"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini
Il grande pregio del film/documentario di Andreas Pichler “Pericolosamente vicini” è la capacità di restituire coralità a un racconto – quello attorno alla presenza degli orsi in Trentino – che negli ultimi anni è proceduto per strappi e contrapposizioni durissime, sfibrando le comunità e rendendo il dibattito pubblico spesso molto faticoso, talvolta addirittura dannoso.
Non deve essere stato facile partire da un fatto di cronaca che ha segnato la storia recente di un’intera valle alpina (l’uccisione da parte di un’orsa di Andrea Papi, nei boschi di Caldes), esplorare con quanta più delicatezza possibile il dolore di una famiglia che ha perso improvvisamente un figlio, ascoltare senza utilizzare un filtro giudicante la rabbia di una comunità che percepisce un crescente senso di incertezza e da qui percorrere – a ritroso con la memoria e in avanti con l’immaginazione – l’evoluzione di un progetto che reintroducendo l’orso lì dove per mano dell’uomo si era di fatto estinto non descrive “solo” un ambizioso esperimento ecologico/faunistico ma interroga in profondità il modo del genere umano di stare in Natura, non più esercitando un presunto potere assoluto ma riconoscendo la propria fragilità e parzialità.
Le sale dei cinema piene in questi giorni – nei territori montani come nelle città – sono un segnale inequivocabile di consapevolezza e interesse che va per quanto mi è parso in direzione diversa rispetto alla pericolosa polarizzazione che fino a qui abbiamo conosciuto sull’argomento, fino ad arrivare alla possibile indizione di diverse consultazioni popolari dei prossimi mesi.
Ne dobbiamo tenere conto e trarne il meglio, per dar vita a desiderabili coesistenze – come propone un bel festival in corso tra Lundo e Comano Terme in questi giorni di fine agosto – anzichè a scontri distruttivi.
Lo sguardo laterale di Pichler e la sua scelta di narrazione circolare – che non lascia indietro nessuno dei soggetti coinvolti, che permette loro di esprimersi tra convinzioni e dubbi, emozioni acute ed esperienze professionali dirette – stressa il nostro ruolo di amministratori pubblici e ci offre allo stesso tempo una possibilità di azione, forse l’ultima, per prendere dal lato giusto il tema dei grandi carnivori nei territori alpini.
Quale è la densità adeguata di esemplari per un territorio fortemente antropizzato? Come si può riuscire a mettere in campo un sistema di informazione capillare e prevenzione efficace? Che procedure vanno utilizzate nel momento in cui uno o più esemplari da confidenti diventano pericolosi? Non posso e non voglio qui entrare nel merito di ognuna di queste fondamentali domande (che trovano nel Pacobace / Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno unafondamentale cornice interpretativa, ancora valida, cui fare riferimento) ma suggerire un metodo per provare ad affrontarle insieme, affinché non si chiuda definitivamente la possibilità di vedere nella presenza dei grandi carnivori un’opportunità ecologica, sociale e culturale e non solo un pericolo addirittura per la stessa vivibilità nelle terre alte.
La Politica (serve il coinvolgimento delle istituzioni su scala europea, alpina, nazionale e locale) dovrebbe essere oggi in grado – sapendo ammettere i propri errori e mancanze ma rivendicando anche il proprio ruolo di visione e guida – di recuperare la complessità ecosistemica di Life Ursus e mettere a disposizioni le migliori competenze – nel documentario risalta la ricchezza del capitale di esperienza accumulato negli anni dal corpo forestale e dai responsabili del progetto, passati e attuali – per trovare un nuovo punto di equilibrio tra le esigenze di sicurezza della popolazione umana e la possibilità di buona vita per la fauna selvatica.
Da questo punto di vista l’aggiornamento del Piano di gestione e conservazione – contestualmente al finanziamento adeguato in ogni sua parte: dalla ricerca all’informazione continua, passando per il personale specializzato alla cura del paesaggio forestale e per la moltiplicazione degli strumenti dedicati a chi in montagna vuole continuare ad abitare e lavorare – dovrebbe essere l’occasione propizia per un processo partecipativo aperto e coinvolgente capace di ricomporre le fratture comunitarie che oggi sono davanti ai nostri occhi e orientare insieme le azioni necessarie per garantire le condizioni per una convivenza non conflittuale o addirittura serena.
Non c’è dubbio che si tratta di una sfida ambiziosa e non priva di rischi da affrontare (Pichler nel suo racconto non mette mai soggetti con opinioni diverse nella stessa stanza) ma è in questi frangenti che i sistemi democratici devono accettare di mettersi alla prova riscoprendo la propria più autentica essenza dialogica e deliberativa. Confronto informato e vitale che è premessa obbligatoria al prendere insieme scelte in nome del bene comune.
Facciamolo prima che sia troppo tardi.
[articolo pubblicato su Il corriere del Trentino domenica 1 settembre]
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