«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
Un rito che ripetiamo. Un rito che abbiamo fattodiventare punto fermo, ricordo, grido di ribellione. Un rito che vuole tenere vivi nomi dimenticati, persone uccise e gettate in un angolo della memoria.
Ci saremo anche quest’anno per la Giornata Internazionale delle Fasce Bianche. Saremo come sempre in silenzio. Saremo come sempre in un luogo pubblico. Saremo come ogni anno fermi. Reciteremo i nomi di quei 102 bimbi morti in una guerra senza senso, nella Bosnia così lontana nel tempo e nella memoria. Avranno i nomi dei bambini morti in silenzio–senza ricordo–nelle guerre in Siria, nello Yemen, in uno di 34 luoghi dove si combatte. Avranno, quest’anno, anche i nomi dei bambini ucraini uccisi dalla criminale
aggressione russa.
Caro Professore caro,
ti scrivo, ancora una volta.
Questa lettera veleggerà nell’aria fino a raggiungerti nel silenzio dell’universo dove sei approdato. Non posso ignorare il morso di dolore che stringe lo stomaco, al pensiero della morte nonostante la tua lunga complicata vita.
Di recente ho attraversato le dolenti spiagge dell’abbandono della persona amata ed ora il saluto che devo rivolgere a te acuisce il solco della perdita. Delle varie perdite, che si sommano a mano a mano che si devono salutare i volti di quanti hanno intercettato i nostri passi e con cui si sono condivisi pensieri e speranze.
Nel tuo romanzo “Il petalo giallo”1 hai messo in campo lo scambio di lettere tra i personaggi della storia narrata, ribadendo che le lettere collegano, spiegano, fanno affiorare il rimosso, illuminano, aiutano. Tra i protagonisti, Igor a Magda, un tempo le lettere erano state “un dono, di una creatura accorta ma sognatrice e infantile, che l’aveva aiutato a ritornare nel mondo degli esseri umani”, perché l’invio di missive in qualche caso permette di ricucire gli strappi della vita.
Forse anche fra noi, pur in piccola misura, i messaggi scambiati hanno lenito momenti di solitudine. Leggendo le tue narrazioni, ho intercettato tante domande ed è forse da qui che ha preso il via la nostra corrispondenza, fatta di cartoline e di lettere, scritte a mano o battute a macchina, come facevi solitamente, secondo antica usanza. Per questo oggi ti scrivo e, col tuo permesso, condivido pubblicamente alcuni argomenti di cui abbiamo discusso da lontano.
Spero che altri possano raccogliere il testimone e proseguire allargando il cerchio del dialogo intrapreso.
Un abbraccio denso di affetto.
Micaela
di Michele Nardelli
(15 giugno 2022) Se ne osserviamo i tratti, i proclami come la conduzione, la guerra in Ucraina potrebbe apparire come un residuo della storia. Alla virulenza dell'armamentario nazionalistico (dalla sacralità dei confini agli sbocchi sul mare, dal fondo genetico di sangue e suolo alle rivendicazioni di terre che nella storia hanno conosciuto attraversamenti e bandiere di diverso colore) corrisponde una guerra casa per casa, villaggio per villaggio, con l'assedio delle città e la distruzione delle infrastrutture civili e culturali... che fanno rivivere scenari novecenteschi.
Di certo dolore, distruzione e tutto quel che già sappiamo della guerra, che pure non viene indagata a dovere, malgrado accompagni da sempre la vicenda umana come presenza archetipica. Tanto che ogni volta ci si stupisce di quanto possa essere profondo l'abisso.
Talvolta si ha la sensazione che il tempo si sia fermato, come se si stesse riavvolgendo una pellicola consunta, in luoghi che hanno continuato a versare lacrime e sangue nel cuore orientale dell'Europa, di questa Europa così presuntuosa da pensarsi immune nonostante sia stata l'epicentro delle due guerre mondiali e del suo tragico ritorno nella regione balcanica e nell'area caucasica.
Un residuo della storia, dunque?
Carissimi soci di Viaggiare i Balcani
Mercoledì 1 dicembre alle ore 10.00 Michele Nardelli, sullo sfondo del libro fotografico di Luigi Ottani e Roberta Biagiarelli lungo la rotta balcanica (AA.VV. Dal libro dell'esodo - Piemme, 2016), ci propone un'altra storia dell'Europa intitolata "Incontri di civiltà" che fonda le proprie radici nel Mediterraneo, in quel "Movimento delle traduzioni" che da Damasco e Baghdad giunse in Andalusia, diventando una delle fonti più fertili del rinascimento europeo.
I "salotti in città" sono promossi dall'Associazione Trentina Sclerosi Multipla – Centro Franca Martini, Café de la Paix, Circolo Arci e la Portineria de la Paix.
La crisi in Bosnia Erzegovina si è definitivamente internazionalizzata. Tutti gli attori internazionali sono coinvolti: spesso abituati a usare il paese come il cortile di periferia delle proprie dispute globali ma senza mai concretizzare i propri proclami, sono chiamati ora a battere un colpo
di Alfredo Sasso *
(17 novembre 2021) Nel suo rapporto per il Consiglio di Sicurezza per l’ONU, Christian Schmidt è stato esplicito: la Bosnia Erzegovina “corre un pericolo imminente” di dissoluzione, e c’è una “reale possibilità di nuove divisioni e conflitti”. Il documento di Schmidt, ex-ministro tedesco, in carica dal luglio 2021 come Alto Rappresentante (il supervisore degli accordi di pace, in rappresentanza dei 55 paesi coinvolti nella loro applicazione) non era pubblico, ma è stato filtrato dal Guardian lo scorso 2 novembre. È allora che la notizia della crisi politica in Bosnia Erzegovina, che già occupava l’attenzione della regione post-jugoslava, è improvvisamente rimbalzata nelle agenzie di stampa di tutto il mondo.
La crisi è iniziata, ricordiamo, alla fine del luglio scorso, con il boicottaggio - e la conseguente paralisi - delle istituzioni statali da parte del partito di Milorad Dodik. Dodik è, dal 2018, il membro serbo della presidenza statale e, dal 2006, leader assoluto de facto della Republika Srpska (RS, una delle due entità della Bosnia Erzegovina). Il casus belli del boicottaggio è stato la legge, introdotta dal predecessore di Schmidt ad Alto Rappresentante Valentin Inzko, che creava il reato di negazionismo per crimini di guerra e genocidio.
Dodik ha poi rilanciato, annunciando a metà ottobre la creazione, entro la fine dell’anno, di varie istituzioni autonome a livello dell’entità: un’agenzia sanitaria, un’agenzia di imposte indirette, una struttura giudiziaria e, infine, l’esercito, che riassumerebbe quindi le funzioni dell’Armata della Republika Srpska (VRS), responsabile di diversi crimini di guerra nel 1992-95 e definitivamente disciolta nelle Forze armate bosniache unificate nel 2005.
La costituzione della Bosnia Erzegovina non è più complessa di altre, i suoi problemi politici - scrive Jospeph Marko - non risiedono tanto in essa quanto nel suo essere "un sistema politico etnocratico, ostaggio dei partiti etno-nazionali" (da www.balcanicaucaso.org)
di Joseph Marko
(17 dicembre 2021) Volendo parafrasare uno slogan della campagna elettorale di Bill Clinton, sembra che quasi tutti siano d’accordo con l’affermazione: “È la costituzione, stupido!” che spiegherebbe il motivo per cui la Bosnia Erzegovina, dopo venticinque anni di implementazione dell’Accordo di pace di Dayton, è ancora uno stato disfunzionale dal punto di vista politico. Anche molti giuristi e politici, non solo in Bosnia Erzegovina, vi diranno che l’Accordo di Dayton è un sistema costituzionale “unico” e/o “complesso” e che proprio per questo motivo non può contribuire al bene comune del popolo (al singolare!).
Tuttavia, anche tra gli stati membri dell’Unione europea ci sono alcuni paesi suddivisi al loro interno su base etnica, come ad esempio il Belgio oppure, nel caso dell’Italia, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, le cui istituzioni e i meccanismi, che affondano le loro radici nella costituzione, prevedono alcuni strumenti concepiti in chiave etnica per la rappresentanza e la partecipazione dei gruppi etnici al processo decisionale.