"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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giovedì, 23 gennaio 2025Un momento della presentazione del libro di SImone Malavolti

(23 gennaio 2025) Una significativa partecipazione ha segnato nel tardo pomeriggio di martedì scorso a Firenze la presentazione del libro di Simone Malavolti «Nazionalismi e “Pulizia Etnica” in Bosnia Erzegovina. Prijedor (1990 – 1995)». Lo spazio previsto nel Circolo ARCI – Vie Nuove fatica a contenere le persone intervenute e già questo è un fatto niente affatto scontato.

Perché il libro di Simone non rincorre il clamore, né un'emergenza. E' all'opposto una ricerca storica dedicata ad uno dei capitoli più drammatici della dissoluzione jugoslava. Quello relativo alla città di Prijedor e ad un area della Kraijna occidentale teatro nei primi anni ‘90 di una pulizia etnica che ha investito decine di migliaia di persone che sono state assassinate o costrette alla fuga, alla deportazione e all'esilio dopo aver conosciuto la violenza dei campi di concentramento riapparsi in quell'area (Omarska, Keraterm, Trnopolje) mezzo secolo dopo la fine della seconda guerra mondiale e del delirio concentrazionario e genocidiario che l'hanno accompagnata.

In realtà il lavoro di Simone Malavolti è qualcosa di più di una pur importante ricerca storica. E' un libro prezioso, rigoroso, raro, che fa luce sulle dinamiche che hanno portato una comunità che aveva come simboli identitari lo sviluppo industriale e la resistenza al nazifascismo a precipitare nel gorgo di una guerra di particolare ferocia. E come tutto questo possa divenire realtà in assenza di una narrazione condivisa della storia, quella più lontana nei secoli come in quella più legata alla mancata elaborazione del Novecento, oppure di una educazione alla nonviolenza laddove i richiami alla pace diventano retorici rituali che convivono con culture patriarcali e maciste, o – ancora – dell'odio rancoroso verso l'ambiente urbano e la polis, il mondo della cultura e la vita politica. E di come nessuno, proprio nessuno, possa quindi sentirsi al riparo dal precipizio.

E c'è dell'altro. Per coloro che hanno vissuto nel gorgo della guerra dei dieci anni e ancor più nell'area oggetto della ricerca di Simone, questo libro rappresenta anche una forma di risarcimento, incommensurabile rispetto al dolore provato ma che almeno pone degli ostacoli all'oblio, esito frequente quando si crede che, in fondo, il passato sia meglio scordarselo.

Negli ultimi giorni, uscita la notizia di questa prima presentazione, ho ricevuto segnali di riconoscenza tanto dal mondo di chi se n'era andato altrove, quanto da chi ha avuto la forza di rientrare e ora, re-incontrando per strada i propri aguzzini, pensa di andarsene definitivamente. E questo senza nemmeno averlo potuto leggere (va richiesto all'editore o lo si può trovare nelle presentazioni), perché basta solo la foto di copertina1 per comprendere come quella guerra sia tutt'altro che archiviata.

Del resto, qui come nei paesi di quella che un tempo fu la Jugoslavia, l'elaborazione degli anni '90 del secolo scorso non ha avuto se non in ambiti marginali alcuna cittadinanza. Qui e lì, insomma, di quanto accaduto, si è compreso ben poco, chiusi come si è, qui nei propri stereotipi (o nella rimozione) e lì in narrazioni separate e, per questo, ancora oggi chiusi nel proprio incubo. Per la verità, a Prijedor ci provammo a dar vita ad un percorso di elaborazione che si sviluppò nel corso di alcuni anni, denso di soddisfazioni ma anche di amarezze. Ci lavorò, fra gli altri, anche Simone Malavolti e il libro che presentiamo a Firenze nasce proprio in quella cornice.

Lo dico con il rammarico che vivo con un senso di incomprensione e di sconfitta. Perché quell'elaborazione ci avrebbe aiutato per tempo a comprendere e ad abitare il presente, forse evitando i deragliamenti che nel corso di pochi anni hanno portato alla devastazione culturale e politica dell'Europa.

Fu così anche nei primi anni '90, quando il dibattito sulla Costituzione europea si incagliò – almeno simbolicamente – proprio nell'assedio di Sarajevo e nella distruzione dell'Istituto Orientale e della Biblioteca nazionale, nel tentativo di cancellare l'anima di quella città e la peculiarità di quel sincretismo culturale e religioso che era all'origine dell'Islam europeo. Quella costituzione che ancora non c'è, proprio perché incagliata sulle presunte radici cristiano-giudaiche dell'Europa. Detta in altre parole, sull'idea nefasta di scontro di civiltà.

Da quegli avvenimenti sono trascorsi trent'anni. Ma interrogarsi su quel tratto conclusivo del Novecento non fa affatto male. Così l'attenzione con cui viene seguita la presentazione e la soddisfazione per la serata che avverto nelle parole e che leggo nei volti dei partecipanti, mi confermano che «Nazionalismi e “pulizia etnica” in Bosnia Erzegovina. Prijedor (1990–1995)» rappresenta – nel suo sguardo “terzo e strabico” che non concede nulla ai nazionalismi – un contributo alla ricerca della verità. E, al tempo stesso, uno strumento prezioso per mettere a fuoco un contesto spazio temporale del tutto cruciale che ci può aiutare nel nostro presente. Un buon motivo per leggere il libro e per proporne la presentazione, qui come dall'altra parte del mare. (m.n.)

 

Simone Malavolti

«Nazionalismi e “pulizia etnica” in Bosnia Erzegovina. Prijedor (1990–1995)»

Pacini Editore, dicembre 2024

 

1L'immagine riprende un murales apparso a Prijedor nel 2023 che accomuna il 1942 (la resistenza partigiana del Kozara) e il 1992 (l'inizio della “pulizia etnica”), con la scritta “Sempre per la libertà” in caratteri cirillici.