Dal blog di Federico Zappini (https://pontidivista.wordpress.com/) riprendo questa bella e condivisibile riflessione
di Federico Zappini
(27 luglio 2015) Aggiungere qualcosa sull’affair Borgonovo Re è difficile e forse inutile. Si è detto molto sulla volontà di chiudere alcuni punti nascita periferici, ipotesi sulla quale dopo la venuta al mondo della mia seconda figlia (con parto in casa) non ho un’opinione completamente definita. Non sono mancate le prese di posizione sul metodo di lavoro (mi sembra di capire poco collegiale e viziato da qualche limite di dialogo/ascolto) dell’Assessora in questione.
Visti gli schizofrenici ultimi due giorni vissuti dalla maggioranza di centro-sinistra, la lista di chi può offrire lezioni di stile sembra scarsamente presidiata. Chi la accusa. Chi la difende. Chi la usa. Chi già la rimpiange. Chi la giudica. Chi ne ha chiesto la sostituzione e chi non ha aspettato un secondo per prenderne il posto. Ognuno interpreta il proprio ruolo, sempre e comunque fortemente autoreferenziale e quasi mai intellettualmente onesto. Si sbaglia chi riduce tutto ad una trappola tesa ad un’Assessora scomoda e non troppo avvezza alla comunicazione 2.0. Siamo di fronte a una crisi di sistema, e come tale faremmo bene ad affrontarla. L’unica certezza, da qualunque lato si guardi la faccenda, è che in Trentino regna la confusione più totale e la politica scivola inesorabilmente su di un piano inclinato apparentemente senza fine. Un coacervo di personalismi sfrenati e assenza di senso del bene comune. Una costante navigazione a vista in un mare dalle acque perennemente agitate.
In politica – è bene ricordarlo – non sono le scelte dolorose e impopolari a dover spaventare. Quindi neppure quella che imponga il sacrificio di un’Assessora da 10.000 preferenze singole abbondanti se questa avviene in nome di un miglior equilibrio e di una rafforzata capacità di coesione all’interno dell’azione di governo. Nulla di tutto ciò si prospetta però all’orizzonte e quindi è del tutto normale che i commenti più ricorrenti che provengono dai cittadini (oltre che alcuni dall’interno dei partiti e delle istituzioni) siano apertamente critici rispetto alla decisione presa.
Sarebbe riduttivo e fuorviante però fare riferimento solo a quest’ultima polemica – fragorosa certo ma non estranea al clima diffuso che si respira da mesi nel territorio trentino – senza prendere in considerazione aspetti più generali dell’attualità politica provinciale. Michele Nardelli nelle ultime settimane ha descritto bene lo scenario contingente partendo da un altro “scivolone” della Giunta a guida di Ugo Rossi, quello connesso al possibile ripensamento sulla realizzazione della Valdastico. A Michele è caro un concetto – quello di anomalia trentina – che spesso abbiamo condiviso e che oggi vediamo smarrirsi dentro quella che potremmo descrivere come un’omologazione ritardata (di un quindicennio almeno) al contesto nazionale e più nello specifico a quello dei territori confinanti con la nostra provincia. I segnali in questa direzione sono molteplici e diverse volte sono già stati elencati puntualmente a mo’ di promemoria. Dallo smembramento della riforma della governance provinciale fino ad arrivare al sistema della formazione e della ricerca, passando appunto per il recente ritorno di moda del collegamento stradale tra Veneto e Trentino.
C’è un punto però che dentro la narrazione dell’anomalia (intesa come specificità virtuosa, invidiata e sedimentata) svilita da una generazione di nuovi “barbari” politici non regge del tutto e lascia i suoi sostenitori – io tra loro – isolati e impotenti. L’anomalia a cui ci rifacciamo, quella che coincide per semplificare con i quasi tre mandati di Lorenzo Dellai a capo di un’inedita maggioranza di centrosinistra autonomista, appare oggi molto più lontana e sbiadita rispetto al reale scarto temporale (neppure due anni) che ci separa dalla sua ultima rappresentazione. Non esiste – è bene dirselo chiaramente – una sufficiente consapevolezza collettiva di ciò che sono stati (in termini economici, culturali e politici) quei quindici anni di governance avveduta e lungimirante e non è immaginabile creare, a posteriori, una comunità depositaria del disegno che quella fase ha determinato per il Trentino. Quell’unicità politico/amministrativa non c’è più e diffuse sono le colpe per non averla saputa raccontare, condividere e implementare grazie ad un coinvolgimento più efficace dei cittadini. Non ha senso coltivare l’idea che possa rigenerarsi oggi, come per magia, in opposizione a chi ha deciso di farne perdere anche solo il ricordo, tentando di cancellarne ogni singolo effetto.
Serve un nuovo mito fondativo, perché solo su visioni ampie si riescono ad aggregare idee, energie, competenze e passioni. Serve l’entrata in scena di una nuova classe dirigente (politica, ma non solo) che per il momento non si vede oppure osserva da bordo campo l’evolversi della situazione senza troppa smania di entrare nella contesa. Serve ripartire dai fondamentali della politica e della comunità, oggi sfilacciati o peggio completamente dimenticati. Serve l’orizzonte doppio del territorio e della sovranazionalità perché oggi più che mai una rinnovata anomalia trentina dovrà saper emergere e svilupparsi in contesti dalle geografie variabili e dalle caratteristiche diversissime tra loro, nell’ottica di una specialità autonomistica non solo da difendere costruendole attorno confini impermeabili ma da esercitare in forma di condivisione e messa a disposizione di altri.
Siamo pronti per questo punto e a capo? Provarci è un atto necessario di responsabilità.