«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»
Manifesto di Ventotene
domenica, 10 agosto 2025
La presentazione numero 135 di "Inverno liquido" si svolgerà il 10 del mese di agosto a Brentonico.
A dialogare con uno degli autori, Michele Nardelli, ci sarà lo scrittore Marco Niro, autore fra l'altro del romanzo "L'uomo che resta".
Altri dettagli appena li avremo.
Un gruppo di ricercatori presso l'Università degli Studi di Innsbruck (A) ha realizzato un'intervista con uno degli autori del libro "Inverno liquido. La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa". Quelle che qui riportiamo sono le risposte che ho messo nero su bianco e che possono servire anche per altri contesti.
– Il libro fa ripetutamente riferimento a “le terre del non più e del non ancora”. Di cosa si tratta esattamente?
Il “non più” è un passato che non può essere riproposto perché chiaramente insostenibile. Per questa ragione abbiamo definito chi ripropone il vecchio modello – in genere le amministrazioni locali o regionali che investono risorse pubbliche preoccupati di perdere consenso, ma anche operatori economici che hanno uno sguardo corto – come portatori di una forma di “accanimento terapeutico”. Il “non ancora” è rappresentato dalle esperienze che già oggi cercano, con fatica, di proporre un modello diverso di turismo, di sport e di rapporto con la montagna. Realtà che non sono ancora competitive sul piano dei grandi numeri ma che lo potrebbero diventare, soprattutto perché il turismo dolce e relazionale può svilupparsi non solo nelle stazioni sciistiche ma in ogni luogo vero (non finto, per capirci) nel quale la persona possa riconciliarsi con la bellezza della natura. Oggi siamo fra queste due polarità, appunto fra il “non più” e il “non ancora”.
– Lei ha viaggiato in tutta Italia. Quali sono le principali differenze tra Alpi e Appennini, cosa hanno in comune?
Ogni ecosistema è di suo unico e straordinario. La bellezza delle Alpi è diversa da quella degli Appennini, proprio nella loro diversità. Il problema siamo noi come genere umano che abbiamo considerato la natura come qualcosa che ci appartiene e da sfruttare economicamente per il nostro tornaconto personale. In questo modo abbiamo trasferito il modello industriale e urbano sulla montagna, che fossero le Alpi o l'Appennino. L'idea delle grandi stazioni turistiche che si sono affermate sull'arco alpino a partire dagli anni '50 del secolo scorso è così approdato come modello vincente anche negli Appennini. Per un po' ha funzionato e poi è andato in crisi. Per svariate ragioni: la crisi climatica, che ha portato ad un innalzamento del Limite di Affidabilità della Neve (30 centimetri per almeno 100 giorni) di circa 150 metri per ogni grado centigrado di aumento della temperatura media, mettendo fuori gioco molte stazioni sciistiche; per effetto della rapidità degli spostamenti dei turisti, per cui raggiungere le stazioni alpine era più agevole; per la ricchezza sul piano performativo dei caroselli sciistici proposti nel sistema alpino ed altro ancora. Tendenze che hanno un impatto anche sull'arco alpino, rispetto alle quali si è risposto con l'innevamento artificiale, evidenziando anche qui i tratti di insostenibilità dovuti alla scarsità d'acqua dolce, all'aumento dei costi energetici e – questione cruciale – al continuo aumento della quota dello zero termico. Tutto questo non significa che gli Appennini non possano avere una loro attrattività, ma per la loro biodiversità ed un modello turistico più aderente alle caratteristiche di quel territorio. Il che vale sempre di più anche per le Alpi.
– Come si stanno contrastando le drastiche conseguenze del declino dello sci in Abruzzo? Esiste attualmente un'alternativa allo sci che possa reggere in futuro?
Lo sci in Abruzzo continuerà ad avere un proprio ruolo. Quel che va messo in discussione – in Abruzzo come sulle Alpi – è la monocultura indotta dal modello sciistico industriale che tende a fagocitare ogni altra forma di economia. La strada è dunque quella di ricostruire un equilibrio lungo l'intero corso dell'anno, nel quale allo sci invernale si affianchino altre attività legate all'agricoltura di montagna, alla cura e alla valorizzazione del patrimonio silvo-pastorale, al turismo delle relazioni (ne parliamo diffusamente in “Inverno liquido”) e alla promozione di pratiche sportive rispettose del territorio.
– Lei ha anche trascorso molto tempo con la popolazione locale! C'è un esempio di buona pratica di cui direbbe: Questo è il punto in cui siete riusciti meglio a prepararvi per un futuro dinamico?
In ogni capitolo del nostro lavoro abbiamo cercato di evidenziare le criticità e le buone pratiche, appunto il “non più” e il “non ancora”. Le esperienze di Prali per una stagionalità diffusa (Piemonte), dell'area naturalistica della Valpelline (Valle d'Aosta), del turismo relazionale in Val di Funes (Sud Tirolo), quella delle Cooperative di comunità nella Valle dei Cavalieri (Emilia Romagna) o, ancora, della Comunità dei Custodi del Monte Mutria nel Matese (al confine fra il Molise e la Campania), sono lì a testimoniare le straordinarie potenzialità di un modello alternativo ma anche la fatica del cambiamento che è prima di tutto culturale (tanto nell'offerta delle comunità locali quanto nella domanda degli utenti) senza il quale la transizione non sarà realizzabile. L'obiezione che mi può essere fatta è che stiamo parlando di piccole realtà, ma a tale obiezione rispondo che le piccole realtà sono l'insieme del territorio alpino e appenninico mentre le grandi stazioni sciistiche affermate sono sì e no qualche decina. E che anche le stazioni alpine più lungimiranti cominciano ad avere consapevolezza che fra dieci anni o saranno pronte ad una loro riconversione o entreranno in crisi, trascinando con sé le loro stesse comunità.
– Quando ha avuto il momento in cui si è reso conto che tutto stava cambiando? (riferendosi al trafiletto)
Personalmente parlo di turismo dolce o sostenibile (ma questa parola è talmente inflazionata da risultarmi ormai quasi inservibile) da almeno quarant'anni. Oggi però siamo in presenza di una accelerazione di tale portata nel cambiamento climatico che impone scelte radicali. Non basta la resilienza, connaturata ad ogni essere vivente, occorre cambiare rotta, sempre che siamo ancora in tempo. Il Covid ci ha detto almeno per un momento che la folle corsa della crescita infinita avrebbe potuto determinare un ripensamento. Poi ci siamo auto-assolti dicendo “andrà tutto bene” e siamo rientrati nella normalità, senza capire che era proprio la normalità ad essere all'origine del nostro essere andati oltre. Oltre il limite, parola cruciale ma ancora sostanzialmente priva di cittadinanza nel dibattito pubblico.
– Il libro ha ormai un anno di vita. Come è stato accolto e se è cambiato qualcosa da allora?
Se “Inverno liquido” ha avuto in poco più di due anni centotrentaquattro presentazioni (ed altre sono in programma) è stato in primo luogo perché si è trattato di una scrittura collettiva. Questo ampio e dettagliato reportage è infatti stato possibile grazie ad una rete di persone che si sono messe a disposizione, prima nel realizzare l'inchiesta e successivamente nel promuoverne la presentazione sul territorio. Anche le vendite sono andate bene, pur senza avere il sostegno dei grandi media. In ciascuna di queste presentazioni, da Palermo alla Valle d'Aosta, hanno partecipato migliaia di persone senza che mai registrassimo una contestazione. Al contrario abbiamo avuto riscontri positivi da parte di molti amministratori locali e operatori turistici. Forse anche perché abbiamo scelto il dialogo, dando voce nel libro alle opinioni più diverse, evitando la contrapposizione fra ambientalisti e operatori. Senza per questo risultare eclettico. Non so dire quanto sia cambiato con l'uscita del libro, di certo il tema proposto ha suscitato interesse e ha dato respiro a quelle realtà che già si ponevano in chiave critica rispetto al modello dominante. Insomma, un libro può essere ancora un organizzatore collettivo.
– La prossima generazione sarà particolarmente colpita dalle conseguenze del cambiamento climatico. Come percepiscono i cambiamenti i giovani delle regioni montane? Sono pronti ad aprire nuove strade o c'è più rassegnazione?
Questa domanda ci rimanda ad un tema molto complesso e che non vogliamo eludere, tanto è vero che sarà oggetto di un nuovo lavoro editoriale già in fase di gestazione. Perché fra gli effetti positivi di “Inverno liquido” c'è stata anche la creazione di un “Collettivo di scrittura” che avevamo già immaginato proprio nel suo percorso realizzativo (ne parliamo esplicitamente a pagina 26 in un box dedicato). Era un azzardo, ma sono in corso d'opera tre nuovi libri, uno dei quali sarà dedicato proprio al tema di come stanno cambiando le comunità montane. Quindi ne parliamo alla prossima uscita che sarà, ragionevolmente, a gennaio del prossimo anno.
– Come valuta il ruolo dell'industria turistica in Italia nel suo complesso? Quanto influisce sulle regioni montane remote e sui piccoli villaggi di montagna?
In parte credo di aver già risposto parlando dell'industria dello sci e del suo carattere pervasivo verso le economie locali. Non nego affatto che lo sci e l'industria che ne è venuta abbiano avuto un ruolo importante nel superare le condizioni di povertà in cui versavano molte delle nostre valli alpine. Ma quello sviluppo ha portato con sé effetti negativi, alterando la natura dei luoghi, cementificando intere porzioni di territorio, producendo speculazioni di natura finanziaria, avvilendo spesso fino a farle scomparire altre filiere produttive che con il turismo di massa sono state marginalizzate. Il tema dell'abbandono della montagna – come dicevo – sarà oggetto di una nuova ricerca del nostro Collettivo. Di segno opposto, ma a guardar bene, non in contraddizione, è emerso il fenomeno dell'overtourism che ci parla di contesti che invocano la necessità di fare un passo indietro proprio perché ci si rende conto di essere andati ben oltre il limite. E' uscito recentementeun nuovo libro dal titolo “Heimat oder Destination Südtirol?” (arcaedizioni, 2024) per iniziativa dell'associazione sudtirolese “Heimatpflegeverband” che raccoglie diciannove saggi sul tema, tra i quali anche un mio contributo. Il libro è in tedesco e penso che possa oltremodo arricchire queste mie non esaustive risposte.
(risposte a cura di Michele Nardelli)
Brentonico (TN)
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