"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Prosegue il dibattito sulla riforma Calderoli e sul referendum contro l'autonomia differenziata. Oggi l'intervento di Roberto Pinter, pubblicato nei giorni scorsi dal quotidiano "Il T".
di Roberto Pinter
La legge Calderoli per l’Autonomia differenziata non è una buona legge, e anche se il primo passo è stato fatto con la riforma costituzionale voluta dal centrosinistra, nasce più per dividere che per cambiare, oggetto di compensazione rispetto al premierato e di difficile attuazione. E’ giusto provare ad affossarla con un’alleanza ampia che coglie l’occasione per mettere in difficoltà il governo Meloni.
In Trentino, più per partito preso che per convinzione, le destre difendono la legge Calderoli, e le sinistre sostengono il referendum abrogativo. Nessun dibattito, nessun confronto e così l’Autonomia speciale, a quanto pare, non ha nulla da dire o non vuol dire nulla rispetto alla riforma che comunque chiama in causa le Autonomie speciali.
Il problema non è il rischio immediato per la nostra Autonomia, ma quanto si sta registrando nel dibattito o meglio nello scontro in atto in Italia. Perché dalla opposizione al disegno di legge Calderoli si è ben presto passati all’opposizione all’Autonomia differenziata e oggi, a forza di semplificazioni, sono sempre di più gli slogan contro l’Autonomia punto e a capo.
La gran parte dei commentatori esprimono una decisa avversione all’autonomia differenziata, calcando i toni, esagerando i rischi non solo per le possibili differenze di trattamento dei cittadini a seconda della loro Regione di appartenenza, ma paventando la compromissione dei diritti alla salute e all’istruzione, una possibile recessione economica, una caduta di credibilità internazionale, l’impossibilità di un sistema di trasporti unitario… Nei fatti si è passati dal No alla legge Calderoli al No all’Autonomia.
“Il nostro medioevo infinito continua oggi sotto le vesti del regionalismo”, “la sinistra ha abdicato ai grandi temi dell’identità nazionale per una frammentazione localistica”, “il PD da partito della nazione si è trasformato in partito dei territori”, queste sono solo alcune delle critiche che erano rivolte al PD prima che il PD decidesse di sostenere il referendum abrogativo.
Capisco che la contingenza politica richiede un’azione che si concentri sull’obiettivo di fermare questo governo, puntando sulle divisioni interne e impedendo le due grandi riforme che hanno l’obiettivo si smantellare l’impianto costituzionale e il fondamento antifascista. Ma c’è il rischio che con l’acqua sporca si butti via anche il bambino.
La sinistra storica italiana ha saputo sviluppare il regionalismo, ha saputo dimostrare che si può governare meglio e bene i territori senza replicare burocrazia, inefficienza e corruzione propri di uno Stato ancora in buona parte borbonico. Motivo di orgoglio le differenze che segnavano le Regioni “rosse” nell’offerta dei servizi sociali, nell’innovazione in quelli educativi, come motivo di orgoglio per noi trentini il raggiungimento di una qualità della pubblica amministrazione e del governo del territorio percepibile e per questo considerata anche modello da imitare. Differenze che hanno fatto crescere il paese perché, pur mostrando le disuguaglianze territoriali nella crescita economica e sociale, indicavano le riforme necessarie per superarle.
La Repubblica ha resistito a lungo prima di sviluppare il regionalismo, contenuto nei principi costituzionali come era contenuto il principio dell’Autonomia, e poi non lo ha mai attuato fino in fondo, né ha mai messo mano ad una riforma organica dello Stato. E adesso con la legge Calderoli rischia di affossarlo definitivamente, mostrandone l’inapplicabilità o esasperando le divisioni territoriali.
Tornando al Trentino non si tratta solo di tutelare la nostra Specialità, che in questo clima non gode di molti favori e se Veneto e Lombardia rimarranno senza nuove competenze è abbastanza prevedibile che dalla Specialità indicata a modello si passerà ben presto alla Specialità tacciata come privilegio. Non si tratta nemmeno di ottenere delle rassicurazioni che varrebbero ben poco, in ballo c’è molto di più: l’Autonomia fa parte della cultura democratica della nostra Repubblica o è solo una clausola di qualche trattato da rispettare finché obbligati?
L’Italia va rafforzata nella sua unità e questa unità è data dallo Stato, e quindi va rafforzato il centralismo, perché è il solo che può garantire che i cittadini non vengano discriminati in base alla loro appartenenza regionale?
Crediamo nell’Europa, siamo contro i nazionalismi e i sovranismi, ma non riusciamo a trovare di meglio che rafforzare lo Stato e fermare lo sviluppo delle Autonomie (non solo quelle da respingere vedi Calderoli, ma, non essendoci un altro disegno, di fatto le fermiamo tutte).
Ci vorrebbe qualcuno che spiegasse come mai lo stesso soggetto che ha assicurato uno sviluppo disuguale del nostro paese, che non è riuscito a rimuovere gli ostacoli che impediscono ad una parte del paese di crescere e di attuare il principio della sussidiarietà, venga ora indicato come l’unico garante del contrario?
Si dice che “lo Stato è nato tardi e con un retaggio di storture, debole senso dell’ordine e delle regole, una corruzione diffusa” e dunque non siamo pronti a sviluppare le Autonomie?!
Preoccupa questo pregiudizio: il Sud del paese è alle prese con le clientele, il voto di scambio, e una gestione inefficiente che non è compatibile con l’assunzione di una maggiore autonomia, e dunque anche le altre Regioni non possono chiedere di più per non accentuare le divisioni, e comunque, si dice, anche la gestione regionale ha mostrato i suoi limiti, sottinteso la gestione della sanità (perché invece la gestione statale della sanità era una garanzia di che?).
Sappiamo che i LEP e il criterio della spesa storica non bastano per assicurare uno sviluppo equo e solidale, ma decretare che gli italiani sono immaturi per la sussidiarietà e per la gestione autonoma dei territori è una cosa che non va bene.
O si scommette sul suo popolo oppure se considera che solo la tutela dello Stato, lo stesso peraltro campione di inefficienza e di spreco, lo stesso che amministra la giustizia e gestisce le carceri e che presiede alle grandi opere, può garantire i cittadini che godranno dei servizi di cui hanno bisogno, allora non è fuori luogo che qualcuno chieda pieni poteri al capo del governo e l’elezione diretta del premier.
La mina della differenziata quando esploderà lancerà schegge ovunque e qualcuna potrà colpire le Autonomie speciali, per cui varrebbe la pena che il Trentino invece di lasciare che Bolzano ricerchi per conto suo le salvaguardie necessarie provi a dire qualcosa che non suoni come indifferenza o che assomigli alla difesa di un privilegio. Sempre che abbia qualcosa da dire, ma non sono ottimista perché vedo il Trentino trascurare l’Autonomia, non usarla per migliorare il governo del territorio, e rinunciare ad innovare e sperimentare soluzioni che dimostrino che le Autonomie possono essere la strada per far crescere questo paese.
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