"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

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Ponti da ricostruire...
L'abbattimento del Vecchio

di Alessandro Branz

Stiamo assistendo ad una “brutta” campagna referendaria, infarcita di toni polemici e caratterizzata dal palese tentativo di delegittimazione dell’avversario. In tal senso molto peggiore di quelle celebrate nella c.d. Prima Repubblica, allorquando - perlomeno - alla “vis polemica” si accompagnava l’approfondimento dei contenuti ed un confronto nel merito delle questioni. Per non parlare del clima di incertezza e disinformazione che si sta respirando, al punto da ingenerare immotivate paure (il c.d. “salto nel buio”) o previsioni poco attendibili (“se vince il NO non avremo più riforme per almeno trent’anni”…).

Tutto ciò va certamente attribuito alla natura dell’istituto referendario che, costringendo ad una scelta perentoria tra il SI ed il NO, dicotomizza il confronto, bipolarizza in modo ferreo la competizione ed alimenta le posizioni più radicali. Ma una grande responsabilità va anche attribuita all’uso strumentale che di questo referendum viene perpetrato dai maggiori leader politici (a partire, mi spiace dirlo, dal nostro Presidente del Consiglio), il cui tentativo tipicamente “populista” di attribuire al referendum significati che in realtà non ha, rischia di provocare nell’opinione pubblica danni difficilmente recuperabili in un prossimo futuro.

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Il referendum e il Pd: il dilemma per la sinistra
Imbroglio

di Roberto Pinter

(15 novembre 2016) Si avvicina il referendum che dovrebbe incidere sul futuro del nostro paese. Nel merito è sempre più evidente che la riforma non sconvolgerà la Costituzione né cambierà il paese. Se ne poteva fare a meno non perché non si possa toccare la Costituzione, ma perché non è certo il bicameralismo l'ostacolo che impedisce al paese di cambiare. E se lo fosse non è certo questa una riforma capace di superarlo in modo chiaro.

Non solo la riforma è una pessima riforma e pure pasticciata e non da risposte alle vere priorità di un paese che oltre alla crisi deve fare i conti con la corruzione, il malcostume politico, le inefficienze e la disastrata amministrazione pubblica, ma va anche in parte in direzione opposta a quella necessaria. Demolendo il regionalismo e rafforzando il centralismo, senza riformare lo Stato e preoccupandosi solo di semplificare e concentrare il potere, si continua ad andare nella direzione sbagliata per quanto ormai dominante. E anche le Autonomie Speciali dubito possano sentirsi garantite in questo contesto.

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Il futuro che abbiamo cercato di costruire
Anni '70

di Fabiano Lorandi

(20 novembre 2016) Lasciatemi dire. Sono a disagio quando sento “ quelli del PD che hanno fatto la scelta di votare NO rubano il futuro e vogliono che stiamo tutti in una palude”. Non è vero. Buona parte di loro l’hanno costruito, il futuro e risanate tante paludi e continuano a farlo.

Dal 1968 al 1978 la mia generazione, con la lotta e l’impegno politico e sociale, fuori e dentro le scuole, le università, le fabbriche, i luoghi di lavoro, le istituzioni, hanno conquistato: lo Statuto dei lavoratori, il divorzio, l’istituzione degli asili nido pubblici, la tutela delle lavoratrici madri, la scuola a tempo pieno, l’obiezione di coscienza al servizio militare, il nuovo diritto di famiglia con la parità uomo/donna, l’istituzione dei consultori sanitari, la riforma penitenziaria, la prevenzione e cura della tossicodipendenza, la legge Basaglia con la chiusura dei manicomi, l’equo canone, la legge sull’aborto.

Si è cambiato davvero il Paese. Il tutto in 10 anni e pensare che c’era il bicameralismo perfetto!

 

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Lo sviluppo sostenibile per cambiare la politica
La ginestra del Vesuvio

Scegliendo di rispettare i 17 «goals» ONU si rivoluzionano le scelte economiche a casa

da L'Avvenire del 9 novembre 2016

Invitato di recente dal Pontificio Consiglio della Cultura a presentare i progetti di ricerca dell'Istituto Italiano di Tecnologia per ridurre le disuguaglianze globali, a partire da quella alimentare, il direttore scientifico dell'Iit, Roberto Cingolani, ha elaborato – da fisico quale è – un'interpretazione termodinamica dei fenomeni migratori.

Partendo naturalmente dai numeri. In base al primo, la popolazione mondiale consuma circa 17 terawatt di potenza energetica, con una sperequazione enorme a livello geografico: la fetta della torta per i cittadini americani è infatti di 11,4 kilowatt a testa. In Europa e Giappone si scende a 6 kw, a 2 in Cina, se ne consumano circa 0,2 pro capite in India e ancor meno nel resto del mondo (e soprattutto in Africa).

 

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The battle of Rome… (1)
dal sito https://pontidivista.wordpress.com

Registro che la crisi del Comune di Roma tende ad attraversare molti dei nostri momenti di conversazione e che tale dibattito va assumendo, come spesso accade, i caratteri manichei di un pregiudizievole pro o contro. Convinto peraltro del fatto che le vicende che si susseguono nella capitale ormai da qualche anno abbiano una valenza che ne travalica i confini, ho pensato di riprendere in questo spazio di pensiero le voci più interessanti che trovo (o che vorrete segnalarmi) attorno alla questione. Iniziamo dunque con questo intervento di Federico Zappini (dal blog https://pontidivista.wordpress.com), cui farà seguito Silvano Falocco, anomatore a Roma della scuola di politica Danilo Dolci.

di Federico Zappini

(10 settembre 2016) Mi sono tenuto alla larga dal “dibattito” attorno alle vicissitudini della Sindaca Virginia Raggi, ma l’amico Alberto mi ha regalato un’immagine così meravigliosamente nostalgica e irriverente per non condividerla. Sulla proprio non efficace azione di governo del M5s in questi giorni si è fatta un sacco d’ironia (come è giusto che sia, ci mancherebbe) e si è segnalato come a scricchiolare sia l’intera impalcatura del modello che la coppia Grillo/Casaleggio aveva immaginato per il proprio movimento politico. Un modello pieno di contraddizioni – che non starò qui a elencare – ma che ha avuto l’innegabile intuizione di interpretare  la crisi e l’insufficienza conclamata della democrazia rappresentativa non come un passaggio transitorio ma come di lungo periodo, tentando di costruire una possibile alternativa ad essa. Dove questa ipotesi abbia portato (qualche verifica la si può avere sul campo, e non è certo confortante) e dove porterà (la situazione è fluida, quasi gassosa, non solo dentro il Movimento) non è dato saperlo con assoluta certezza.

Mi sento però di condividere tre spunti di ragionamento, tra loro concatenati, che spero aiutino a capire quali sono – a mio modo di vedere – le questioni che si dovrebbero salvare dal marasma di queste giornate.

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Certo il sole è sorto anche oggi, eppure…
Sole

Intorno all'esito referendario (1)

di Federico Zappini

(6 dicembre 2016) Il sole si è alzato anche ieri mattina. Alle 7.21 per la precisione. Questa volta non è servito aspettare l'alba per scorgere chiaro il risultato del referendum costituzionale. L'ormai tradizionale maratona di Enrico Mentana si è risolta in una poco avvincente gara dei 100 metri piani, corsa tra quelli che – moltissimi, troppi e decisamente impresentabili – si sono precipitati per intestarsi la vittoria e chi, in definitiva il solo Matteo Renzi, ha dovuto fare i conti con un risultato tanto rotondo quanto fatalmente decisivo per la propria esperienza di governo. Il tratto della velocità ha segnato l'ultima appendice di quella che è stata una lunghissima ed estenuante campagna. Interminabile nella sua fase di formazione e avvicinamento, repentina nella sua conclusione. Ritmi schizofrenici, come non poteva essere altrimenti. Ecco allora che la metafora della regolarità dei cicli solari, richiamata da Barack Obama nella notte che ha sancito la vittoria di Donald Trump e di conseguenza buona per ogni momento di ipotetica tragedia montante, risulta certo evocativa ma non del tutto rassicurante nel momento in cui alla certezza del sorgere e del tramontare quotidiano della nostra stella di riferimento non corrisponde un'analisi sufficientemente accurata delle condizioni di contesto sopra le quali quei movimenti si ripetono con tanta precisione.

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Afghanistan immaginario
Il Cafe Simple prima del 15 agosto 2021

di Soheila Javaheri Mohebi

Per elaborare un discorso sulle donne afghane questa volta ho deciso di andare oltre la trascrizione delle mie sensazioni, rivolgendo una domanda ad un gruppo stretto di amici e conoscenti, persone di cui stimo pensieri e ammiro le opere artistiche nei campi più diversi, dalla letteratura alla fotografia, dalla saggistica al teatro. Il risultato è stato sorprendente e nello scritto che segue provo a raccontare di un Afghanistan immaginario che è emerso dalle nostre discussioni.

La mia domanda era così posta: «Dopo la caduta di Kabul del 15 agosto 2021 e la frammentazione del paese, dove potrebbe essere il punto Sifr-Zero, di partenza per il movimento dell’emancipazione femminile in Afghanistan?»

Roghia Hassanzada pensa che non esista un punto Sifr-Zero per il movimento dell’emancipazione femminile. La caduta di Kabul era il momento cruciale per quella voglia di cambiare le regole del gioco a favore delle donne, una voglia che insieme alle sue conquiste è stata sepolta viva. Roghia viveva a Herat e faceva parte del circolo letterario e artistico della città, dopo la caduta di Kabul, insieme a sua figlia è scappata in Iran e vive in una condizione precaria e vulnerabile a Mashhad. La sua vita e quella di sua figlia è fuori pericolo, ma è preoccupata per i suoi due figli maschi rimasti a Herat.

Il monologo di Mina

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