"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Soheila Javaheri
Quando percepisco delle sbarre invisibili, mi batto. Sento che angoscia e timore stanno entrando sotto la mia pelle e per distinguermi da loro ho bisogno di prendere le misure delle sbarre, devo percepire la loro dimensione, la distanza da me. È così che è nato il diario di una lettera immaginaria a Gaza.
Io e Jane eravamo sedute in The Albion Bar 15, in una via che porta alla piazza delle panchine bianche e delle piante fresche ma finte, davanti alla Ex School of Art and Free Library of Dudley. “Ex” perché abbandonata da tempo, oltre che messa all’asta dal Comune da due anni per essere venduta e sostituita con degli appartamenti. Abbiamo parlato della Palestina e poi di questo spazio dentro il quale sembrava impossibile poter parlare di Palestina. Jane mi ha raccontato che nella chiesa che frequenta, una delle più aperte in zona, aveva sentito alle sue spalle una donna di mezza età che, maledicendo i manifestanti pro Palestina a Londra, brontolava su questi ingrati che brandiscono una bandiera dimenticando la storia. Io prendevo questo e altri pezzi di notizie e non sapevo cosa farne, sembravano le forme e i colori accumulati in una scacchiera per me impossibile da leggere e distinguere, elementi che in loro presenza non mi permettono di vivere in pace.
L’idea di chiedere alla comunità dei poeti di Dudley di scrivere una “lettera immaginaria a Gaza” è nata partendo da qui. “Immaginaria” perché non riuscivo a vedere chiaramente i volti nella mia mente, le immagini mainstream di Google mi disturbavano e non conoscevo una persona palestinese da vicino; avevo letto, sentito parlare e incontrato a margine di film festival persone provenienti da quel luogo, però non riuscivo a vedere chiaramente dei volti ma solo sfocati, persi tra un grido e l’altro, tra il profumo di cardamomo e rosa, tra olive e mare, tra la nostalgia e la sfuggente verità. Così ho scritto la mia lettera immaginaria, sapendo che ha origine anche nelle tracce del silenzio del mio amico Michele Nardelli oltre che una vaga presenza del suo amico palestinese Ali. Io non ho mai visto Ali, ma sapevo che fa parte della vita politica e personale di Michele e che non molto tempo fa lo ha accompagnato in un viaggio in Andalusia.
Questa terra e la storia che in questi mesi è parte costante della mia vita in esilio nell’isola della Regina che non c'è. Cosi è nata la lettera:
Imaginary letter to Gaza.
La città aperta - Open City.
I tried to imagine you, An image beyond the mainstream. I learned from Italo Calvino that in each city the spirit of a woman lives and gives the city soul, form and name. Gazelle, I imagine you as her, with the same delicacy, elegance and gaze. In front of me, you look at me and can be as you can not be there. Your gaze, your mutism and your fleeting moment of being in this imaginary letter. I start to look at the etymology of the word Gazelle to understand where it comes from.
It seems that each word can have a political referent that needs explanation, clarification, justification. But I just see a Gazelle looking at me, In a fleeting moment, and how can I interpret this instant of silence, her gaze, I do not know.
In front of your beauty and elegance and your colour that reminds me of the waves of the oceans of desert, I can say what connects me to your Gaze, are people and places that I like here in this earth of exile. Like my son Sepanta and his constant need to want to know you better and to understand you, Jane and her wise silence between two words, Peter and his immense sensitivity and intelligence and Francis and his Citta aperta in Dudley. He has a library at the end of the world with the soul, body and name of a woman who walks slowly on the stairs.
In the open city created by Francis and his friends, we will imagine you and your steps in deserts, we will reflect on your Gaze and will read poems and maybe, maybe, feel your silence.
10.04.2024
Soheila Javaheri
Sì, nonostante tutto, Dudley ha una comunità di poeti. Questo paese, al margine di una città faticosa e immensa come Birmingham, ha la sua comunità di poeti che una volta al mese si radunano e leggono poesie che parlano dei loro amori perduti, di nostalgia e anche dei frammenti dei loro tentativi di trovare un spazio in questo mondo, il tutto cercando di veder scorrere l’aria che si muove tra una parola e l’altra:
“Exploring the thin air between
One word and the next”
Rhododendron bushes
POWERLESS RANGERS - JACK MCGOWAN
13 aprile, Brooke’s Bar and Bistro, Saturday Breakfast, April’s theme: Nostalgia.
Siamo sedute una accanto all'altra, Jane ed io. Jane è un'insegnante in pensione che dopo quarant'anni di studio e lavoro a Londra, insieme al suo compagno Peter ritorna nella sua città natia, Dudley. Si stufa spesso del ritmo costante, grigio e depresso di questo posto e dedica il suo tempo a studiare il Sufismo con un gruppo di amici su Zoom e a lunghe camminate negli spazi verdi tra un quartiere e l’altro. Con Jane, alla fine dell'incontro, rimaniamo d’accordo così: lei inviterà i partecipanti a scrivere la lettera immaginaria a Gaza, spiegando come questa esigenza è nata, poi io leggerò la mia lettera e una poesia in Persiano.
Jane tremava mentre parlava e anche le sue mani non riuscivano a stare ferme. Il pubblico (circa quaranta persone che sabato 13 aprile erano venuti al Bar alle dieci del mattino), era sorpreso e il silenzio era assoluto. Faccio molta fatica ad interpretare il silenzio degli inglesi, non riesco a percepire di cosa si riempie, indifferenza, stupore, ira, superiorità. Oppure una misura tra loro e l’impossibilità di qualunque azione, una vergogna che come diceva Bukowski è segno di bellezza. A questo non ho una risposta e credo che non lo saprò mai, è troppo vasto e pieno questo silenzio.
Leggo una parte di uno scritto di Fard al-Dn Ar, parla di Tayfur Abu Yazid al-Bistami, un filosofo e mistico persiano del IX secolo che descrive una verità struggente: “Sei come appari, o come appari sei”. Leggo in persiano, nessuno tranne me in sala conosce le parole in questa lingua, leggo per me, un mormorio, una specie di tentativo per lasciare una traccia che riesca a prendermi quando sono in mezzo all'abisso. Leggere in una lingua che nessuno comprende, mi dà la possibilità di confrontarmi con loro in un silenzio assordante.
Lunedì 29 aprile
L’incontro con Jane è come sempre al The Albion Bar 15 Stone Ste io arrivo in anticipo. Siamo rimaste d’accordo di vederci per un confronto sulle letture del 2 maggio alla libreria di Francis Shepherd, un strano libraio di circa sessant'anni che è organizzatore di sabati di poesia. La sua libreria costituita da libri raccolti qua e là, è un luogo d’incontro e una rarità assoluta in Dudley.
Fatico a respirare, sento le sbarre ma non le vedo, per questo che con venti minuti di anticipo vado a The Albion, per comprendere l’incomprensibile.
Jane, arriva con alcune fotocopie, un discorso proveniente da un festival di letteratura palestinese in una università negli Stati Uniti, una lettera a Rafah, i numeri di morti, feriti e rifugiati pubblicati dall’emittente televisiva Al Jazeera.
- No. Numeri no Jane. Mi fanno impazzire, sono come le sbarre invisibili, non hanno volto, non hanno profumo, non hanno storie.
- E i nomi?
Iniziamo a cercare in rete, troviamo un’iniziativa a Bristol: un gruppo di studenti, radunati in piazza di fronte alla chiesa principale, hanno scritto su dei grandi fogli nomi e cognomi di cinquemila bambini che sono stati uccisi a Gaza. Nel farlo erano accompagnati da canti greci e gregoriani. Lo so che anche la precedente proposta ha un senso, scrivendo un numero. Comprendo le mie incapacità, le mie lacune, le mie ipocrisie, le mie lontananze, le mie contraddizioni.
Chiedo a Jane di contattare gli organizzatori dell'evento di Bristol, magari al posto di ripetere i numeri possiamo leggere alcuni dei nomi che loro hanno già scritto, lei mi dice che va bene, ma poi però non lo farà. Poi le cose andranno in un'altra direzione.
- Quante persone pensi verranno?
- Non riesco a fare una previsione, sul post che Francis ha lasciato sulla pagina Facebook della libreria, ci sono tre interazioni, io e altre due persone.
Mi fa vedere il post di Facebook. Non mi piace la locandina, ripetere un cliché, una città distrutta con le bombe al quale sopra è stato scritto “Una lettera immaginaria a Gaza”.
- Ma sul nostro gruppo whatsapp, dodici persone hanno visto la locandina.
Mi fa vedere i nomi, entrambe pensiamo che piuttosto di concentrarci su quante persone verranno, è importante radunarsi per la Palestina e leggere le poesie.
Trovo l’ultimo libro di Mahmoud Darwish “In presenza dell’assenza”. Il raffinato traduttore Sinan Antoon ha nominato questa “delicatezza travestita in parole” in Poetography: un quadro dipinto con la poesia, molto lontano da autobiografia. E sì… Lui ha vissuto come Bayazid Bastami diceva: integro.
Dopo l’incontro andiamo da Francis per metterci d'accordo sui dettagli. Lui è molto perplesso, dice che non sa quante persone verranno e se ha senso fare tutto questo oppure no. Jane prova a convincerlo, io rimango in silenzio, avevo già detto ciò che dovevo, adesso bisognava aspettare e vedere. Vedo che la pianta di fiori che avevo portato per il Nowruz a Francis e in un urlo di morte, non ha preso una goccia d'acqua dal 20 marzo. Mentre Jane prova a convincere Francis che tutto andrà bene, prendo la pianta e riempio il vaso di acqua.
Jane e Francis sono amici dall'infanzia, lei porterà pane, pomodoro, insalata e olive, con il tè al cardamomo e rosa. Tocca a me: parlo con Franc, l’assistente parigino di Francis. Lui dice che sicuramente verrà, che è importante esserci. Gli chiedo di invitare un suo amico indiano che è maestro di meditazione e yoga, e di chiedergli se sarebbe disponibile a realizzare un silenzio interpretato riguardo questa situazione. Sento che questo crea un “click” in Jane, non comprendo il perché ma nemmeno mi va di comprenderlo.
Ore 18:31 di giovedì 2 maggio, 61 Tower St, Dudley, Saturday Books and Gallery
Francis chiude le porte della libreria a chiave.
- Lascio il mio numero di cellulare.
Scrive il suo numero di cellulare su un pezzo di carta e lo fissa con uno scotch molto fragile. Io immagino che se mio figlio arrivasse per un evento che inizia alle 18:30 con cinque minuti di ritardo e vedesse che le porte sono sbarrate, avrebbe un sguardo di disprezzo e se ne andrebbe via. Un numero di telefono appeso alla porta, senza nessuna spiegazione, non lo potrebbe mai prendere sul serio, andrebbe via.
- Ma sono solamente le 18:31!
- Si, ma sono già venute 4 persone...
Vado sopra, non sono sorpresa, né arrabbiata, ma addolorata sì, un dolore che so che mi devasterà per giorni. Ieri Jane mi aveva chiamata e detto che bisognava avere una persona in fondo alle scale all'entrata e una persona sopra. Diceva che bisognava prendere le misure di sicurezza necessarie visto la situazione del campus studentesco della Columbia University a New York. Le ho detto che va bene, e poi le ho raccontato che ho trovato il libro di Mahmud Darwish e tre romanzi sulla diaspora palestinese, e che porterò tutto con me.
- Jane, Francis ha chiuso la porta, ma sono solo le 18:31!
- Sì, lo sai, è per le cose che sono successe alla Colombia University…
Ostinazione. Posso sempre fare il tè con cardamomo e rosa, posso farlo bene, posso leggere i frammenti di poetography di Mahmoud Darwish, posso provare a farlo bene.
Jill è venuto con la sua lettera immaginaria, aveva scritto di shame, il senso di vergogna e la misura della distanza, David ha letto un dialogo immaginario con un bambino sopravvissuto e Francis aveva scritto una lettera ad un amico palestinese con il quale un giorno avevano fatto una lunga camminata lungo un fiume. Asad, un giovane con occhi brillanti, è rimasto tutto il tempo in silenzio ad ascoltare. Quasi tutti amavano il formaggio francese che avevo portato, le migliori olive che sono riuscita a trovare erano italiane.
Il libro di Mahmoud Darwish è rimasto con me, come uno dei miei misteri, una delle mie stelle, uno dei miei rari sassi protettori.
Il giorno dopo non riesco a leggere Mahmoud Darwish, avevo bisogno prima di scrivere una nota in italiano, poi leggere uno dei romanzi scritti da una persona appartenente alla diaspora palestinese e poi, solo poi, il mio respiro sarebbe stato abbastanza purificato per leggerlo di nuovo.
Franc, l’assistente francese di Francis e il suo amico indiano non sono venuti. Prima di uscire dalla libreria di Francis, la notte del 2 maggio, ho dato un'occhiata alla pianta che avevo portato per il Nowruz. Stava meglio, decisamente molto meglio.
Sabato 4 Maggio 2024
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