla Scuola di Preparazione Sociale, dall'Istituto Agrario di San Michele al Centro Studi e Documentazione sui Demani civici e le proprietà collettive – l'impegno formativo non è mai venuto meno. Eppure, nelle ultime occasioni d'incontro fra noi percepivo oltremodo lo sconforto nell'osservare la crisi dei corpi intermedi e con essi della politica. Personalmente considero quello dell'educazione permanente uno dei temi decisivi, tanto più per una comunità che si voglia immaginare all'altezza della responsabilità di autogoverno che vige in questa terra. Paradossalmente, si percepisce una profonda distanza da parte dei decisori (e più in generale della nostra società) verso questa urgenza, frutto di una navigazione a vista priva di visione talvolta persino teorizzata, che non ci porterà lontano. Tant'è vero che anche gli strumenti legislativi che come Trentino ci siamo dati giacciono talvolta inattuati nei cassetti della Provincia. Posso solo dirti che quell'incessante tessuto formativo al quale ti sei dedicato troverà, anche grazie alla tua testimonianza, nuovi rivoli per innervare di studio e conoscenza la nostra comunità.
Non mi piace la retorica di cui sono pieni i discorsi di commiato. Perché c'è troppa ipocrisia e perché ognuno di noi vive come può le molte contraddizioni che attraversano la propria esistenza. La coerenza è una continua e difficile ricerca dentro ciascuno di noi. Non dovremmo mai prenderci troppo sul serio e per questo quel tuo sorriso è anch'esso un prezioso insegnamento.
E, intanto, buona vita nella stanza accanto.
Michele
Il professor Pietro Nervi in un pranzo collettivo in Bosnia Erzegovina con i responsabili di UNOPS - UNDP
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