"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Tremilaottocentocinquantotto

le piattaforme nel Golfo del messico

di Michele Nardelli

(4 maggio 2010) E' l'impressionante numero delle piattaforme petrolifere presenti nel Golfo del Messico, analoghe a quella esplosa nei giorni scorsi e che ogni giorno vomita nel mare milgliaia di barili di petrolio provocando una delle più gravi catastrofi ambientali della storia. Il grafico pubblicato dal Corriere della Sera del 1 maggio e che qui riportiamo ci racconta di come l'uomo abbia ormai oltrepassato ogni limite. Le immagini della marea nera in uno degli ecosistemi marini più importanti degli Stati Uniti fanno il paio con l'impotenza nel fermare il disastro e con l'arroganza delle società petrolifere che, assicurano, pagheranno il danno. Come se la natura e la vita potessero venir monetizzate.

S'impone una riflessione su un modello di sviluppo che mostra la sua tragica insostenibilità. Obama ora dice "basta trivellazioni" ma nei giorni precedenti l'esplosione della piattaforma della BP aveva autorizzato nuove trivellazioni nel Golfo del Messico per ridurre la dipendenza degli Usa dal petrolio straniero. Come sempre accade, occorrono tragedie come questa per rendersi conto di aver oltrepassato il limite di guardia. Poi, passata l'emergenza, tutto riprende come prima.

Il nostro pianeta appare profondamente ferito. Il delirio dello sviluppo ha contaminato mari (quelli del nord per essere diventati un'immensa discarica nucleare o le isole del Pacifico del sud i cui atolli sono stati usati per anni come immensi laboratori per i test nucleari), prosciugato fiumi e cancellato laghi che erano mari, reso inospitali per secoli intere regioni, avvelenato interi ecosistemi, surriscaldato il pianeta con conseguenze che già oggi vediamo sulle calotte artiche e sui cambiamenti climatici...

In questo paese baciato dal sole si annuncia la costruzione di nuove centrali nucleari (peraltro di vecchia generazione) e non si trovano le risorse per far fronte ad un dissesto idrogeologico che investe gran parte della nostra penisola. Eppure franano montagne e città. In compenso si pianificano condoni per ogni forma di abuso edilizio e si progettano grandi opere come il ponte sullo stretto di Messina noncuranti che si tratti di zone sismiche.

Eppure il Vesuvio fa risentire la sua voce. Devo ammettere di aver provato una certa simpatia per l'eruzione del vulcano Eyjafjallajökul che ha costretto a terra gli aerei di mezza Europa. Come se la natura si riprendesse una sorta di rivincita. Come a dare tardiva ragione a chi nel 1836 ammoniva, invano, un secol che già allora appariva ai suoi occhi "superbo e sciocco".

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