«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
di Federico Zappini
(27 marzo 20225) Le ultime settimane sono state in larga parte dedicate a discutere dello stato di salute dell’Unione Europea, delle sue priorità di fronte a un Mondo in fibrillazione e di alcuni dei contenuti del Manifesto di Ventotene.
In particolare l’attenzione si è concentrata sull’ipotesi di superamento degli Stati nazionali – in chiave federalista e antinazionalista – e sul pilastro sociale a essa collegato, in nome della solidarietà e dell’uguaglianza tra i popoli e in opposizione ad ogni ipotesi di dominio militare, politico o economico dei pochi (o pochissimi, visto il vento che tira) sui molti.
Ce ne siamo occupati anche scendendo in piazza, in quanto abitanti dello spazio urbano e insieme del Mondo intero. Lo abbiamo fatto perché preoccupati della torsione illiberale di cui siamo testimoni e vittime a diverse latitudini (dal sud America al sud-est asiatico, dalla Russia di Putin agli Stati Uniti di Trump, mai come oggi accomunati da interessi e stile, quasi alleati) ma anche perché convinti che esista una specificità europea nell’offrire garanzie allo stato di diritto, nel riconoscimento per tutti e tutte di diritti sociali e civili, nella propensione a modelli di governo democratici, plurali e nonviolenti.
Non si tratta di una condizione naturale di questa area del Mondo che definiamo Occidente, così come lo hanno descritta Scurati o Vecchioni dal palco di Piazza del Popolo lo scorso 15 marzo. E’ invece un costrutto culturale, da non dare per scontato e oggi non privo di contraddizioni, frutto dell’attraversamento di immani tragedie – le guerre mondiali sono un prodotto tutto europeo – e della conseguente intuizione nell’immaginare un sistema di governo più collaborativo che competitivo tra Paesi diversi, che decidevano in questo modo di anteporre il bene comune agli interessi particolari, la cooperazione strategica alle logiche di potenza.
L’architettura comunitaria – è bene ricordarlo – non è mai diventata davvero federale, proprio perché una più diffusa cessione di sovranità da parte degli Stati (nella direzione di un’Unione politica, fiscale e anche della difesa comune) non è mai giunta a compimento.
L’Unione con cui oggi abbiamo a che fare – quella intergovernativa – rischia invece un’ulteriore marginalizzazione rispetto alle principali questioni aperte. Sylvie Goulard, da anni osservatrice attenta dei fatti europei, ha lanciato l’allarme nel suo ultimo libro, dal titolo “Grande da morire”. Da europeista convinta segnala come alle dinamiche di allargamento dell’Unione (soprattutto verso est) avvenuta per motivi soprattutto “di mercato” non è corrisposta una solidificazione di una condivisa governance democratica a scala continentale.
Le fragilità dell’Europa – oltre che nelle spinte nazionaliste ben presenti negli stessi paesi fondatori, in Italia addirittura al governo – la si percepisce soprattutto sui suoi margini.
Nell’invasione russa dell’Ucraina e nella fatica di essere protagonista di un percorso per porre fine al conflitto in nome di una “pace giusta e duratura”, soprattutto per chi quella guerra l’ha vista arrivare in casa propria nella notte del 24 febbraio 2022. Nelle resistenze dei leader di Ungheria e Slovacchia, che dell’Unione sono spine nel fianco e controcanto su una miriade di argomenti. Nella precaria condizione dei paesi sorti dalla frantumazione dell’ex Jugoslavia, in coda sulla porta dell’Europa e alle prese con tensioni interne tra governi corrotti e autoritari e società civili giovani e desideranti. Nel Mediterraneo centrale trasformato in frontiera liquida e insanguinata, barriera militarizzata e cimitero per migliaia di uomini e donne in movimento. Nelle macerie di Gaza e nella pulizia etnica perpetrata dal governo israeliano di Nethanyau, prima e dopo il 7 ottobre 2023. Nell’autocrazia che vuole essere senza oppositori del presidente turco Erdogan (altro “difensore” a peso d’oro dei confini europei dall’afflusso di migranti), che da anni attacca le minoranze curdo/irachene e che negli ultimi giorni ha incarcerato il suo più credibile antagonista elettorale, il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, successivamente privato anche della sua laurea, condizione richiesta per candidarsi alla guida del paese.
Se crediamo davvero – ancora – nel potere trasformativo del progetto europeo è questo il momento di mettere in campo il massimo sforzo.
La possibilità di un nuovo soft power europeo basato sulle relazioni e sulla conoscenza, sul dialogo e sulla cooperazione passa attraverso la sua capacità di essere avanguardia coraggiosa sulle grandi questioni del mondo: transizione ecologica e giustizia sociale, democratizzazione delle tecnologie e garanzia dei diritti di cittadinanza, moltiplicazione delle opportunità di accedere alla cultura e ricerca della Pace attraverso un rinnovato governo delle relazioni internazionali.
L’anno scorso Sara Hejazi faceva riferimento a un’intelligenza collettiva a cui tendere come genere umano, per salvarci insieme dalla nostra auto-distruzione e riannodare i fili di un patto planetario oggi piuttosto sfilacciato. Come darle torto.
Ecco allora che acquisirebbe un grande valore che l’Università degli Studi di Trento – con il sostegno dei Comuni di Trento e Rovereto, tra l’altro nell’anno del Centenario della Campana dei Caduti – raccogliesse l’appello che arriva da alcuni accademici italiani (lo ospitava domenica scorsa Il Manifesto) per conferire con massima urgenza una laurea honoris causa ad Ekrem Imamoglu.
Un segno di solidarietà e di vicinanza a chi è prigioniero di un regime antidemocratico.
Un ponte – tra cuori e cervelli, tra politica e diritti umani, tra luoghi della ricerca e della cultura e i linguaggi che li uniscono – tale da rendere Trento molto più di una città. Rifugio per chi si batte per i diritti umani (come è già dal 2018, primo Comune in Italia) e polo attrattore e nodo vitale di una rete globale della democrazia e della conoscenza.
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