Al confine tra Grecia e Macedonia più di diecimila rifugiati e migranti sperano ancora che il confine venga aperto. Le loro storie si intrecciano come in un caleidoscopio nel racconto del nostro inviato (da www.balcanicaucaso.org)
di Francesco Martino
(aprile 2016) “Buone notizie”, dice Ahmad. Siamo all'ingresso del tendone numero tre, da cui un flusso costante di persone continua ad entrare e ad uscire ininterrotto. Comincia ad imbrunire, un vento leggero, ma freddo e pungente soffia testardo sulla linea di confine. Nel tendone centinaia di donne, uomini e bambini si preparano alla notte: sui bassi letti a castello a due piani, di tela rigida, si dispiegano coperte grigie, tutte uguali. In molti le usano come tenda improvvisata, alla ricerca del lusso di un po' di intimità. “Ho buone notizie, mio figlio, il mio primogenito, è ancora vivo”. Ahmad parla con calma, senza scomporsi. La sua è una gioia tormentata, che brilla solo a tratti negli occhi scuri. Non chiedo niente, aspetto che sia lui a parlare ancora. “Non lo vedo da venti mesi, da venti mesi è nelle mani dei servizi segreti di Bashar al-Assad. Ma ora so che è ancora vivo: ne ho avuto conferma da un amico di un amico, che ha influenza a Damasco”. Ancora una lunga pausa. Difficile fare domande. Aspetto ancora. “L'hanno catturato a pochi giorni dalla maturità e dal suo compleanno, il diciassettesimo. Qualcuno ha fatto il suo nome, l'ha accusato di far parte dell'Esercito Siriano Libero, anche se non si è mai occupato di politica. Poi è sparito, anzi è diventato un numero. E' così che funziona: nessuno sa chi sei, nemmeno i tuoi compagni di cella”. Il racconto si interrompe: uno dei figli minori di Ahmad, che accompagna il padre nel viaggio verso l'Europa, si avvicina e parla brevemente col padre, poi sparisce di nuovo nel ventre caldo del tendone. “E' ancora vivo. Per farmelo sapere c'è chi ha rischiato grosso, a Damasco. Venti mesi...ma è vivo, è ancora vivo”.[…]