"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il progetto locale

Alberto Magnaghi

Il progetto locale

Bollati Boringhieri, 2000


«…Dietro alla parola sostenibilità si celano molte insidie: essa rischia sovente di coprire le cause strutturali del degrado ambientale e sociale attraverso azioni di sostegno al modello di sviluppo dato che non mettono in discussione le regole generatrici del degrado stesso. A partire dalla settorialità e strumentalità con cui viene affrontata la questione ambientale, questi approcci non riescono a superare la dicotomia dei due paradigmi: lo sviluppo e la sostenibilità. …

Lo sviluppo è dettato dalle leggi dell’economia che decidono cosa produrre, dove, come, con quali tecniche, realizzando sistemi insediativi astratti dai caratteri peculiari dei luoghi e dalla loro storia: occorre tuttavia “posare” queste attività in modo “più leggero” che nel passato per non distruggere il supporto del sistema insediativo artificiale. Vale la metafora della bestia da soma: non essendo un soggetto con il quale avere interazione culturale, il territorio non deve essere caricato oltre le sue capacità di resistenza; l’asino non deve essere sfruttato oltre i limiti superati i quali muore, diventando così indisponibile a utilizzazioni successive. La sostenibilità si identifica con i limiti ammissibili di consumo di risorse, di sfruttamento di un territorio, di inquinamento dell’ambiente.

… Questa filosofia “correttiva” è destinata al fallimento perché non “internalizza” la problematica ambientale nelle regole generatrici e nei processi produttivi degli insediamenti, trattandola come problema settoriale, tecnico; l’ambiente non trova nel farsi concreto dell’insediamento umano le regole della sua riproducibilità, conservazione, sviluppo (in senso biologico).

Ciò che costituisce queste regole virtuose non è solo un uso tecnico delle risorse, ma una relazione interpretativa e coevolutiva fra una cultura e un ambiente. Intendo dire che una “rinascita” dei luoghi sepolti richiede atti simbolici, riconoscimenti solidali, la ridefinizione dei rapporti culturali fra uomo e territorio, assumendo quest’ultimo come soggetto vivente e non come mero supporto tecnico. In altre parole, questa rinascita richiede un atto di cura, una relazione di conoscenza non solo utilitaristica, funzionale, ma un riconoscimento della soggettività vivente della natura e del territorio antropizzato.

Ma come si può definire sostenibile un rapporto di cura? Sostenibile può essere definito un rapporto di lavoro alienato (quando sia regolato contrattualmente), oppure il carico sulla groppa di un asino (quando sia tale da non farlo schiantare sotto il peso). Ma i luoghi, lo ripeto, non sono bestie da soma. I luoghi sono soggetti culturali, “parlano”, dialogano del lungo processo di antropizzazione attraverso il paesaggio, restituiscono identità, memoria, lingua, culture materiali, messaggi simbolici e affettivi. Finché, sulla scia della cultura industriale massificata, tratteremo i luoghi come bestie da soma (senza ucciderle di fatica, con un carico “sostenibile”, appunto), resteremo all’oscuro delle loro ricchezze profonde e difficilmente riusciremo a invertire stabilmente l’ecocatastrofe planetaria che abbiamo prodotto con la nostra ignoranza ambientale e locale.»

 

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