"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini
Ogni elezione ci offre un’istantanea della realtà. Parziale certo, ma utile per analizzare le cause che hanno determinato una serie di esiti e cogliere i segnali di possibili traiettorie di futuro che – più o meno nascoste – il presente già contiene. Dall'Europa, intesa come dimensione minima per stare al Mondo, al territorio trentino, ovvero il frangente nel quale possiamo impegnare le nostre energie e agire le trasformazioni necessarie.
C'è una finestra di opportunità, secondo me, che va dal 2024 al 2030: non si tratta di un countdown inesorabile ma di uno spazio (anche simbolico, che richiama quell'Agenda 2030 che può e deve rimanere il minimo comune denominatore della nostra visione politica) per mettere le basi di un percorso collettivo. Ci aspettano scadenze elettorali assortite – per noi il Comune di Trento nel 2025, le Politiche nazionali nel 2027, le Provinciali trentine nel 2028 – che bene faremmo a tenere collegate dentro un unico processo politico, punti di emersione di un percorso politico che deve essere necessariamente più profondo, più ampio e più lento.
Ma andiamo con ordine.
Come sta l’Unione Europea? Scansato il pericolo più estremo – una maggioranza parlamentare tutta a destra del Partito Popolare Europeo – non dobbiamo nasconderci le difficoltà che il quinquennio appena iniziato ci riserverà. Sotto la spinta di crescenti tensioni politiche (mosse dagli Stati membri) e sociali (ad esempio le recenti proteste degli agricoltori) gli ultimi mesi della Commissione guidata da Ursula von der Leyen sono stati caratterizzati da arretramenti su importanti dossier: il Green Deal, la politica economica dell'Unione (il nuovo Patto di Stabilità è lì a ricordarcelo), le politiche migratorie. A Trattati invariati – con il Consiglio Europeo e il principio dell'unanimità a rendere tutto terribilmente complicato e in mano ai singoli, opposti, nazionalismi – e con la presenza all'Europarlamento di una pattuglia corposa di rappresentanti ostili ad una maggiore integrazione il clima a Strasburgo si prospetta tutt'altro che sereno. Una nuova maggioranza Ursula rischia di rimanere impantanata tra vecchie e nuove leadership nazionali (da Orban a Meloni, con un'onda nera che prende spazio nel continente) e la precarietà dell'asse franco-tedesco a valle delle sconfitte di Emmanuel Macron e Olaf Scholtz.Un contesto che, purtroppo, non lascia prevedere per le istituzioni europee – già acciaccate soprattutto sui fronti più complicati, si pensi alle guerre in Ucraina o a Gaza – un recupero di centralità. Questi scompensi coesistono con alcuni – tenui – segnali di cambiamento: uno, tra gli altri, è quello che arriva dalle persone che si sono candidate a portare (in Europarlamento e nelle formazioni politiche nazionali) la capacità trasformativa dei movimenti sociali e per il clima che hanno accompagnato questi anni di crisi concatenate.
Contano ancora (troppo) gli Stati e i loro interessi particolari. Anche in Italia si sono utilizzati i risultati delle elezioni europee per ricalcolare gli equilibri del quadro politico interno. Giorgia Meloni – detta Giorgia – aveva deciso di trasformare la scadenza elettorale in un sondaggio sulla sua persona ancor più che sul lavoro del suo governo. Se le percentuali tengono, sono i voti assoluti a mancare. 700mila in meno da ottobre 2022. Una contrazione di consenso che si accompagna allo stato di salute di una coalizione che – tra gli svarioni di Matteo Salvini e della Lega Nord e le nostalgie del fu Silvio Berlusconi – non sembra in piena forma. Il direttore de il Manifesto Andrea Fabozzi a tal proposito ha parlato del "peggior successo di sempre". A renderlo ancora peggiore,questi risultati si inseriscono dentro un generalizzato disinteresse di cittadini e cittadine alla contesa politica, sentimento certificato dall'astensione che ha superato la soglia psicologica del 50% (senza eccezioni in Europa) per la prima volta. Il sintomo di un disagio nei confronti del funzionamento e dell'utilità della democrazia. Una condizione di fragilità che riguarda e interroga evidentemente non solo chi temporaneamente è chiamato a governare, ma anche chi vi si oppone tentando di produrre alternative credibili.
E' dentro questo fronte che mi sembra si apra una finestra di opportunità interessante, tra il livello nazionale e quello dei territori. Per la prima volta – a distanza di un anno e mezzo dal suo insediamento – la segretaria PD Elly Schlein sembra aver davvero dimostrato le potenzialità della sua guida. Valorizzazione delle diverse componenti, capacità di dare vita ad un'agenda riconoscibile per la "giustizia ambientale e sociale", ricucitura del tessuto comunitario hanno determinato un buon risultato nelle urne e la sensazione di un soggetto politico dalla ritrovata credibilità e attrattività.Se a questo si aggiunge l'ottimo risultato di Alleanza Verdi Sinistra – all'incrocio tra la scelta di buoni candidati/e e il presidio paziente di una diffusa consapevolezza delle lotte per il clima – si va componendo uno spazio eco-socialista dalle forme e dalle dimensioni di tutto rispetto,riconoscendo potere e offrendo sponde a chi ha animato le lotte per il clima. In attesa di capire se l'attuale legislatura sarà in grado di arrivare a naturale scadenza – fine 2028 – è bene cominciare a prendere confidenza con questo ritrovato bipolarismo che certo rischia di esasperare a volte gli animi ma ha la grande capacità (da maneggiare con cura) di permettere una sfida aperta sulle idee e sulle visioni di Mondo. Non è un caso che a soffrire maggiormente di questo schema siano i sostenitori di ipotetiche terze vie, non adeguate alle profonde fratture economiche e sociali che la realtà ci restituisce.
Giustizia sociale e cura o esclusione e razzismo. Politiche per la cura o distruzione del welfare pubblico. Partecipazione e cooperazione o individualismo e competizione. Nuova convivenza o proliferare della violenza. Da che parte si decide di stare?
Rovereto, Trento, Provincia: il bisogno di un progetto. C'è un ultimo elemento che voglio aggiungere a questa lunga digressione. La necessaria rigenerazione combinata di istituzioni e tessuto politico ha nelle città (e nei territori di prossimità) luoghi di potenziale sperimentazione e sviluppo. Il caso recentissimo di Rovereto – insieme ad altri sparsi sul territorio europeo ed italiano – va guardato da questo punto di vista con grande interesse. La coalizione guidata da Giulia Robol è riuscita a vincere e può cominciare la consiliatura con una preziosa aggiunta di energia grazie al contributo di Officina Comune, l'esperienza che ai miei occhi in Trentino per prima supera l'idea di civismo come tentativo di smarcarsi da ogni appartenenza politica proponendo un'ipotesi radicale e concreta di municipalismo progressista.
Una ricetta equilibrata di metodo (partecipativo e accogliente), temi (una vera e propria agenda della cura e delle coesione) e di relazioni (una comunità politica ampia e coinvolta, felice) che dovrebbe saper fare propria anche la maggioranza di centrosinistra a Trento, in avvicinamento alle prossime elezioni. Il Sindaco Franco Ianeselli e con lui le forze politiche che lo sostengono hanno alcuni mesi – prima che la campagna entri nella sua fase più calda – per investire tempo e passione, generosità e capacità di dialogo in un progetto di ricucitura e generatività nei confronti della città.
Cambiare – aprendo e rendendo permeabili, collaborative in ogni loro parte – le istituzioni, lì dove temporaneamente le si rappresenta, così da lasciarle migliori a chi verrà dopo. Rigenerare la Politica (intesa come organizzazione e cultura, società e amicizia, formazione e comunicazione) utilizzando tutti gli strumenti a nostra disposizione, dentro e fuori i Partiti ma sopratutto in ogni punto di intersezione tra spazi e sensibilità diverse. Moltiplicare le occasioni per crescere insieme e sfidare la solitudine, per imparare qualcosa di nuovo, per creare le condizioni di alleanze di futuro.
Può essere questa la lista minima dei nostri compitida qui ai prossimi anni. Riallineare su queste coordinate le prime due città del Trentino è la condizione fondamentale – la giusta rincorsa – per immaginare nel 2028 di ritornare al governo provinciale, interrompendo un periodo troppo lungo in cui a guidare la nostra Autonomia sono state destre ciniche e pasticcione.
Proviamoci.
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