"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Allargamento sì ma non ancora. Si conclude così il summit UE dedicato ai Balcani occidentali del 5 e 6 ottobre in Slovenia, nel castello di Brdo pri Kranju. I 27 non offrono alcuna data concreta. Un segnale debole mitigato solo dal sostanzioso pacchetto di investimenti promesso.
di Tomas Miglierina *
(7 ottobre 2021) Il compromesso è arrivato lunedì 4 ottobre, all’ultima riunione del Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti che è – nei fatti - il cuore del potere dell’Unione europea. È li che finalmente la parola proibita, “allargamento”, ha ritrovato diritto di cittadinanza nella bozza definitiva di dichiarazione del vertice di Brdo sui Balcani occidentali. Ma in una frase assortita di distinguo. Una frase lunga, contorta e infarcita di ripetizioni, che tradisce i numerosi rimaneggiamenti da cui è stata partorita. Eccola, nella nostra traduzione dall’originale inglese:
“L’UE riafferma il suo sostegno senza equivoci per la prospettiva europea dei Balcani occidentali e saluta l’impegno dei partner nei Balcani occidentali per una prospettiva europea, che è nel nostro interesse strategico reciproco e rimane la nostra scelta strategica. L’UE conferma il suo impegno nel processo di allargamento e le decisioni prese a riguardo, basato su riforme credibili dei partner, condizionalità corretta e rigorosa e il principio [per cui ciascuno va valutato] secondo i propri meriti”.
Oggi, 8 giugno, il Meccanismo residuale del Tribunale penale internazionale dell'Aja ha emesso il verdetto finale a carico di Ratko Mladi, comandante di stato maggiore dell'esercito serbo bosniaco (VRS), confermando la sentenza di primo grado al carcere a vita (da www.balcanicaucaso.org)
Latitante per ben 16 anni, oggi, dopo 26 anni dal primo mandato di cattura e tre anni e mezzo dal primo verdetto, Ratko Mladi è stato condannato in appello dal MICT (Meccanismo residuale del Tribunale penale internazionale dell'Aia per i crimini nella ex Jugoslavia che a gennaio 2018 ha sostituito l'ICTY) al carcere a vita confermando così la sentenza di primo grado.
Mladi, nato nel 1942 nel villaggio di Boanovii vicino a Kalinovik a circa 70 km da Sarajevo, è stato militare di carriera nell'esercito popolare jugoslavo (JNA) e nel maggio 1992, un mese dopo l'inizio della guerra in Bosnia, è stato nominato comandante di stato maggiore dell'esercito serbo bosniaco (VRS) il cui comando ha mantenuto per tutto il conflitto e fino ai primi mesi del 1996.
“È una persona molto, molto pericolosa”, disse la procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia dal 1999 al 2007 Carla del Ponte, quando Mladi era ancora un ricercato.
Ancora una volta ci saremo. In silenzio. In piazza. Fermi. Saremo a ricordare ciò che troppi cercano di dimenticare, di cancellare, di far sparire. Saremo a recitare i nomi di quei 102 bimbi morti in una guerra senza senso. Saremo in piazza con le nostre fasce bianche, perché i segni della discriminazione, dell’ingiustizia, della disuguaglianza, dell’orrore, sono uguali ovunque.
Anche quest’anno vogliamo ricordare, assieme a tutte le città che in Regione, in Italia, nel Mondo hanno deciso di dedicare quel momento del 31 maggio al ricordo. Sono più di 80 le città del Mondo che con Prijedor, in Bosnia Erzegovina, vogliono ricordare cosa accade quando una guerra finisce e non arriva la pace. Nella Bosnia Erzegovina di oggi, che vuole entrare nell’Unione Europea, quasi 25 anni dopo la guerra che dissolse la ex Jugoslavia la pace è lontana. Nelle cancellerie degli Stati vicini si elaborano documenti per dissolverla definitivamente, spartendola fra una Grande Serbia e una Grande Croazia. La fine della guerra non ha unito i popoli. I giovani sentono ancora raccontare storie differenti. Si educa alla divisione. Si insegna l’indifferenza, quando non si insegna l’odio.
Nell'ambito del percorso "L'orizzonte - Una piazza virtuale" promossa da Claudio Voltolini come proposta di confronto e di condivisione di idee, giovedì 25 marzo 2021, alle ore 20.30, sulla Piattaforma Zoom, si svolgerà la seconda conferenza dal titolo "Balcani, il cuore inascoltato dell'Europa". A dialogare con i presenti sarà Michele Nardelli, fondatore di Osservatorio Balcani Caucaso.
«Nei mesi scorsi si è tornato a parlare dei Balcani a proposito del dramma che si sta consumando da anni lungo la rotta migratoria che attraversa quella regione d'Europa.
Del resto sui Balcani si accendono i riflettori quando scorre il sangue o si consumano tragedie come quella dei migranti, fari che poi vengono spenti quando tutto questo diviene cinicamente ordinaria amministrazione oppure un groviglio che le cronache (e i lettori), nella loro superficialità, faticano a comprendere. E' accaduto così anche per “la guerra dei dieci anni” con cui si è concluso il Novecento europeo...
Luigi Ottani
Shooting in Sarajevo
a cura di Roberta Biagiarelli
Bottega Errante Edizioni, 2020
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Martedì 16 marzo 2021, alle ore 18.30, sulla Pagina Facebook di Bottega Errante Edizioni
Presentazione del libro “Shooting in Sarajevo” (Bottega Errante Edizioni, 2020) di Luigi Ottani e curato da Roberta Biagiarelli. A confronto con gli autori ci saranno Carlo Saletti e Michele Nardelli.
Si tratta del primo di quattro incontri di presentazione nei quali altrettanti autori dei testi (Carlo Saletti, Gigi Riva, Mario Boccia e Azra Nuhefendic) sono in dialogo di volta in volta con ricercatori, attivisti, giornalisti e scrittori che hanno dedicato alle vicende balcaniche una parte importante del loro impegno.
Un libro di scatti fotografici e di parole che, a venticinque anni dalla fine dell'assedio di Sarajevo, ci riporta in quella tragedia durata 1425 giorni, interrogandoci sulla figura del cecchino e della banalità del male.
Un viaggio in Spagna, a Toledo per la precisione, sulle tracce degli ebrei sefarditi che furono cacciati nel XV secolo dalla penisola iberica e arrivarono in Bosnia Erzegovina. L'occasione per una profonda riflessione sulla memoria, sull'Olocausto, sulle tragedie della storia
Riprendo questo scritto dell'amico Bozidar, pubblicato nei giorni scorsi da Osservatorio Balcani Caucaso – Transeuropa in occasione del giorno della memoria. Perché conoscere la storia è condizione essenziale per comprendere il nostro tempo.
di Bozidar Stanisic
(27/01/2021) Tutte le guide turistiche, sia digitali che cartacee, ripetono, tanto da sembrare un disco rotto, che vale la pena visitare Toledo, per le sue chiese, per la fortezza Alcázar, per il ponte di Alcántara, e soprattutto per El Greco. Non dimenticano di menzionare anche i souvenir – spade, coltelli, armature da cavaliere – , sottolineando inoltre che Toledo è il capoluogo della comunità autonoma di Castiglia-La Mancia e che il fiume Tago crea un anello, unico nel suo genere, intorno alla città situata in cima a una collina che sembra essere stata predestinata ad ospitare un insediamento umano. Le guide spiegano anche che Toledo è la sede dell’omonima arcidiocesi e spesso ricordano ai turisti che quella regione è la terra di Don Chisciotte. A Toledo i viaggiatori possono acquistare souvenir raffiguranti il cavaliere dal volto triste e il suo servitore Sancho, e quelli malaccorti potrebbero inciampare nella statua dell’immortale personaggio di Cervantes situata in una stretta viuzza di questa città che – come si afferma nelle guide – vanta una lunga e ricca storia.
Lunga e ricca… E dolorosa, dico tra me e me. Ma, a onor del vero, non dolorosa per tutti. Dico a me stesso anche che in quel tardo autunno del 2018 mi recai a Toledo non per i motivi di cui sopra, bensì per visitare il quartiere ebraico della città. Dopo aver letto molti libri sull’espulsione degli ebrei dalla penisola iberica, decisi di visitare quel quartiere che in tutte le altre città della Spagna un tempo abitate da ebrei chiamano “judería”.
«Tempi interessanti» (111)
C'è una tragedia che da mesi si consuma al confine con l'Unione Europea. Almeno duemila persone vagano nella neve, fra boschi e ruderi di vecchi combinat industriali nei dintorni delle città di Bihac e di Velika Kladusa, in Bosnia Erzegovina, alla ricerca di un varco per entrare in Croazia e da lì andarsene il prima possibile verso una nuova speranza di vita. In realtà si tratta di un frammento di quell'esodo che da anni viene chiamato “rotta balcanica”, a sua volta una delle tante rotte che percorrono i migranti nel cercare scampo da guerre, crisi climatiche, povertà estreme, regimi totalitari o semplicemente rispondendo all'istinto umano di cercare di migliorare la propria esistenza...
... In situazioni normali la società civile avrebbe messo in moto carovane, come già avvenne in questi stessi luoghi negli anni '90. Ma in queste ore l'unico soggetto che può sbloccare questa situazione è quel che resta di un'Europa politica che ha l'obbligo morale prima ancora che politico di costringere la Croazia ad una moratoria per riaprire le frontiere e i paesi dell'Unione a porre fine alla pratica insopportabile dei respingimenti che con ipocrisia chiamano “riammissioni”...