"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

13/12/2019 -
Il diario di Michele Nardelli
1998. La festa per il ventennale di Solidariet. In primo piano Mario Caparelli

Caro Mario,

provo a scrivere le parole che avrei voluto rivolgerti nel momento del nostro ultimo saluto ma che, per emozione, ritrosia o timidezza, non mi sono venute.

Il mio primo pensiero, al di là dei tanti episodi di vita che abbiamo saputo intrecciare e che pure sarebbe bello rammentare, non può che andare all'impegno politico che, di questi tempi, facciamo un po' fatica a ricordare ed elaborare. Che invece è giusto rivendicare perché in ciascuno di noi non ci sono compartimenti stagni e perché la politica per noi occupava (e ha continuato ad occupare) uno spazio grande, di cuore e di pensiero, che ci ha fatti incontrare lungo un percorso impervio e appassionante.

Non una moda, non un fuoco giovanile, non l'idea oggi così suadente e finta di chi “si presta” alla politica, ma la politica come modo di guardare e vivere il proprio tempo, coltivandola con la passione delle idee e con l'ironia di saperci perdenti ancor prima di cominciare, perché eretici e perché il nostro modo di interpretare l'impegno politico non amava le sirene accattivanti del potere che pure non hanno mai smesso di metterci alla prova.

Non per coerenza verso una dottrina che poi, associata a Mario, non potrebbe che far sorridere, ma per la bellezza di stare al mondo senza mai far finta di niente di fronte alle peggiori come alle piccole porcherie. Parte di un collettivo che nell'agire locale si sentiva connesso con la dimensione globale. Così, nei momenti più delicati come nei passaggi più difficili, Mario c'era.

Mi si affaccia un ricordo lontano. Quando decidemmo che le nostre idee andavano rappresentate nelle istituzioni dell'autonomia, in quello splendido autunno del 1978 che ci avrebbe visti andare, casa per casa, portando l'appello di Bepi Mattei per il voto a Democrazia Proletaria, Mario si presentò nella sede di via Gentilotti (nei pressi del ponte dei Cavalleggeri) a Trento portandosi un amico, un distinto signore. «Ecco qui il compagno Valeron – ci disse Mario – il nostro candidato per la Valle di Fassa».

Amavamo le missioni impossibili. Un po' rivoluzionari terzomondisti, un po' operaisti, un po' francescani: in quella vecchia casa dei ferrovieri, diventata inabitabile dopo averci costruito a ridosso un grande condominio sorto dove un tempo c'era la casa Volpi (che conoscevo molto bene per essere uno dei luoghi delle scorribande di quando eravamo ragazzini), si comprendeva al solo entrarci di quale genere di persone eravamo. I vecchi mobili recuperati da Michele il ferroviere, una stufetta a legna per scaldare d'inverno almeno una stanza, un salone ricavato dall'abbattimento di una parete che l'aveva resa ancor più traballante, un locale per la carta e il ciclostile (e un ciclostile ereditato dalle sedi precedenti con qualche milione di volantini stampati all'attivo) e poi l'immancabile Granma, l'edizione francese dell'organo del Partito Comunista Cubano che ci arrivava pressoché quotidianamente in abbonamento postale. Mi sembra ancora oggi di sentire l'odore della carta ruvida con cui veniva stampato.

Era la fine degli anni '70, stavamo entrando in quel decennio dove scomparvero prima i Consigli di Fabbrica e poi anche tante fabbriche, alla radicalità politica si contrapposero lo stragismo e gli anni di piombo, al protagonismo sociale subentrò il mantra del successo e dell'arricchirsi.

Malgrado lo spirito del tempo, in quel luogo diventato per caso una sede di partito, si respirava miseria. Eppure quel signore distinto non fece una piega e firmò l'accettazione di candidatura. Così completammo la lista dei candidati, anche noi con il nostro rappresentante ladino. Diventammo amici e quell'anno con Gabriella andammo a passare il nostro primo Capodanno da loro, a Canazei. La sua casa era un po' come la nostra sede. Un po' matti effettivamente eravamo e dormimmo in una stanzetta gelida tanto che, per difenderci dal freddo, il padrone di casa ci diede una bottiglia di whisky. Anche lui non scherzava... Qualche mese dopo Valeron partecipò con grande naturalezza ad un'assemblea nazionale dei delegati nei pressi di Rimini nella quale come al solito ci azzuffammo fra una tesi e l'altra. Eravamo preoccupati dell'idea che di noi si sarebbe fatta, ma anche in questo caso rimase imperturbabile.

Poi ci perdemmo di vista. Ogni tanto chiedevo a Mario se avesse sue notizie ma niente o quasi. Quando al cimitero di Trento ci siamo salutati, mi guardavo attorno se per caso non spuntassero i baffi ben curati di Valeron. Chissà che fine avrà fatto Paolo Soraperra, così si chiamava[1].

Dopo qualche anno andai a lavorare a Roma, la città di Mario, ero diventato il suo messaggero verso i suoi anziani (o almeno così mi sembravano allora) genitori che non erano certo abituati ad entrare in un luogo di sovversivi quale poteva sembrare ai loro occhi la direzione nazionale di Democrazia Proletaria. Ma la mamma di Mario mi prese in simpatia.

Anche quando decidemmo di separare i nostri destini dal partito a livello nazionale dando vita (in quei giorni fatidici del novembre '89) a Solidarietà, Mario “il romano” fu parte della nostra scommessa federalista.

Ci pensò poi la vita e le sue vicissitudini a portarlo su traiettorie imprevedibili e dolorose. Quando il figlio Andrea decise di non essere più di questo mondo tutto sembrò crollare. Difficile risalire da quel vuoto profondo che ti rimane dentro come fallimento. Poi il bisogno di vivere riprende forma, ti sprona ad uscire dal guscio. Così Mario riapparve fra noi, provato certamente ma non per questo meno disposto a ritrovare un senso alla propria traiettoria esistenziale. Seppure con quel velo di tristezza che si confondeva con l'ironia di sempre.

Mario – talvolta malgrado le apparenze – era persona impegnata. Era in primo luogo “il Professore”, cui si affiancavano gli altri tasselli di impegno civico e sociale: l'ambientalista di Legambiente, il rianimatore dell'associazione Dante Alighieri di Trento, l'attivista del circolo culturale Rosmini, l'amministratore della Fondazione Crosina Sartori, il tifoso della Roma, l'amante del cinema e della montagna. E poi ancora la militanza politica. Bastava chiamarlo, il Kappa c'era sempre. Persino quando imboccammo – senza nemmeno sceglierla – la strada del liberi tutti (e tutte), che poi per diversi di noi si tradusse nell'adesione al costituendo PD, Mario sapeva vivere questi passaggi in maniera disinvolta, ben sapendo che prima delle adesioni formali c'era un sentire ed appartenere comune che nessuna logica di partito avrebbe potuto cancellare.

Mi chiese ad un certo punto di dargli una mano nell'attività della “Dante Alighieri”, storica associazione che sentiva il peso del tempo. Gli proposi alcuni incontri, presentazioni di libri e viaggi. E quel luogo si rianimò. Un lavoro che avrebbe richiesto quell'impegno sistematico che Mario non aveva nelle sue corde e forse anche nelle sue energie.

Un giorno, non molto tempo fa, venne a casa. Mi disse che gli sarebbe piaciuto avere una piccola baita in montagna e conoscendo le nostre frequentazioni della Valle del Fersina, mi chiese se sapessi di qualche opportunità. E fu così che da un amico che all'amore per la valle incantata stava rinunciando, nella piccola frazione di Houver a Fierozzo Mario acquistò la porzione abitabile di un vecchio maso.

Di quella piccola e vecchia casa in un insediamento storico nella valle incantata Mario era proprio orgoglioso, anche se il fiato per le passeggiate che aveva immaginato cominciava a mancare, Ma nelle sue intenzioni quel luogo era soprattutto una possibilità di incontro con le sue persone care. E così quando ci si vedeva o quando veniva a casa a portarci le tessere di Legambiente, Mario me ne parlava con entusiasmo.

Eppure, nonostante l'amore per la montagna, Mario era un pesce di città dove sguazzava come nel suo elemento naturale fra un cinema, un dibattito o una partita della Roma. Oppure in giro per il Trentino e per l'Italia con il tuo camper che caro Mario, accompagnandoti per l'ultima parte del tuo cammino, era diventato vecchio come te.

Ci rivedremo da qualche parte, certamente nella Valle del Fersina, ogni volta che girovagando per i miei boschi, volgerò lo sguardo verso Houver.

Un forte abbraccio.

Michele

 

* Mario Caparelli è nato a Como il 5 ottobre 1941. Laureato in Fisica e Meteorologia, ha insegnato per molti anni all'IPC di Trento. Se ne è andato improvvisamente il 30 novembre 2019.

 

[1]Dopo aver scritto questo pezzo mi sono messo a cercare Paolo Soraperra, per dirgli della morte di Mario e per il piacere di risentirlo dopo tanti anni. L'ho trovato in Toscana, dove vive con Laura. L'emozione di scambiare delle parole al telefono con lui è stata davvero forte. E prima o poi andrò a trovarlo. Intanto voglio pensare che Mario mi abbia portato sulle sue tracce.

 

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