"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (133)
di Michele Nardelli
«Non ci si salva da soli. Occorre incrociare gli
sguardi, condividere le conoscenze, tessere le
trame di alleanze ampie e plurali, dando vita
a sempre più strutturate comunità di pensiero
e azione. Per essere interpreti di un cambio di
paradigma non più rimandabile. Per pensare
insieme il mondo a venire. Questo libro va
inteso come un numero zero, il primo passo
di un collettivo di scrittura attorno ai nodi del
passaggio epocale che stiamo attraversando»
Sono le parole chiave che fanno da sfondo alla ricerca sull'impatto che la crisi climatica sta avendo sulle terre alte che abbiamo realizzato con “Inverno liquido”. E, insieme, quelle stesse parole collocate nel mezzo di una pagina bianca subito dopo le prefazioni, indicavano un programma di lavoro, ancora in nuce nel viaggio di andata, quando il libro era tutto da scrivere, e in quello di ritorno, come una restituzione a chi insieme a noi l'aveva reso possibile. E, da ultimo, l'idea di una comunità di pensiero e di scrittura.
Da quando “Inverno liquido” è uscito sono trascorsi dodici mesi e un primo bilancio è d'obbligo.
Per prima cosa, abbiamo fatto 100. Era questa la soglia di presentazioni che con Maurizio c'eravamo dati. E grazie proprio al lavoro collettivo nello scriverlo, accanto alle reti costruite nel corso di una vita, l'abbiamo raggiunta e superata. Non mi interessano le performance, mi preme il fatto che ogni presentazione abbia rappresentato un'occasione per riflettere collettivamente su quel che accade alla nostra casa.
Collettivamente, parola desueta. Attraversando la penisola lungo l'arco alpino e la dorsale appenninica abbiamo incontrato almeno quattromilaseicento persone, una piccola ma significativa comunità di attori che avvertono l'urgenza di riprendere la parola per immaginare un futuro desiderabile e sostenibile.
Il libro sta girando di mano in mano, fa discutere e dialogare soggetti che prima nemmeno si parlavano, dà fiato a iniziative locali che immaginano futuri diversi per le loro montagne. Nei giorni scorsi c'è stata una nuova ristampa, la terza, e questo significa, approssimativamente, che sono state vendute sin qui almeno duemilacinquecento copie.
Un riconoscimento importante e niente affatto scontato ci è arrivato ad ottobre con il Premio speciale Dolomiti Unesco dalla Giuria della sezione saggistica della rassegna Leggimontagna 2023 di Tolmezzo. E poi documentari, podcast ed anche una rappresentazione teatrale.
Ma l'obiettivo forse più importante era il costituirsi di un Collettivo di scrittura: più di trenta persone si sono messe a disposizione per un lavoro di elaborazione e di scrittura attorno ai temi ecosistemici. Un collettivo aperto e plurale che si è riunito più volte da remoto e poi il primo appuntamento in presenza, svoltosi nell'affascinante scenario di Marettimo, nelle Isole Egadi, ai primi di ottobre (https://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=5007).
La disponibilità della Casa editrice DeriveApprodi ci ha fatto immaginare una Collana editoriale e ha dato il là a nove gruppi di scrittura, quattro dei quali (Parchi e Aree protette; Comunità Energetiche; Ecosistemi e nuove geografie; Nuovi montanari) sono già al lavoro. E sempre dalla Casa editrice ci è venuta la proposta di seguire la sezione dedicata all'impatto delle crisi sugli ecosistemi della nascente Università parallela.
In altri tempi si sarebbe detto “ben scavato vecchia talpa”. In effetti la talpa non è più giovanissima ma quel che si è messo in moto è decisamente interessante anche per il fatto che gli sguardi che s'incrociano sono di generazioni, di generi e di storie personali diverse.
Ritornano le parole chiave: “non ci si salva da soli”. Questo significa mettersi in gioco, non aver paura di sporcarsi le mani, uscire da ogni autoreferenzialità: vale per le foreste dolomitiche nel dopo Vaia, vale per il futuro delle terre alte e delle aree interne, vale per salvare la nostra casa comune, vale per uscire dal paradigma della guerra.
Per questo nei giorni scorsi abbiamo voluto incrociare nello scenario del Muse di Trento quel che si è messo in moto con “Inverno liquido” con il prezioso lavoro di partecipazione e monitoraggio che è stato realizzato attorno alla COP28 dalla delegazione di giovani donne e uomini che ha partecipato alla grande conferenza di Dubai.
L'incontro allo spazio Agorà del Muse “AltriMo(n)di – Pensieri ed esperienze per futuri desiderabili” è stato bello e partecipato. Aperto dalla riflessione di Mauro Ceruti, filosofo e teorico del pensiero complesso, oltre che amico, sulla transizione necessaria per stare con il Mondo. Per fare della complessità la chiave per abitare il presente. Abbiamo intrecciato il mosaico delle presentazioni di un libro sulla crisi climatica con le emozioni e la fatica di una conferenza internazionale che, comunque la si pensi, ha segnato il riconoscimento condiviso che l'alterazione del clima è l'esito dell'agire umano ed in particolare del paradigma fossile.
Tanto nello svolgersi quanto nel documento finale è emersa la contraddittorietà che segna il nostro presente – come ci hanno raccontato Sofia Farina e Roberto Barbiero – considerata la diversità delle visioni e degli interessi in gioco, il peso giocato dalle grandi potenze globali, la pressione delle lobby degli idrocarburi o del nucleare. Ma anche la presa d'atto che il tempo stringe e che occorrono scelte radicali. Non ci sono stati né vincitori né vinti, ma la conferma di un ambito decisivo da presidiare, anche in questo caso intrecciando gli sguardi e costruendo alleanze, superando l'ipocrisia di parole sempre più vuote come il richiamo alla sostenibilità, indicando l'urgenza di un cambio di rotta.
E' proprio questo presidiare che alla fine ha tenuto aperta la contraddizione. Come hanno dichiarato i delegati delle Isole Marshall: «Eravamo venuti fin qui per costruire una canoa, ne abbiamo una piena di buchi, ma dobbiamo metterla in acqua, perché non abbiamo nessun'altra opzione». La strada è sconnessa ed irta di ostacoli ma è l'unica che abbiamo per evitare il peggio.
Vorrei che questo stesso approccio venisse ricercato di fronte agli orrori che si stanno consumando in Ucraina, nella Mezzaluna fertile del Mediterraneo o nell'abisso del mare che inghiotte giorno dopo giorno migliaia di migranti. Anche qui è tragicamente il “non più” a dettare l'agenda e le vittime della guerra mondiale a pezzetti si contano a migliaia nell'indifferenza diffusa. Il non aver fatto i conti con il cancro del nazionalismo e del razzismo, insito nel paradigma dello stato-nazione, quando è evidente che ognuna delle crisi (ambientale, climatica, idrica, sanitaria, bellica, energetica, migratoria, demografica, alimentare...) è di natura sovranazionale e come tale deve essere affrontata. Mentre il “non ancora” dovrebbe aiutarci a liberare il pensiero dai deliri che ci hanno portati sin qui e a sperimentare strade nuove, consci che il futuro desiderabile lo si costruisce nel presente.
Occorre un nuovo umanesimo riconciliato con la natura, è urgente ridurre la nostra impronta ecologica, è necessario ricollocare il genere umano nel rapporto con gli altri esseri viventi. E al tempo stesso ripensare il diritto e le istituzioni globali, educare alla pace e all'elaborazione nonviolenta dei conflitti, riconoscere l'inconfessabile rapporto fra amore e guerra, avere il coraggio di indagare la natura umana. «Conosci te stesso» scrissero i greci all'entrata del tempio di Apollo.
Solo per richiamare lo scenario in cui viviamo. L'inverno è più liquido che mai e a tremila metri in questi giorni le temperature sono sopra lo zero. La crisi climatica incombe sul futuro, ci chiede di uscire dall'era fossile e di far nostra la cultura del limite. La guerra recluta tutta l'umanità, trascinandoci in uno scontro di civiltà, quando ogni civiltà è l'esito dell'incontro.
AltriMo(n)di potrebbe indicare una modalità per praticare una transizione non più rinviabile. Non riguarda solo il clima, è la consapevolezza dell'essere andati lunghi che ci deve indurre a cambiare rotta.
«Un comune destino ci tiene qui.
Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno»1.
1Mariangela Gualtieri, “Nove marzo duemilaventi”.
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