"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

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Il Signor Guardia
Teheran

di Soheila Mohebi *

(Gennaio 2018) Non ricordo come si chiamava. Noi lo chiamavamo il “Signor Guardia”. Abitavamo in un condominio di sessantasei appartamenti nel centro – nord di Teheran, e lui viveva in una piccola stanza davanti al cancello. D'estate era un forno e in inverno faceva invece freddissimo. Per il bagno doveva correre nei parcheggi dove c’era un appartamentino per l'amministrazione, la stessa che poteva licenziarlo con una semplice riunione di condominio presieduta dal capo dell'amministrazione.

Era un tipo silenzioso, pochi capelli, con un forte accento, rispondeva con frasi brevi, molto brevi e poi si rifugiava nel suo silenzio, sotto la sua coperta, stesa nella sua stanzetta di due metri per due. Certe volte rimaneva anche quaranta giorni senza cambiare il turno, e poi andava a trovare la sua famiglia che viveva lontano dalla capitale.

Una notte, dopo il terremoto, siamo tutti scesi in strada. Avevano detto che sarebbe stata la via più saggia per proteggersi, ma l’abbiamo fatto anche per istinto e abbiamo passato la notte fuori, nelle automobili, sui marciapiedi.

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Un vocabolario, dalla prossimità al mondo
Astrolabio

Quella a seguire è l'introduzione di Federico Zappini all'incontro "Autonomia, quel cambio di sguardo che serve all'Europa" svoltosi a Trento sabato scorso 16 dicembre 2017 nella cornice del "Viaggio nella solitudine della politica". Nei prossimi giorni sul blog del "Viaggio" e sul questo stesso sito potrete trovare gli interventi di Ugo Morelli, Michele Kettmaier, Francesco Galtieri e Beppe Caccia. In allegato la mappa del confronto realizzata da Alessandro Bonaccorsi.

di Federico Zappini

Non si parte mai da zero. Abbiamo scelto di intitolare zero (dall’arabo sifr) il blog (http://www.zerosifr.eu/) che accompagna il “Viaggio nella solitudine della politica” che da qualche mese stiamo conducendo, perché lo zero nella storia non ha rappresentato l’irrilevanza ma una vera e propria rivoluzione nella possibilità di svolgere operazioni matematiche complesse, fino a quel momento impossibili. Ambiziosamente auspichiamo che questo contributo al dibattito politico – in forma aperta e senza nessun tipo di copyright – possa avere lo stesso effetto nei confronti della necessaria ripoliticizzazione della società. Serve uno “zero” da introdurre nel sistema, capace di cambiare paradigmi inservibili e di mettere in comune sguardi oggi tra loro distanti e diversi.

Il racconto illustrato della mattinata, a cura di Alessandro Bonaccorsi

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Per vivere meglio dobbiamo imparare a ridurre
Wolfgang Sachs

di Giuliano Battiston *

Dalla petroliera alla barca a vela. Con questa metafora Wolfgang Sachs spiega il passaggio che abbiamo di fronte. Un passaggio obbligato, se vogliamo sopravvivere: dalla modernità espansiva alla modernità riduttiva. Da una società fondata sull’accumulo, sull’accelerazione, sull’espansione senza limiti, sulla dipendenza da un flusso crescente di materie prime finite, a una società che sappia razionalizzare i mezzi in modo efficiente e soprattutto interrogarsi sui propri fini, sulle proprie aspirazioni, sul “quanto basta?”.

Allievo di Ivan Illich, già membro del Club di Roma e dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, sociologo del Wuppertal Institute for Climate, Environment and Energy e animatore di molte utopie concrete, da decenni Sachs studia come conciliare giustizia sociale ed ecologica. Pensatore di riferimento dell’ecologismo politico europeo, è arrivato a una conclusione: lo sviluppo della civiltà euro-atlantica è dovuto a circostanze storiche uniche e irripetibili, ed è incompatibile con la finitezza della biosfera. Se aspiriamo a una civiltà capace di futuro, quel modello di modernità espansiva va archiviato. Per farlo, occorre mettere in questione innanzitutto la nozione di “sviluppo” che ne è alla base. Da lì siamo partiti, nell’intervista concessa all’Espresso.

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Sarajevo muore
Sarajevo, inverno

Le autorità locali di Sarajevo hanno dato al nuovo palazzetto dello sport, nel quartiere di Grbavica, il nome banale di “Novo Sarajevo” (Sarajevo Nuova) per evitare di intitolarlo a Goran Cengic. Ma è proprio così che la città muore

di Azra Nuhefendic *

Goran Cengic era un ragazzo del posto, un raja come si direbbe tra amici a Sarajevo, e un eccellente sportivo ai tempi della Jugoslavia. Giocava a pallamano e faceva parte della squadra nazionale. Ma non era questo a contraddistinguerlo. Era il coraggio che Goran, durante la guerra, aveva mostrato per difendere un vicino e che gli costò la vita.

Il quartiere di Grbavica era stato occupato dai nazionalisti serbi. Gli abitanti musulmani e cattolici furono malmenati, uccisi, derubati, violentati e cacciati dalle proprie case. A Grbavica operava Veselin Vlahovic Batko, conosciuto come “il mostro di Grbavica”. Maltrattava e uccideva la gente, spesso per puro piacere. Era temuto anche dai serbi stessi. Dopo la guerra Batko fu processato e condannato a 45 anni di carcere per crimini di guerra e contro l’umanità.

Un giorno Batko prelevò da una casa un uomo anziano e ammalato. Lo maltrattava nel cortile, la gente sentiva la supplichevole voce del vecchio, qualcuno sbirciava da dietro la finestra, ma nessuno osava intervenire. Tranne Goran engi. Egli si oppose a Batko e cercò di difendere il vicino. Ma fu lui, alla fine, ad essere ucciso. I suoi resti sono stati trovati dopo la guerra.

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Ritorno a casa Bouazizi, culla dell'incompiuta rivoluzione tunisina
La primavera tunisina

Sette anni fa, il martirio di Mohamed Bouazizi diede il via alla cosiddetta primavera araba. “Era un ragazzo che lottava per la vita, ma era stato marginalizzato, come tutto il popolo”, lo ricorda zio Salah. A Sidi Bouzid la situazione non è migliorata. E sono ripartite le proteste

di Simone Casalini *

(1 Gennaio 2018) Sidi Bouzid, sette anni dopo. La rivoluzione dei gelsomini è germogliata qui, nella profonda ruralità tunisina, e si è propagata nel mondo arabo in quello che la pubblicistica occidentale ha classificato “primavere arabe”. Ora l’inverno si espande tra gli olivi e i mandorli di Sidi Bouzid e tra le vite di una rivoluzione interrotta.

Era partita con l’immolazione di Tarek “Mohamed” Bouazizi, il 17 dicembre 2010, davanti alla sede del governatorato. Aveva 26 anni e un carretto per lo smercio di ortaggi e frutta con il quale manteneva la madre e due sorelle (ora trasferitesi in Canada). Quella mattina venne sequestrato dalla polizia con la giustificazione che non aveva la licenza anche se le indagini successive rivelarono che non era necessaria. Poi seguì un’ammenda di 20 dinari (6 euro).

“Mohamed era un ragazzo che lottava per la vita. Ma è stato marginalizzato come la maggior parte del popolo” ricorda Salah Bouazizi, lo zio che conduce una farmacia sull’avenue Burghiba dove giovani studenti, sindacalisti e frammenti di popolo sfilano come onde infrante per contestare la scelta di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Salah è stato l’ultimo a sentirlo. Mohamed lo chiamò, alterato, per dirgli che gli stavano requisendo la bilancia. Gli chiese di temporeggiare qualche minuto, ma la disperazione di Mohamed non attese. Morì il 4 gennaio 2011 nell’ospedale grandi ustionati di Ben Arous e la sua parabola finale coincise con quella del dittatore Ben Ali costretto all’esilio in Arabia Saudita. Da lì s’incamminò la transizione democratica.

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C'è molto da scrivere
La Trabant e il muro di Berlino

(1 gennaio 2018) Iniziare il 2018 con una campagna elettorale non potrà di certo aiutare la politica ad essere migliore. La XVII legislatura della Repubblica Italiana, iniziata il 25 marzo 2013, sembrava essersi esaurita già poche settimane dopo l'insediamento del Parlamento, ma in realtà è giunta quasi alla sua scadenza naturale.

Nonostante in molti auspicassero il ricorso alle elezioni anticipate, non senza motivo (considerato lo stravolgimento degli schieramenti con cui si era andati al voto), abbiamo invece conosciuto una fase di “stabilità condizionata”, dove cioè la scomposizione e ricomposizione delle alleanze (e delle appartenenze) ha favorito la nascita di tre governi (Letta, Renzi e Gentiloni) all'insegna di un'austerità insincera, del populismo centralistico e autoritario e – dopo la secca sconfitta nel referendum – della gestione dei suoi ultimi mesi nel favorevole contesto di una ripresa globale, fra diffusa precarietà e qualche sussulto di civiltà, anche grazie al manifestarsi di altre maggioranze parlamentari.

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Morto contromano disturbando il traffico
Morte sul lavoro

(25 dicembre 2017) In un editoriale del quotidiano “Il Secolo XIX” dal titolo “La mia canzone per Carlo e Ahmed volati dalla gru nel giorno delle feste” lo scrittore Maurizio Maggiani (l'autore fra l'altro de “Il Romanzo della Nazione”, “Il viaggiatore notturno”, “Il coraggio del pettirosso”) riprende un tragico fatto di cronaca accaduto a Genova venerdì scorso (lo schianto di una gru, la morte sul lavoro di Carlo, quarantacinque anni, e la riduzione in fin di vita di Ahmed, diciott'anni) per ricordare gli 864 morti sul lavoro che hanno insanguinato questo paese negli ultimi dieci mesi del 2017. Lo fa riprendendo uno straordinario testo di Chico Buarque de Hollanda che s'intitola "Construçã"o, interpretato qualche anno fa con maestria e sensibilità da Enzo Jannacci, dedicando loro questa canzone. Con l'augurio di giorni di sensibile serenità. (m.n.)

 

La costruzione

(testo di Chico Buarque de Hollanda)

 

https://youtu.be/xzY101VFgnw

 

E quella volta amò come se fosse l'ultima
E poi baciò sua moglie come se fosse l'ultima
Ed ogni figlio suo come se fosse l'unico
E attraversò la strada col suo passo timido
Salì la costruzione quattro muri solidi
Mattone su mattone in un disegno logico
Ma gli occhi già impastati di cemento e lacrime
Seduto a riposare come fosse sabato
Mangiata pasta scotta come fosse un principe
Bevuto e singhiozzato come fosse un naufrago
Ballato e riso come se si sentisse musica
Ed inciampò nel cielo come ubriaco fradicio
E fluttuò nell'aria come fosse un passero
E cadde giù per terra come un pacco flacido
Agonizzando in mezzo del passaggio pubblico
E' morto contromano disturbando il traffico

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