«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene

Fare l’Europa giusta insieme

Federalisti europei a Ventotene

di Federico Zappini *

(7 marzo 2025) È difficile rimanere indifferenti di fronte alla proposta di Michele Serra di organizzare una manifestazione continentale a sostegno dell’Europa nel momento in cui l’intero Mondo sembra sull’orlo di una crisi irreversibile. E’ bene però che di una chiamata alla mobilitazione così urgente e ambiziosa si riconoscano tanto il valore quanto le contraddizioni, insieme l’innegabile passione e la potenziale ingenuità.

Il primo fattore di rilevanza riguarda evidentemente la contingenza internazionale. L’amministrazione Trump ha accelerato una serie di dinamiche che rischiano di rimodellare l’ordine mondiale secondo i rapporti di forza e non invece rispettando le norme del diritto. La “gestione” muscolare della guerra in Ucraina (e in parallelo di quelle in Medio Oriente) e le conseguenti molteplici tensioni internazionali, i dazi commerciali usati come arma di pressione su nemici e alleati, l’accantonamento degli accordi sul clima sono solo alcune dei dossier aperti sul tavolo. La minaccia, in generale, è che la politica su scala planetaria si sviluppi più per ricatti e accordi di opportunità che per la condivisione di valori e attraverso la cooperazione e il confronto.

In parallelo, l’esperienza comunitaria di cui facciamo parte appare in uno stato di diffusa fragilità. L’Unione, da tempo, ha mostrato segnali di indecisione e debolezza, per via della crescente rilevanze di forze politiche nazionaliste che stanno ridisegnando le loro alleanze attratte da alternative sfere di influenza rispetto a quella offerta dal progetto europeo. A questa tendenza centrifuga (che ha nell’Ungheria un esempio perfetto, ma che riesce a penetrare anche gli Stati fondatori) si aggiunge l’ormai cronica inadeguatezza del sistema dell’unanimità all’interno del Consiglio Europeo, un meccanismo decisionale ancora totalmente intergovernativo che irrigidisce l’intera architettura dell’Unione. Rimangono al centro della scena in questo modo le sovranità nazionali e la situazione promette di peggiorare ulteriormente nell’ipotesi di un ulteriore allargamento a est – che oggi avverrebbe in opposizione al disegno dell’Europa politica – così come ha sottolineato in un libro acuto e appassionato (“Grande da morire”, edito da Il Mulino) l’europeista Sylvie Goulard.

La proposta di una mobilitazione continentale diventa quindi, in un tale contesto, un gesto necessario per evitare che l’esperimento di integrazione europea – faticosamente costruito e pure ancora imperfetto – vada sprecato. Proprio per questo accettando l’invito a scendere in piazza è bene che ci facciamo carico di una serie di domande qualificanti del nostro ritrovarci insieme attorno alla bandiera europea. 

L’Europa della solidarietà e della giustizia sociale che desideriamo è la stessa che ha imposto l’austerità alla Grecia poco più di dieci anni fa? Quella della cooperazione euromediterranea per una cittadinanza globale può essere allo stesso tempo quella che continua a impegnarsi per respingere i migranti alle proprie frontiere e che per esternalizzarne il controllo firma accordi con paesi come la Libia e la Turchia?

Quali sono quindi i valori che vogliamo mettere al centro del nostro impegno nel presente e nel futuro?

Sono quelli che ci convincono a proseguire sulla strada della transizione ecologica con l’ambizione di essere avanguardia ambientale, tecnologia e sociale per l’intero pianeta? E ancora, volendo una difesa comune (più efficiente e meno costosa) la immaginiamo come premessa a una politica estera europea votata al multilateralismo e alla pace, che non sia una generica assenza di conflitti, bensì il rifiuto della guerra attraverso la cultura e la pratica della nonviolenza. Oppure si tratta esclusivamente del modo più rapido – a spese anche di investimenti comuni in altri settori del bilancio comunitario, come pericolosamente propone nello sciagurato piano “Rearm Europe” Ursula von der Layen – per adeguarci a un futuro in cui proprio la guerra diventa una parte integrante delle nostre esistenze, in nome di interessi nazionali e strategici da presidiare, anche e soprattutto militarmente?

Se vogliamo davvero costruire una manifestazione politica capace di tracciare una nuova rotta per il futuro del continente non possiamo accontentarci di ripetere la formula Stati Uniti d’Europa senza definirne gli obiettivi e il funzionamento in chiave post-statuale, come come recitava il testo di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni: “Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”. Serve in quest’ottica dar vita a un nuovo Manifesto – un’evoluzione di quello di Ventotene, frutto di un’altrettanto urgente capacità visionaria – che risponda alle sfide del 2025, irrisolvibili dentro i confini del vecchio Occidente per come lo abbiamo conosciuto fin qui, e sappia già immaginare il Mondo che sarà nel 2100.

Non è un’impresa facile. Dobbiamo guardare oltre ciò che c’è, fuori dal campo“completamente allagato” dall’azione politica e comunicativa dell’amministrazione Trump.

Pensare all’inedito. Fare l’Europa giusta insieme.

* https://pontidivista.wordpress.com/

 

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