«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani». "Manifesto di Ventotene"
A scuola di complessità ibridando i saperi del nuovo umanesimo
di Mauro Ceruti *
Non c’è alcun dubbio che la scuola viva una crisi profonda. «La scuola prepara i ragazzi a vivere in un mondo che non esiste», ebbe a dire a suo tempo Albert Camus, e questo vale a maggior ragione oggi, sebbene in forme molto diverse.
Sono proprio le nuove generazioni «iperconnesse» a percepire e segnalare, con le loro inquietudini e i loro disagi, la “sconnessione” del sistema scolastico con la realtà dei problemi sociali e vitali del nostro tempo. Un malessere che fagocita gli studenti e, per osmosi, anche gli insegnanti, ostacolati sempre più nei loro compiti di ascolto educativo da una pletora insensata di adempimenti burocratici.
La diffusione straordinaria di nuovi veicoli di comunicazione e di informazione, sempre più versatili e veloci, tende ad annullare ogni mediazione fra il locale e il globale e mette ogni persona a contatto immediato con numerosissime informazioni, diversi linguaggi e molteplici culture. Ma ciò accade per lo più in modo frammentario, senza alcun filtro interpretativo e senza alcuna prospettiva educativa in grado di interconnettere le molteplici esperienze e il percorso formativo complessivo di ogni singola persona.
Di fronte a questa condizione, forte è la tentazione di abdicare ai compiti educativi della scuola, limitando la sua finalità alla semplice trasmissione di alcune frammentarie competenze, tecniche e informazioni. Ma è proprio a causa della proliferazione sia di informazioni e conoscenze sia di contesti e opportunità di apprendimento che il compito educativo della scuola diventa, se possibile, ancora più decisivo.
La frammentazione delle esperienze, delle informazioni e dei saperi è il maggiore ostacolo alla formulazione e alla comprensione dei problemi. Nel nostro mondo tutto è interdipendente con tutto. Avvertiamo sempre più l’interferenza tra le dimensioni tecnica, scientifica, demografica, economica, ecologica, sociale, psicologica, religiosa…
È ciò che stiamo vivendo attraverso le crisi globali (la pandemia, il riscaldamento globale, la guerra…), che ci rivelano appunto la complessità del nostro mondo, in cui ogni evento locale può comportare conseguenze che si amplificano su scala globale, e in cui perciò tutto può cambiare in modi improvvisi, imprevedibili.
Più i problemi diventano multidimensionali, più è difficile affrontarli, per la difficoltà di comprenderli nella molteplicità di aspetti intrecciati e non separabili gli uni dagli altri. Le soluzioni cercate e proposte sono il più delle volte, esse stesse, parte e causa del problema.
C’è bisogno di quadri e orizzonti mentali/culturali in cui inscrivere le discipline, integrarle in saperi che corrispondano ai grandi problemi della condizione storica attuale e ineludibili per il futuro: i Grandi Racconti dell’Universo, della Terra, dell’Evoluzione della Vita e dell’Uomo, l’Europa una e molteplice, la Comunità di destino planetaria, la Pace, la Tecnoscienza con coscienza, l’Antropocene, l’Agire nell’incertezza... Si tratta di meta-saperi che si sviluppano «ibridando» i saperi disciplinari tra loro, consentendo che in ognuno si possa entrare e da ognuno si possa uscire solo per ritrovarsi in un altro.
Ecco la sfida: promuovere un nuovo umanesimo, oltre la separazione tuttora imperante fra saperi umano-sociali e tecnico-naturalistici, quale orizzonte della scuola nel tempo della complessità, in cui tutto è connesso.
Ben altro da una spolverata neo-tradizionalista di nozioni “classicamente” umanistiche, nel quadro di uno riconfermato dualismo «umano-naturale», che rischia di inficiare proprio il valore sempre più indispensabile degli stessi studia humanitatis. I quali, peraltro, come avvertiva Eugenio Garin, sono utili se sono intesi come li intendevano proprio gli umanisti italiani del Quattro Cinquecento, e cioè come un modo di metterci in rapporto con l’umanità e il suo operare nella storia del mondo e della Terra, come una maniera di ricordare il passato per definire il presente e immaginare il futuro.
Machiavelli studiava Tito Livio per capire la novità emergente degli Stati moderni. Per converso, non si può neppure confondere l’innovazione pedagogica con il semplice ricorso al digitale (e tra poco all’Ai), che può diventare ipertrofico, e può frammentare ulteriormente conoscenze già troppo frammentate.
È urgente educare a un nuovo spirito critico, che intenda mettere l’intelligenza artificiale al servizio dell’intelligenza riflessiva. La scuola è il luogo dove imparare a non delegare il proprio pensiero e la propria responsabilità a nessuno, tantomeno alle macchine, seppure “intelligenti”, e a non servire le tecnologie mentre ce ne serviamo.
Durante la Dad, abbiamo toccato con mano la profondità del solco tracciato dal digital divide, di tipo socio-economico, che separa ricchi e poveri. Ma si è ormai profilato un nuovo tipo di digital divide, di tipo culturale. Questo non intercorre tanto fra chi può utilizzare e chi non può utilizzare le nuove tecnologie, ma fra i pochi capaci di servirsi consapevolmente delle nuove tecnologie per comprendere e governare la rete dei saperi, da una parte, e, dall’altra, i molti dotati di tecnologia ma non di cultura, che vedono solo frammenti isolati, sono ciechi sulle loro interconnessioni e sono quindi utenti passivi (una nuova servitù di massa?).
Il rischio dell’analfabetismo di ritorno non è attenuato, ma addirittura intensificato dalla semplice diffusione delle nuove tecnologie. Le relazioni fra scuola e mondo del lavoro sono rapidamente cambiate. Le tecniche e le competenze diventano obsolete nel volgere di pochissimi anni. L’impresa nella società di domani sarà sempre più un luogo di apprendimento. Mentre la scuola sempre più dovrà promuovere lo sviluppo di quelle capacità che consentono di apprendere ad apprendere per tutta la vita.
Perciò non bisogna tornare indietro: a dover scegliere tra un sapere umanistico e un saper-fare tecnico. Bisogna conciliare l’uno e l’altro, in vari modi, a tutti i livelli della scolarizzazione e in ogni percorso di istruzione. Mai come oggi la cultura è condizione di emancipazione sociale e, per converso, mai come oggi la povertà culturale può minare l’esercizio di una cittadinanza piena e attiva.
Non abbiamo mai avuto tanta scolarizzazione, e non abbiamo mai avuto tanta ignoranza rispetto a ciò che accade nel mondo. Educare alla cittadinanza significa oggi educare all’inedita condizione umana nell’età globale. La scuola non può eludere il compito di promuovere quell’esperienza di cittadinanza che i cambiamenti culturali, geopolitici, economici, tecnologici oggi rendono quanto mai urgente. È una cittadinanza plurale: locale, nazionale, europea, globale.
Oggi la scuola è investita del compito urgente di aiutare ogni persona e ogni gruppo a integrare e a connettere la pluralità delle proprie molteplici appartenenze e deve aiutare a conoscere la pluralità delle culture del mondo, ineludibilmente destinate a incontrarsi nel mondo globale, e peraltro dalle radici intrecciate attraverso i tempi lunghi e medi della storia di una umanità una e molteplice.
Riformare la scuola e i programmi riconducendoli nella cornice del vecchio paradigma della nazionalizzazione delle masse, invocare la necessità di «insegnare l’Italia», di «insegnare la Nazione» isolata dalla storia globale, non educa alla cittadinanza ma alla sudditanza. Come persone e come comunità nazionali abbiamo, attraverso l’intreccio di tante storie, una identità plurale, complessa. E, pur continuando a essere insediati in una dimensione locale, facciamo di fatto sempre più parte di molteplici scenari globali.
La storia globale non è la semplice somma di tante storie locali. La patria terrestre non è un patchwork di patrie locali. Nello scenario del ritorno tragico e imprevisto della guerra in Europa, scatenata dai rigurgiti nazionalisti e neoimperialisti, educare alla cittadinanza plurale e planetaria ha il valore di una priorità ineludibile. Così come nello scenario di una crisi ecologica sempre più drammatica, prioritario è educare a una nuova alleanza con la Terra. È la sfida di una Paideia per il tempo della complessità, in cui tutto è connesso.
* pubblicato dal Sole 24 Ore del 27 febbraio 2025
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