"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Donatella Di Cesare *
La parola chiave della sentenza emessa dalla Corte Suprema spagnola è sedición, sedizione, cioè la rivolta pubblica contro l’autorità. Ma le pene sono talmente pesanti che, malgrado ogni smentita, dietro sembra risuonare il reato di ribellione, vale a dire uso della violenza anticostituzionale. Il che è in linea con tutto il processo contro gli esponenti dell’indipendentismo catalano, un processo durato due anni, durante i quali gli imputati, costretti al carcere preventivo, non hanno potuto far valere i loro diritti.
Particolarmente significative sono la condanna a 12 anni inflitta a Carme Forcadell, filologa e attivista politica, ex presidente del Parlamento catalano e quella a 13 anni, la più alta di tutte, con cui è stato punito Oriol Junqueras, ex vicepresidente del governo catalano, leader del partito di Sinistra repubblicana (Esquerra Republicana). Alla sedizione si aggiunge il reato di malversazione, cioè l’utilizzo di fondi pubblici impiegati per il referendum del 2017. Occorre ricordare che ad essere colpiti sono anche i rappresentanti della società civile accusati di «disobbedienza». Il bersaglio è tutto l’indipendentismo catalano. Ada Colau, sindaca di Barcellona, ha parlato giustamente di «sentenza crudele». Le manifestazioni di protesta riempiono le strade della Catalogna, da Girona a Lleida, mentre sono previste anche azioni di sabotaggio.
Costituzione della Comunità del Cibo Slow Food di San Marco
Promotori
Pro loco Paîs di San Marc, Comitato frazionale gestione beni civici di San Marco, Slow Food Friuli, Ce.V.I. – Centro di Volontariato Internazionale
Con la collaborazione di
Cooperativa agricola di Comunità D.E.S. Friûl di Mieç. AIAB – Aprobio F-VG, Forum dei Beni Comuni e dell’Economia Solidale del F-VG
Con il patrocinio di Comune di Mereto di Tomba
TERRA e COMUNITA’
Costituzione della Comunità del Cibo Slow Food di San Marco
Sabato 11 maggio 2019 – ore 16.30
Sala della Comunità di San Marco, Via del Monumento, 21 – San Marco, Mereto di Tomba (UD)
Nel 2012 la Comunità di San Marco si è riappropriata dei propri beni civici, 5 ettari di terra che appartengono ai suoi abitanti da centinaia di anni. Da allora è iniziato un percorso di partecipazione dei cittadini e di sperimentazione di nuove forme di economia locale, basate sulla sostenibilità ambientale e sulla solidarietà. Da San Marco ha preso avvio il progetto “Pan e farine dal Friûl di Mieç”, che oggi coinvolge decine di soggetti fra enti locali, aziende agricole, panifici, piccole botteghe, impegnati nella produzione, trasformazione e distribuzione del frumento, prodotto senza l’utilizzo di pesticidi o fertilizzanti chimici nel territorio del Medio Friuli.
A sei mesi dal ciclone che il 29 ottobre ha investito le foreste dolomitiche e carniche, sradicando 14 milioni di alberi, “La Nuova Ecologia” è tornata sulle Alpi orientali. Per raccontare gli effetti del clima che cambia, anche in montagna. E capire se ci stiamo attrezzando per il futuro. Un reportage di Fabio Dessì pubblicato sull'ultimo numero del mensile di Legambiente "La Nuova Ecologia" dedicato al decimo itinerario "Esiti del cambiamento climatico" del "Viaggio nella solitudine della politica".
di Fabio Dessì
Eravamo abituati a guardarli in tv gli effetti dei cambiamenti climatici, a leggere di eventi estremi su giornali e siti internet: incendi giganteschi, uragani sempre più frequenti e violenti, piogge torrenziali. Accadevano, e continuano a farlo, dall’altra parte del mondo. Pensavamo che la faccenda non ci riguardasse in prima persona, che nella peggiore delle ipotesi se la sarebbero sbrigata i nostri nipoti. Illusioni spazzate via lo scorso 29 ottobre dal ciclone mediterraneo “Vaia”, che ha raggiunto le Alpi orientali per accanirsi sulle foreste dolomitiche e carniche. In poche ore in Trentino, Sud Tirolo, Veneto, Friuli Venezia Giulia, e in piccola parte Lombardia, sono stati strappati dalla terra in cui affondavano le radici 14 milioni di alberi, scagliati verso i paesi di fondovalle, dentro fiumi e laghi. Sei mesi dopo attraversare quelle valli e quei passi è un colpo al cuore: i boschi si sono trasformati in radure costellate da ceppaie. E in ogni area colpita dalla furia di acqua e vento sembra di trovarsi davanti a un enorme “shangai”. Perché, visti da lontano, quelli ammassati l’uno sull’altro sui versanti sembrano migliaia di bastoncini. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta invece di abeti rossi piantati dopo la prima guerra mondiale. Con loro sono venuti giù anche pini neri e silvestri, faggi, tigli, aceri, ontani, larici, querce, frassini, sorbi, betulle. Servirà grande attenzione nel rimuovere le piante schiantate, dove è possibile farlo, e tanta pazienza. Ma la sfida più dura sarà convincere i più giovani a non ingrossare le fila di chi la montagna l’ha già abbandonata.
E intanto sono due anni che il Comune deve ricevere fondi che gli spettano, rischiando il dissesto secondo quello che sembra un piano preordinato
Era il Capodanno del 2001. In uno dei nostri primi viaggi del turismo responsabile andammo con l'amico Tonino Perna a visitare Riace ed in particolare l'esperienza degli amici di Città Futura impegnati nell'accoglienza e nella valorizzazione del territorio. L'idea era davvero interessante: ridare vita ad un borgo abbandonato da una parte significativa dei propri abitanti emigrati al nord o in altri paesi attraverso la concessione delle abitazioni in comodato d'uso a chi voleva mettere nuove radici in quella terra e riattivare antichi mestieri che si andavano perdendo. Noi stessi in quell'occasione venimmo ospitati in una di queste abitazioni altrimenti vuote, concretizzando in questo modo anche una diversa idea di offerta turistica. Ricordo in particolare lo stupore di noi tutti di fronte alla bellezza dei manufatti artigianali che venivano dalla lavorazione della ginestra, una delle tradizioni che Città Futura aveva fatto rivivere. In quella circostanza conoscemmo anche Domenico Lucano che di quell'esperienza era l'animatore. Mimmo non era ancora sindaco, ma ci rimase impresso il suo fervore vulcanico che aveva come caratteristica in primo luogo l'amore verso il territorio. Ora Mimmo, nel frattempo diventato Sindaco di Riace, è stato arrestato per aver perseguito con risultati positivi quell'idea di accoglienza, tanto da divenire un simbolo e un modello anche in altri paesi. Riprendo qui l'articolo pubblicato nel giugno scorso con il quale Tonino Perna faceva trasparire un cattivo presagio che poi si è tristemente avverato. Quando in quegli stessi giorni siamo stati con il “Viaggio nella solitudine della politica” nelle “Terre dell'osso” volevamo andare ad incontrare anche Mimmo nella sua Riace, ma non ce l'abbiamo fatta. Tonino ora mi propone di andare a dicembre in Calabria a presentare “Sicurezza”. Sarà l'occasione per un nuovo itinerario e per riabbracciare con l'amico Tonino anche Mimmo Lucano, al quale in queste ore buie va tutta la mia vicinanza e solidarietà. (m.n.)
di Tonino Perna *
In un’intervista del ministro Salvini a Repubblica.tv, diventata virale sui social, il leader della Lega invitato dall’intervistatore a mandare un messaggio al sindaco di Riace “Lucano” ha testualmente risposto: «Al sindaco di Riace non dedico neanche mezzo pensiero. Zero. È lo zero».
Questa risposta si commenta da sé e il ministro dovrà risponderne di fronte ai calabresi, ai meridionali e a tutti le italiane e gli italiani che in questi vent'anni sono venuti a Riace per tirare una boccata di ossigeno, per scoprire come si possa convivere tra tante etnie e culture diverse, per vedere con i propri occhi quello che un grande regista tedesco ha dichiarato di fronte a dieci premi Nobel per la pace: «A Riace, un paesino della Calabria, ho scoperto la vera civiltà e quale potrebbe essere il nostro futuro». È successo nel 2009, nella ricorrenza del ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, quando Wim Wenders, dopo aver girato un docufilm su Badolato e Riace, ha così esordito stupendo la stampa di mezzo mondo.
Uno sguardo alle elezioni regionali del Friuli–Venezia Giulia 2018
di Giorgio Cavallo
Sono ormai passati alcuni giorni dalle elezioni regionali F-VG del 2018. Spero sia passata l’onda emotiva in cui ero coinvolto per la presenza del Patto per l’Autonomia e l’attesa del suo risultato. Ma ora è fatta, e malgrado il mio algoritmo previsionale desse un finale del 3.95% dei voti di lista, la realtà è stata benevola e grazie al “benandante Sergio” è arrivato il 4,09% con due seggi nel nuovo Consiglio Regionale.
Il prof. Feltrin, da totale incompetente di questo mondo, parla dello “zoccolino duro dell’autonomismo”: ma lasciamolo pure dire. Il futuro chiarirà se questo segnale è altro e se i politologi italiani dovranno frequentare qualche corso di aggiornamento. Lo stesso istituto Cattaneo nelle sue analisi delle dinamiche del voto non si azzarda a capire o valutare il senso di questa presenza territoriale, ed è unicamente interessato alle dinamiche dei tre attori tragicomici che occupano la scena.
Per quanto mi riguarda quando analizzo i risultati di una elezione o un referendum lo faccio secondo una griglia particolare che cerca di interpretare l’evoluzione della crisi sistemica delle offerte politiche italiane nei loro rapporti con i cittadini ed i possibili riflessi sul percorso di decomposizione-trasformazione della Repubblica in cui viviamo.
Pensieri sparsi alla vigilia del viaggio a Bruxelles, promosso Usr Cisl Toscana e Istel, nell’ambito del percorso formativo: “I venerdì di Via Dei”, 18-20 aprile 2018
di Francesco Lauria *
Chi deve interpretare il tempo che resta per ritrovare una bussola nella comunità smarrita?
Alla vigilia di un viaggio “sindacale” nel cuore dell’Europa, mentre in televisione o dagli schermi dei nostri smartphone osserviamo i missili occidentali delineare una possibile nuova “guerra umanitaria”, è questa la domanda notturna che risuona, analizzando quella che Aldo Bonomi ha definito, riecheggiando Baumann, “liquefazione spaziale”.
Questa perdita della solidità e relazione si ritrova anche a cospetto della rilevante perdita di capacità culturali, organizzative e normative, di trasformare il lavoro, nelle sue varie e non sempre catalogabili forme ipermoderne, in soggettività collettiva attiva e solidale1.
Lo sguardo, in particolare se si rivolge all’Europa strappata di questo tempo, rimane sospeso nelle “vicissitudini dell’io”, ripetuto nazione per nazione, incapace di rielaborare, uscendo da sé, un noi inclusivo, in cui riconoscersi, essere riconosciuto e, infine, riconoscere.
Ci perdiamo, naufraghiamo come singoli e collettività, nell’incapacità di ritrovarci, pensiamo a costruire nuovi recinti, nuove illusorie e falsamente rassicuranti comunità chiuse, a volte, le trasformiamo, persino in “comunità maledette”2, nonostante il monito che le guerre “fratricide” dei Balcani avrebbero dovuto imperituramente lasciarci.
Questo piccolo saggio è apparso sul n.113 di "Protagonisti", la rivista dell'Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea (Isbrec) dedicato al tema delle autonomie e della Regione Dolomiti.
di Michele Nardelli
«... E' pericoloso credere che un individuo o un gruppo possa essere libero solo a patto di essere anche sovrano. La famosa sovranità delle società politiche non è mai stata altro che un'illusione, che per di più può reggersi solo grazie agli strumenti della violenza, cioè con mezzi di per sé extra-politici. Data la condizione dell'uomo, determinata dal fatto che sulla terra non esiste l'uomo, bensì esistono gli uomini, libertà e sovranità sono così lontane dall'identificarsi da non poter neppure esistere simultaneamente. … Se gli uomini desiderano essere liberi, dovranno rinunciare proprio alla sovranità». Hannah Arendt, Tra passato e futuro
Hannah Arendt scrive queste parole nel 1954 ma il suo sguardo lungo giunge fino a noi, in questo tempo di “sovranismi” dove riecheggiano, malgrado le lezioni della storia, le rivendicazioni del “prima noi”, eco appunto di quel “Deutschland über alles” così foriero di sventura.