«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»
Manifesto di Ventotene

Comunità. Di aree interne e terre alte, di energia effettivamente sostenibile e solidale, di geografie ecosistemiche per leggere il nostro tempo.

Alcuni dei partecipanti all'incontro nel Matese

Report sul terzo incontro (in presenza) del Collettivo di scrittura

Matese, 25 - 28 settembre 2025

Il terzo incontro del Collettivo di scrittura nato a partire dalla pubblicazione di “Inverno liquido” si è svolto a fine settembre a Pietraroja (Benevento) e ha visto la partecipazione di Mauro Arnone, Giuliano Beltrami, Micaela Bertoldi, Antonio Cherchi, Maurizio Dematteis, Guido Lavorgna, Alessandro Mengoli, Nino Pascale, Rita Salvatore, Luca Serenthà e chi scrive.

Siamo nel Matese, una delle aree interne del Mezzogiorno che sarà oggetto di indagine nella pubblicazione della Collana di Derive Approdi dedicata all'impatto delle crisi sugli ecosistemi, relativa alla rinascita delle terre alte attraverso il patto politico fra chi sceglie di restare, chi arrivando trova buone ragioni per immaginarvi il proprio futuro e chi sceglie di ritornare dopo una vita realizzata altrove portandosi appresso un bagaglio di esperienze da mettere in gioco.

Sarà il motivo principale che attraverserà questi quattro giorni di immersione in territori spesso segnati dall'abbandono, niente affatto poveri, semmai impoveriti a cominciare da una malintesa idea di modernità e di sviluppo, dalla mancanza di istituzioni di autogoverno e da modelli di sviluppo importati e che avevano e continuano ad avere ben poco a che fare con la ricchezza culturale e materiale di queste terre.

Neanche il tempo di arrivare a destinazione e già entriamo nel vivo del confronto. Alla Biblioteca diocesana di Piedimonte Matese (Caserta), proprio nel luogo dove un paio d'anni fa avevamo realizzato una presentazione molto affollata di “Inverno liquido”, il tema centrale della discussione è il Parco Nazionale del Matese, fresco di istituzione (aprile 2025) su un'area di 87.898 ettari a cavallo fra la Campania e il Molise.

Sono trascorsi più di trent'anni dalla Legge quadro sui parchi, ma potremmo andare ancora più indietro nel tempo se consideriamo che l'istituzione di questi enti ha da sempre suscitato un acceso confronto fra poteri nel rivendicare sovranità, in aperto conflitto fra centralismo statuale e istanze di autogoverno, fra le diverse Regioni coinvolte in territori spesso sovra-regionali, fra ambiti regionali e locali, fra diversi assetti proprietari e antiche forme di proprietà collettiva... conflitti che di volta in volta facevano trasparire la volontà di avere mani libere nella gestione delle prerogative e delle “risorse” delle aree protette.

Niente di nuovo sotto il cielo, si potrebbe dire, il che non elude la necessità di farne un bilancio capace di rilevarne meriti e zone d'ombra, nel tentativo di spostare finalmente in avanti un confronto che purtroppo rischia di manifestarsi sempre uguale a se stesso. Non a caso il tema dei Parchi è da subito rientrato fra gli ambiti di attenzione del nostro Collettivo di scrittura.

Anche quello del Matese non fa eccezione, eppure nei presenti prevale la considerazione che il passaggio fra la dimensione regionale e quella nazionale del Parco possa rappresentare una buona opportunità per rimescolare le carte fra poteri cristallizzati, nonché un'occasione di sperimentazione territoriale per dare ai giovani un buon motivo di restare. E' quest'ultimo l'impegno che da tempo sta caratterizzando il lavoro della Biblioteca diocesana – ci raccontano Luigi Arrigo e Luca di Lello – attraverso un lavoro di inchiesta fra i giovani sulla percezione del loro futuro e l'avvio di alcuni ambiti di ricerca sul ruolo degli spazi museali e della memoria collettiva, sul valore della terra come tratto fondante dell'economia locale, sui processi migratori e sul significato della restanza, sul senso delle parole che potrebbero dare pregnanza al riconoscersi identitario ed altro ancora. Il Parco, insomma, come un'appartenenza ecosistemica e non solo.

Credo proprio che sarà questo il terreno di verifica sul quale il nascente Parco Nazionale del Matese si dovrà cimentare. Perché, malgrado il territorio di cui stiamo parlando abbia conosciuto scempi terrificanti come quello di Campitello, simbolo impattante di omologazione alla monocultura dell'industria dello sci oppure processi di marginalizzazione tipici delle aree interne del Mezzogiorno, è pur vero che questa terra appare in tutte le sue potenzialità, dalle biodiversità alle produzioni tradizionali, come ci racconta Costantino Leuci, responsabile per Slow Food del Matese. Che andremo a conoscere in serata alla Sagra del fungo porcino di Cusano Mutri e al Millenium dove Giovanni e i suoi collaboratori i prodotti del territorio li trasforma con grande maestria.

In tarda serata raggiungiamo Pietraroja, il piccolo Comune di montagna che ci ospiterà durante la nostra permanenza. L'evoluzione demografica di questo Comune parla chiaro. Nel 1881 gli abitanti erano 2245, ma da quel momento inizia un declino inarrestabile. Nel 1961 i residenti erano pressoché dimezzati (1155), per arrivare agli attuali 499, che pure non corrispondono alla realtà di chi effettivamente vive a Pietraroja. Per le strade non c'è anima viva, fors'anche perché a sera qui la temperatura già comincia a scendere. Non sarà poi tanto diverso al mattino, se non fosse per qualche bambino che arriva nella piazza del Municipio, dove ad attenderli c'è lo scuolabus.

Ero già stato a Pietraroja nel 2018, nell'ambito dell'ottavo itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica” (www.zerosifr.eu), dedicato a quelle che Mario Rossi Doria definì “Le terre dell'osso”, un viaggio ricco di suggestioni sul Mezzogiorno che avevo ripreso in uno scritto (https://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=4135) sulla questione meridionale. In quell'occasione ci fermammo per il tempo di un incontro al “Paleolab”. Ma in questa occasione è diverso. Le prime ore del giorno ci offrono uno spettacolo naturale di grande fascino, in un susseguirsi di pietra, pascoli e foreste, dal quale osservare come in un balcone la fertile Valle Telesina.

Prima di iniziare l'incontro del Collettivo, con Antonio andiamo a fare due passi verso la parte più alta di Pietraroja, vicoli stretti fra case di pietra non più abitate e spesso contrassegnate dalla scritta “vendesi”. Un segno, che ci dice molto di più di tante analisi. Ed è un po' così anche per quanto riguarda il Paleolab, il museo archeologico di Pietraroja dedicato a Ciro, realizzato nel 2005 ma già vecchio ed ora inagibile per una ristrutturazione che fa il paio con l'abbandono delle strutture ricreative che lo circondano. Il fossile di Scipionyx samniticus detto Ciro, un cucciolo vissuto circa 113 milioni di anni fa, venne ritrovato qui d Pietraroja nel 1981. Grazie anche al suo straordinario stato di conservazione, ebbe un impatto significativo nello studio dell'anatomia dei dinosauri. E fece di Ciro il simbolo di questa terra un tempo sommersa dal mare ed oggi ricoperta di ricca vegetazione. Un'immagine unica e affascinante anche se l'originale di quel fossile non è più qui.

Siamo ospiti della Pro Loco che ci ha messo gentilmente a disposizione i propri spazi per l'intera giornata. E così nel corso della mattinata il confronto nel Collettivo si svolge attorno allo stato di avanzamento dei due lavori editoriali la cui uscita è prevista rispettivamente nei primi mesi del 2026 e se ci riusciamo all'inizio del 2027.

Iniziamo con il libro sull'energia come bene comune. Alessandro illustra lo stato dell'arte di un testo a cui si sta dedicando anema e core e che ha raccolto sin qui il contributo di Diego, Michele, Neri e Vittorio. Altri ne devono venire, così come le interviste e i racconti che dovranno dare ritmo ad un testo che parte dal fuoco di Prometeo per arrivare al tratto culturale (e solidale) che le Comunità energetiche dovrebbero avere per essere tali.

Ne viene un confronto intenso al quale tutti partecipano, a testimonianza di come il tema energia attraversi ogni ambito di attenzione e di impegno. Arricchendo di idee e di proposte un lavoro che sta prendendo forma con il valore aggiunto della partecipazione collettiva.

Rimane un po' di spazio per l'aggiornamento sul tema che sarà il cuore di un altro percorso di ricerca, quello delle nuove geografie o, meglio, delle geografie ecosistemiche. In questo caso è chi scrive a dar conto del lavoro che abbiamo svolto a Rocca Pietore (Belluno) a fine agosto, che si è rivelato davvero utile. Perché se la tesi di fondo – guardare il nostro pianeta attraverso chiavi di lettura che non corrispondano al paradigma dello stato-nazione – rimane ben ferma, l'indice viene nettamente modificato, prendendo atto della complessità dell'argomento e dell'esigenza di restringere il campo della nostra ricerca all'aspetto specifico degli ecosistemi come chiave per ridisegnare i confini della progettualità politica e istituzionale.

Quello sulle “nuove geografie” non è di per sé un tema così originale, considerato che se ne sta parlando da tempo fra gli studiosi e negli ambiti dei movimenti globali, anche a partire da punti di vista e sensibilità molto diverse. Per questa ragione il contributo specifico che vorremmo portare (e che pensiamo dovrebbe rappresentare l'ossatura della nostra ricerca) l'abbiamo sintetizzato in quattro punti cruciali: una geografia non antropocentrica capace di rivedere il nostro rapporto con gli altri esseri viventi e con le risorse del territorio, in grado di valorizzare il rapporto coevolutivo fra uomo e natura; la necessità di ripensare l'idea di sviluppo sulla base dei cicli ecosistemici, riprendendo il saper fare e il senso della misura tipiche di un'economia non finanziarizzata, uscendo dalla logica monoculturale che impoverisce l'economia locale e che ne svilisce il senso di comunità; ridisegnando le identità alla luce delle relazioni con gli ecosistemi di cui siamo parte e della molteplicità degli attori che animano territori in continua trasformazione; proponendoci infine una lettura del pianeta a partire dalla sua irriducibilità cartografica, perché nella dimensione sferica nessuno è al margine o tutti lo siamo. Dimensione che ci aiuta a comprendere e far nostra la cultura della complessità. In questo caso il lavoro di scrittura vera e propria non è ancora iniziato e i tempi necessariamente più lunghi.

Dopo un ottimo buffet preparato con i prodotti del territorio, riprendiamo la discussione iniziata a Piedimonte Matese. Rita, Luca e Maurizio ci riferiscono sul lavoro di ascolto che si sta realizzando in venti realtà fra terre alte e aree interne della penisola, nell'arco alpino e lungo la dorsale appenninica che sono Melle, Ostana e Prali (Piemonte), Pian dei Resinelli e Vione (Lombardia), l'alta Valle di Cembra e l'altopiano Cimbro (Trentino), l'area che va da Sesto Pusteria al Comelico (Südtirol – Veneto), Valmorel (Veneto), Topolò (Friuli), Valle dei Cavalieri e Pennabilli (Emilia Romagna), Ascrea (Lazio), Gagliano Aterno e Anversa (Abruzzo), Matese (Campania), Botrugno (Puglia), Camini, Badolato, Acquaformosa (Calabria). Si vorrebbe completare la ricerca con un'area della Sicilia e una della Sardegna ancora però da individuare (se ci sono proposte, sono le benvenute). Come già con “Inverno liquido” ne verrà un reportage con al centro la necessità di un patto sociale, culturale e politico fra gli attori locali nella loro diversità di saperi, bisogni, aspettative. Come dicevamo, fra chi ha scelto di restare, chi ha deciso di ritornare e chi arriva nell'intento di ricostruire una nuova vita.

Ne parliamo prima con Concetta Nazzaro, docente di Economia e politica dello sviluppo rurale presso l’Università del Sannio (dove è presidente del Corso di Laurea in Economia Aziendale) e Massimo Mancini, direttore della “Scuola permanente di educazione alla sostenibilità” di Castelpizzuto (Molise) e successivamente con Ettore Rossi, per anni coordinatore di CIVES – Laboratorio di formazione al bene comune di Benevento e fra gli animatori del Manifesto per la felicità pubblica elaborato a Pietralcina da una serie di Sindaci della provincia di Benevento il 9 settembre 2024.

Incontri dai quali misuriamo sia l'interesse verso la nostra riflessione e insieme la comunanza di visione attorno ad un tema – la solitudine ma anche le potenzialità delle aree interne – che proprio recentemente ha prodotto importanti prese di posizione fra le quali quella dei Vescovi italiani di forte critica verso il decreto governativo che intende mettere una pietra sopra la Strategia nazionale aree interne. Primo firmatario proprio l'Arcivescovo di Benevento Felice Accrocca, come a darci conferma di essere nel posto giusto per discuterne. Avremmo voluto confrontarci anche con lui ma nelle stesse ore Accrocca introduce e presiede un convegno dal titolo significativo: “Forum Aree interne 2025. La sfida della bellezza & il futuro creativo”, ed è significativo che il logo del convegno sia proprio quello di Pietraroja, il piccolo Ciro.

Se ne discuterà anche a Castelpagano il giorno successivo nel corso dell'incontro “Strategie per le Aree Interne: governance e innovazione tra vecchia e nuova programmazione” promosso dal Comune con il supporto del GAL Titerno (capofila ATS con GAL Tammaro e GAL Fortore). Una tavola rotonda alla quale siamo stati invitati (la presenza in questo luogo “fuori rotta” di persone come noi provenienti da diverse Regioni per raccogliere le testimonianze dei territori in sofferenza non lascia indifferenti) e nella quale emerge la fatica e i limiti di un'impostazione che si fonda sulla programmazione ministeriale, laddove i bandi e i progetti diventano spesso il fondamento di nuove dipendenze. E poi di abbandono, nel momento in cui il cambio di direzione politica porta al taglio o ad un diverso indirizzo nei finanziamenti. Ne parliamo con Elio Mendillo che del GAL del Titerno è amministratore (l'avevo già incontrato qualche anno fa a Cerreto Sannita), perché questo è il nodo cruciale: la capacità di autogoverno delle comunità locali. Tanto nel far emergere le potenzialità dei territori, quelle umane in primo luogo, quanto nella ricerca delle risorse (che a saper guardare non mancano). Questo non significa escludere la possibilità di accedere a bandi pubblici, ma a partire dalla propria capacità progettuale e dalla consapevolezza che l'attuale cultura istituzionale ha un ambito temporale che non va oltre una legislatura. Autogoverno significa assunzione di responsabilità, non ricerca del facile consenso. Ne sappiamo qualcosa in Trentino, dove l'Autonomia è in grave affanno e non solo per responsabilità della destra che da qualche anno la governa.

Osservo come fra il mondo dell'animazione territoriale attorno alla Strategia nazionale Aree interne lanciata da Fabrizio Barca e l'Appello dei Vescovi (compresa l'iniziativa avviata con la 50 Settimana Sociale dei Cattolici svoltasi a Trieste del luglio 2024) non vi sia traccia di collaborazione, ognuno per la sua strada. L'incontro di Castelpagano avveniva a pochi giorni dall'appello dei Vescovi, eppure di quel testo nemmeno un accenno. Nella discussione informale che prosegue nella grande piazza di Castelpagano, dove siamo invitati a degustare il prosciutto e il pecorino del luogo, ne chiedo il motivo e la risposta mi conferma di mondi che non dialogano fra loro.

Difficile comprenderne le ragioni, almeno sul piano dei contenuti, se non come portato di logiche autoreferenziali. Nulla di nuovo, verrebbe da dire. Ma queste occasioni servono anche a conoscere più da vicino aspetti che altrimenti ti sfuggono. E poi a scambiarci informazioni sul lavoro che si sta facendo e stabilire contatti, quel lavoro di tipo relazionale che, ad esempio, ci permetterà di ritornare quando il libro sul patto di rinascita delle aree interne o sulle comunità energetiche potranno diventare occasioni di riflessione collettiva. Ed è un peccato che la politica – chiusa nella sua bolla e avvezza a sorvolare i territori – non cerchi nemmeno di proporsi come luogo di sintesi.

Le strade che percorriamo per tornare a Pietraroja ci parlano di tutto questo e di tanto altro, per esempio dello scempio compiuto nel tentativo di abolire le Province (governo Renzi) che avevano in carico fra l'altro la manutenzione delle strade provinciali. Che non andò in porto, se non nella sostanza di averle nel frattempo svuotate. Nel percorrere queste strade (lo si può fare solo di giorno per quanto sono diventate pericolose) in realtà si ha l'idea di una distanza cresciuta nel corso di decenni, almeno da quando i partiti si sono messi a ragionare come aziende (quanti sono gli utenti?) e hanno smesso di prendersi cura della vita reale delle persone, a fronte di un paesaggio rurale che mantiene inalterato il suo fascino.

E' un sabato pomeriggio quando rientriamo a Pietraroja. Considerato che in giro non c'è molto movimento, usiamo le sedie e i tavolini del bar nella piazza del Municipio per scambiarci qualche idea sul funzionamento del Collettivo di scrittura, in particolare del coinvolgimento delle persone nei gruppi che non si sono ancora attivati o in nuovi ambiti non ancora immaginati.

Lo abbiamo visto con “Inverno liquido” e lo stiamo vedendo nei lavori in corso di realizzazione: la scrittura di un libro – in particolare quando si vuole che il testo dia conto dell'impatto delle crisi sugli ecosistemi – richiede un lavoro di inchiesta capace di coinvolgere le esperienze e le persone che tali ecosistemi li vivono quotidianamente. Fra una cosa e l'altra occorrono almeno un anno e mezzo o due di lavoro. Nella nostra discussione escono subito dei temi, sui quali pure non si parte da zero: l'overtourism, ad esempio, l'impatto delle guerre sugli ecosistemi, la salute... che si vanno ad aggiungere a quelli già ipotizzati nei mesi scorsi e sui quali però non ci si è ancora attivati (il tema dei parchi, la difesa del suolo e il riordino fondiario, il cibo e la connessione con la terra ed altri).

Poi ci raggiunge in piazza Gianni Bello, protagonista a Pietraroja di un progetto di ospitalità diffusa che ha chiamato “Il villaggio di Ciro” e di un “prosciuttificio” che abbiamo già apprezzato nel buffet del giorno precedente e con lui decidiamo di andarlo a visitare. In realtà dovremmo aspettare un po' perché nel frattempo il villaggio si sta animando di ospiti che vengono a Pietraroja a passare il fine settimana e Gianni li deve accogliere. Ma presto saremo di nuovo con questo ragazzo che dopo la laurea ha deciso di investire in un'attività artigianale di prim'ordine. Il suo prosciutto crudo e il suo lardo sono davvero eccezionali. La sua scelta di restare è parte integrante del disegno al quale vorremmo portare il nostro contributo di idee.

Ci raggiunge a cena Nino Pascale che in questi giorni di vendemmia non ha potuto seguire il nostri lavori. Spiace perché Nino, oltre ad essere titolare di una cantina a Guardia Sanframondi (il suo vino e il suo vermouth allieteranno la nostra serata), è una figura di prestigio che esce dai confini del Matese. Nino è stato presidente di Slow Food Italia e fa parte della rete di Sequs (Sostenibilità Equità Solidarietà) che fa riferimento al movimento per la decrescita felice di Maurizio Pallante. Ho conosciuto Nino quando facevo parte del Consiglio nazionale di Slow Food, per chi scrive un momento tanto intenso quanto limitato nel tempo, ed è stato come se ci conoscessimo da sempre, sul piano dei contenuti come della gioia di occuparsi delle cose belle di questo mondo. Una sintonia che in quell'ambito ho avuto con molte altre persone, tanto è vero che qui a Pietraroja (e nel Collettivo di scrittura) con noi ci sono anche Antonio Cherchi, che di quel Consiglio nazionale era una figura chiave di coordinatore, e Giuliano Beltrami, con il quale abbiamo condiviso l'attività di Slow Food in Trentino.

Con Nino in questo passaggio di tempo ci accomuna la fatica di collocare esperienze e idee dentro una comunità politica che ci aiuti ad oltrepassare 'a nuttata. Se ne parla a proposito delle imminenti elezioni in Campania dove la partita appare scontata a favore del centrosinistra ma questo non ci mette affatto al riparo dal fantasma del presidente uscente Vincenzo De Luca, espressione di quella cultura feudale che segna trasversalmente la politica. Che fare, dunque? La discussione anche fra noi non dà risposte univoche e tutti hanno un pezzo di ragione. Ci rimane il piacere del conversare libero e di una ricerca mai doma, tanto che siamo qui, a Pietraroja, per cercare ancora. A cominciare dall'avvertire che l'impatto delle crisi sugli ecosistemi rappresenti in nuce una sorta di programma politico.

Come ci rimane la speranza che il sollevamento delle coscienze di fronte alla tragedia palestinese non si traduca in un fuoco di paglia per l'incapacità di imparare le lezioni della storia. Penso in cuor mio a quanto sarebbe stato importante in questi mesi il libro che avevamo iniziato scrivere con l'amico Ali Rashid a partire dalla sua autobiografia. Per comprendere le ragioni di quel popolo ma anche dove si è sbagliato, per capire che il manicheismo non aiuta e per evitare che la storia si ripeta all'infinito.

«Notre heritage n'est précedé d'aucun testament» (La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento): quanto appare ancora attuale l'aforisma del poeta e scrittore francese René Char di fronte all'incapacità di elaborazione del passato e dunque di immaginazione del futuro. Il compito dell'intelletto umano va oltre l'indignazione, è comprendere l'accaduto. E magari scriverne, affinché qualcuno sia nelle condizioni di raccogliere il testimone.

Nelle prime ore di una domenica di fine settembre ci godiamo con un buon caffè i primi raggi di sole del nuovo giorno. Guido ci sta aspettando a San Salvatore Telesino per un saluto ed uno scambio di impressioni sulle nostre giornate nel Matese. Il suo lavoro nell'organizzazione del terzo incontro del Collettivo è stato davvero prezioso, ma forse la cosa ancora più importante è la sua capacità di dialogo con mondi diversi. Una sorta di terzietà essenziale nel costruire comunità e che lo fa il candidato naturale alla stesura del capitolo per il libro sul patto per la rinascita di quest'area interna.

Incontrarci di persona fa bene. Alla prossima, dunque (sono aperte le candidature per dove vederci, ragionevolmente in primavera).

Pietraroja, Trento, ottobre 2025

Michele Nardelli

PS. La casa editrice Derive Approdi ci propone di acquisire una parte delle copie di “Inverno liquido” che hanno in magazzino ad un prezzo scontato del 70% (ovvero 6 euro). Sarebbero un centinaio e l'idea potrebbe essere quella di condividere queste copie con le persone che hanno collaborato in modi diversi alla stesura e alla presentazione del libro. Per farne l'uso che ciascuno ritiene più utile: darne una copia alla biblioteca della vostra zona, regalarla a qualche giovane amico che ne fosse interessato, farne un regalo per il natale o altro ancora. Che ne dite di prenderne qualche copia?

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*