"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

L'assillo. L'occupazione del Santa Chiara e il DDL 1660

Un'immagine dell'occupazione dell'ex ospedale Santa Chiara di Trento

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (136)

di Michele Nardelli

Trento, Teatro Cuminetti, Centro servizi culturali Santa Chiara, quasi cinquant'anni dopo. Un pensiero mi assilla. Nella serata di presentazione del documentario “Hanno occupato il Santa Chiara” - un importante lavoro di documentazione che ha come oggetto una delle più significative iniziative di lotta sociale che la città di Trento ha conosciuto negli anni '70 - un pensiero mi assilla.

Il documentario racconta, attraverso immagini d'epoca e testimonianze dei protagonisti, dell'occupazione del vecchio Ospedale Santa Chiara e dell'area adiacente, che il Comune di Trento aveva destinato a Centro direzionale e che – proprio in seguito alla lotta dei Comitati di Quartiere della città – venne poi destinata ad area servizi culturali e a parco.

Il pensiero si sdoppia fra il passato e il presente.

Era il 14 giugno 1975, un sabato pomeriggio. I giornali del mattino avevano annunciato l'occupazione malgrado avessimo cercato di tenere riservata l'informazione (già allora le smanie di protagonismo non mancavano) ed il piazzale di Via Santa Croce era pieno di polizia e carabinieri. Non ci facemmo intimorire. E poi avevamo le chiavi della serranda che nottetempo avevamo sostituito. Entrammo così, nello stupore delle forze dell'ordine, nell'area abbandonata e negli edifici fatiscenti dell'ex Ospedale Santa Chiara la cui destinazione sarebbe stata quella di diventare un'orrenda colata di cemento, gemella di quella del Centro Europa di via Gazzoletti.

Un fiume di persone si riappropriarono di quello spazio che era nella storia della città di Trento, dapprima come antico convento e poi come ospedale civile, un luogo del vissuto di ognuno di noi, di dolore e sofferenza ma anche di nascite e di felicità. Per due mesi ci avremmo trascorso giorno e notte, ripristinando al pian terreno alcuni locali per la gestione quotidiana dell'occupazione e una palazzina interna per lo svolgersi degli incontri rivolti alla città. Risistemammo anche l'area che sarebbe in seguito divenuta parco, ridotta com'era a sterpaglie e cumuli di macerie, per svolgervi i concerti all'aperto e altre manifestazioni pubbliche.

Aprimmo una vertenza con la giunta comunale che proprio non voleva tornare sui propri passi, nella mia agenda di allora (le ho conservate tutte, dal 1972 in poi) trovo il testo manoscritto di un manifesto murale che affiggemmo (abusivamente) dal titolo a caratteri cubitali “Tononi pensaci!” (era il sindaco di allora), organizzammo feste popolari e una raccolta di firme (furono almeno diecimila) che ho conservato per anni e che ora sono in dotazione del Museo storico del Trentino. Trascorsero due mesi e l'amministrazione comunale fece marcia indietro.

Temo il reducismo, della serie “quanto eravamo bravi”.

Devo però riconoscere che il documentario non cade in questo rischio, semplicemente (e faticosamente) ricostruendo un pezzo di memoria su come le lotte di allora diedero un'impronta alla città di oggi. E questo è invece doverosamente (e drammaticamente) necessario.

E' proprio questo l'assillo.

L'occupazione del giugno 1975 era un'iniziativa che violava la legge, certo. Come tante altre analoghe che portarono ad un utilizzo pubblico di aree destinate a parco, come quelle nel rione di Cristo Re (che portò alla realizzazione del Parco Massimiliano d'Asburgo), oppure in pieno centro storico (il Parco San Marco), a Maso Ginocchio nel quartiere di San Giuseppe, al Parco delle Laste sulla collina ad est di Trento, al Parco delle Predare nell'antico quartiere di San Martino. Per non parlare dell'ex Albergo San Marco poi destinato ad edilizia pubblica per anziani o dell'ex Albergo Astoria in seguito all'occupazione diventato Ostello per la Gioventù. Potremmo dire che senza quelle forme di illegalità gran parte delle aree verdi della città avrebbero avuto una ben diversa destinazione.

Analogamente potremmo parlare delle occupazioni delle Scuole superiori e delle Università. O di fabbriche e di luoghi pubblici come strade o sedi istituzionali, nel corso di quello straordinario ciclo di lotte operaie senza le quali non avremmo avuto la Legge 300 (lo Statuto dei Lavoratori) e tante altre riforme di grande rilievo sociale. Per non parlare dell'obiezione di coscienza al servizio militare, quando questa non era ancora riconosciuta dalla legge o, ancora, del blocco dei treni che portavano armamenti negli anni della guerra del Golfo, per i quali abbiamo subito processi risolti con assoluzioni piene per l'alto valore morale di quegli atti di protesta.

L'elenco potrebbe continuare. Eravamo delinquenti? E' questo l'assillo da quando, nei giorni scorsi, la Camera dei Deputati ha approvato il Ddl 1660, col quale si istituisce in Italia una sorta di Stato di polizia. Non è ancora legge solo perché deve passare al Senato della Repubblica, ma con i numeri dell'attuale maggioranza non sembra che incontrerà grandi ostacoli.

Un testo grave che criminalizza i blocchi stradali e con essi gran parte delle manifestazioni in occasione di scioperi o di proteste contro le grandi opere dal Ponte sullo Stretto all'Alta Velocità in Val di Susa; che prevede il carcere fino a 7 anni per chi occupa una casa sfitta o solidarizza con le occupazioni; che riduce al silenzio chi nei penitenziari o nei Cpr si batte per avere condizioni di dignità agitando ulteriori pesanti pene detentive; che prevedono condanne fino a 15 anni per resistenza attiva e fino a 4 anni per resistenza passiva (reato ribattezzato "anti-Ghandi"); che vieta agli immigrati senza permesso di soggiorno finanche l'uso del cellulare, vincolando l'acquisto della SIM al possesso del permesso di soggiorno; che introduce il reato di "propaganda" verso azioni radicali di lotta, considerandola "terrorismo della parola". Ed altro ancora.

Questo il pensiero che mi inquieta e che rende più che mai importante la realizzazione del documentario sull'occupazione del vecchio ospedale Santa Chiara. Perché oggi la città di Trento in assenza di quelle lotte non sarebbe la stessa città. Dovremmo ricordarcelo, anche come monito per il presente.

Se negli anni settanta essere rivoluzionari fosse stato un reato avremmo criminalizzato un'intera generazione. Che accada oggi, quando dovremmo cambiare tutto perché è la normalità che ci sta portando all'assenza di futuro, è davvero insopportabile. Per chi oggi ha diciott'anni come per chi aveva quell'età negli anni '70.

 

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