"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(29 novembre 2012) Un voto storico quello di oggi al Palazzo di Vetro. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con 138 sì, 9 no e 41 astenuti accoglie la Palestina come "Stato osservatore". Il voto è venuto dopo il discorso del presidente dell'Anp Abu Mazen di presentazione della risoluzione poi approvata a larghissima maggioranza.
"La Palestina viene all'Assemblea Generale oggi perchè crede nella pace e la sua gente ne ha un disperato bisogno. Dateci il certificato di nascita", aveva detto Abu Mazen convinto di "rilanciare il processo di pace" anche se con paletti ben piantati. "E' arrivato - ha detto il leader palestinese - il momento di dire basta all'occupazione e ai coloni, perché a Gerusalemme Est l'occupazione ricorda il sistema dell'apartheid ed è contro la legge internazionale". E ha ribadito che i palestinesi "non accetteranno niente di meno dell'indipendenza sui territori occupati nel 1967 con Gerusalemme Est".
di Federico Zappini
Cara Europa,
so che guardi anche tu con apprensione alle notizie che arrivano da Gaza, Tel Aviv e Gerusalemme. So che tendi l'orecchio e in cuor tuo speri che non siano fondate le voci di un imminente attacco di terra dell'esercito israeliano. Non servirebbe il verificarsi di questa eventualità per essere preoccupati, non servirebbe altro sangue per rendere la situazione insopportabile. Principessa Europa, stiamo parlando delle terre nelle quali la mitologia greca pone le tue origini. Territori magici, territori fertili, territori traditi che non si possono che amare. Stiamo parlando delle tua casa e di una parte importante della tua storia.
di Ali Rashid
(18 novembre 2012) Gli sviluppi militari dell'offensiva israeliana su Gaza sono imprevedibili e potrebbero sfuggire di mano. Il ministro della Difesa israeliano Barak ha espresso la sua determinazione a raggiungere tutti gli obiettivi prefissati e continua ad ammassare truppe di terra nella zona richiamando altri riservisti. A Barak bisogna ricordare che, a partire dalla guerra contro il Libano del 2006, nessuna operazione militare israeliana ha raggiunto i suoi obiettivi. Gli unici risultati raggiunti finora da questo attacco sono la morte definitiva dell'accordo di Camp David con l'Egitto, il rafforzamento di Hamas sul piano regionale a scapito dell'indebolimento di Abu Mazen e dell'Anp e, di conseguenza, della possibilità di rinascita del processo di pace.
(28 novembre 2012) Quattro anni fa, in quei drammatici giorni che seguirono l'assedio di Gaza, lanciammo un appello dal titolo: "La questione morale del nostro tempo". Rappresentava il tentativo non solo di uscire dalla spirale della guerra ma anche dai rituali dello schierarsi con le parti in conflitto, per provare ad indicare una prospettiva diversa, capace di modificare il nostro sguardo su un conflitto che affonda le proprie radici nel cuore di tenebra dell'Europa e del suo Novecento.
Si avviò una carovana. Si nutriva di culture e di storie che la guerra intendeva cancellare, di resistenza nonviolenta a dispetto della chiamata alle armi, di relazioni fra territori e persone nell'intento di valorizzare luoghi e saperi che nell'intreccio del Mediterraneo hanno costruito straordinarie civiltà niente affatto in conflitto. Una rete fittissima di esperienze che hanno interagito con la "primavera araba" dopo la quale niente è più come prima.
Oggi la storia sembra ripetersi, quasi a voler abbattere i ponti di dialogo costruiti a fatica nel contesto dei grandi cambiamenti di questo tempo. Di nuovo assistiamo impotenti al dilagare della guerra. Le popolazioni civili vedono aggiungersi nuove sofferenze e nuove distruzioni, tanto in Palestina dove nuovi lutti si aggiungono ad una interminabile lista del dolore, quanto in Israele dove un numero pur minore di vittime non attenua lo stato di tensione e di paura. Per entrambi, l'insicurezza e l'incertezza del domani avviliscono l'esistenza ed offuscano le menti.
Nell'ambito della rassegna di Religion Today, proiezione del film Little Town of Bethlehem di j. Hanon (Usa, 2010).
Seguirà una conversazione con ospiti il teologo Paul Renner e il presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani Michele Nardelli.
Riprendo questo testo che condivido ampiamente e che credo rappresenti un modo diverso di immaginare il futuro nella martoriata Mezzaluna fertile del Mediterraneo.
di Awad Abdelfattah e Jeff Halper
The Electronic Intifada
Un paese, due popoli, tre religioni. È tempo che una soluzione a uno stato unico basata sulla parità di diritti diventi senso comune. Il "conflitto israelo-palestinese" è stato spesso presentato come uno dei più intrattabili nella storia del mondo moderno. Ma una ragione di ciò è proprio che è stato erroneamente analizzato come un conflitto e quindi le "soluzioni" offerte e i "processi di pace" per arrivarci sono falliti. Questo non è un conflitto. Non ci sono due parti in conflitto su alcune questioni che possono essere risolte attraverso negoziati tecnici e compromessi. Piuttosto, il sionismo era – ed è – un progetto coloniale di coloni. I coloni ebrei arrivarono in Palestina dall'Europa con l'intenzione di conquistare il paese e farlo proprio. Come tutti i movimenti dei coloni, erano dotati di una narrazione: il motivo per cui il paese apparteneva effettivamente a loro e hanno perseguito unilateralmente la loro rivendicazione di diritto. La popolazione indigena palestinese (che includeva sefarditi, mizrahi ed ebrei ultraortodossi) non aveva voce nel processo; non erano una “parte”, ma semplicemente una popolazione di cui sbarazzarsi. Ciò rimane vero fino ad oggi, poiché il progetto dei coloni sionisti ha virtualmente completato il suo compito di giudaizzare la Palestina, di trasformare un paese arabo in uno ebraico. La sua conclusione inevitabile è l'apartheid: confinare i palestinesi in enclave disconnesse e impoverite sparse per oltre il 15 per cento del loro paese.
(12 luglio 2012) Il ministro palestinese del lavoro - e ad interim dell'agricoltura - Ahmad Madjalani ha incontrato stamani il presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai. Due gli interessi prioritari al centro della visita del ministro: dare continuità d'azione al protocollo d'intesa firmato dall'Autorità palestinese con la Provincia autonoma lo scorso anno e approfondire la conoscenza di alcune peculiarità del Trentino, in particolare l'esperienza della cooperazione. Il presidente Dellai - che ha consegnato al ministro lo stemma del Trentino - ha ricordato a sua volta i rapporti di amicizia e collaborazione già avviati negli anni scorsi e ha auspicato un loro ulteriore approfondimento, a partire da settori come quello dell'agricoltura.