"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Tra il voto del referendum e la crisi delle città (Trento, Torino, Roma) esiste un minimo comune denominatore. E va rintracciato in quelle che Ilda Curti, ex assessora all’integrazione e alla rigenerazione urbana di Torino, ha chiamato «linee di crescenza». Sono gli spazi inter-medi dove si muove una socialità molteplice, che produce nuove culture e anche conflitti negativi («Perché la periferia è contemporaneità»). È la parte di società dove la politica si è ritratta.
Riforma elettorale. Proprio perché governare oggi è questione tremendamente spinosa, è davvero illusorio che lo si possa fare attraverso marchingegni elettorali senza un consenso reale alle spalle. Una soglia al 4% può garantire articolazione senza provocare frammentazione
di Antonio Floridia
(9 dicembre 2016) Ma il «ritorno al proporzionale» è davvero una iattura, un’altra delle catastrofiche conseguenze del referendum, come sostengono pigramente alcuni commenti che ripercorrono i peggiori luoghi comuni del recente passato?
Nulla di tutto questo: tornare a votare con una legge elettorale proporzionale si configura oramai come una condizione, necessaria anche se certo non sufficiente, perché si possa sperare di porre un argine alla crisi della democrazia italiana.
Non solo: tornare al voto con un sistema proporzionale si rivela, a ben guardare, come la risposta più saggia alla situazione creatasi come conseguenza dell’avventurismo politico di Renzi. Le ragioni che depongono a favore di questa scelta sono molteplici e si possono riassumere così: ridare la parola alla politica.
«La maledizione di vivere tempi interessanti» (58)
di Michele Nardelli
(8 dicembre 2016) In effetti sono queste giornate piene di sole, nonostante qui il freddo cominci ad essere pungente. Ma il paesaggio (quello sociale e politico) continua ad essere inguardabile, come lo era del resto anche prima del voto di domenica scorsa.
A San Basilio, quartiere popolare di Roma che negli anni '70 faceva parlare di sé per le lotte sociali, la gente caccia via una famiglia di immigrati dalla casa popolare che regolarmente era stata loro assegnata gridando “qui i negri non li vogliamo”. Un italiano su quattro è a rischio di povertà ma la corsa ai consumi voluttuari non accenna a diminuire. Ogni giorno ci sono due incidenti mortali sul lavoro, ma l'importante è far soldi (anche a scapito della sicurezza) e la velocità è diventata un valore. I cambiamenti climatici rendono i nostri territori fragilissimi ma non ti azzardare a proporre clausole di salvaguardia ambientale perché ti tiri addosso l'ira delle comunità. Siamo da tempo oltre la sostenibilità ma a Marrakech la conferenza sul clima si conclude con l'impegno, si fa per dire, di un regolamento per l'attuazione degli accordi di Parigi da stilare entro il dicembre 2018. L'Europa è devastata dai nazionalismi, ma ci si commuove di fronte all'inno di Mameli. La distruzione della città più antica del mondo (Aleppo) ormai non fa più notizia in una guerra che è già costata più di mezzo milione di morti, ma poi ci sembra naturale che il governo Renzi stanzi 14 miliardi di euro per gli F35...
«Così lontane, così vicine». Roma, Torino e Trento a confronto in un interessante dibattito venerdì sera a Trento.
di Erica Ferro, Corriere del Trentino
A pochi giorni dall’esito della domenica referendaria, impossibile non riflettere sullo stato dell’arte del pensiero e dell’azione politica. Quella che affonda le sue radici nella storia del Novecento, in particolare, pare aver esaurito le sue chiavi di interpretazione. «Le nuove generazioni non vedono nella politica un luogo di cambiamento delle loro condizioni o del contesto in cui vivono» osserva Ilda Curti, per dieci anni assessora alla rigenerazione urbana del Comune di Torino. «La promessa di svecchiamento e cambiamento, interpretata poi attraverso cerchi magici, personalizzazioni e poco altro, ha creato un’attesa talmente forte che il suo fallimento ha dato luogo a una risposta che solo un Paese cieco può non vedere» commenta invece Silvano Falocco, direttore della Fondazione Ecosistemi e coordinatore della scuola politica Danilo Dolci di Roma.
Sul «vuoto di immaginazione della politica» attraverso la metafora della «crisi delle città» si confronteranno entrambi oggi pomeriggio alle 18, al Centro di formazione alla solidarietà internazionale, insieme a Federico Zappini dell’associazione «territoriali#europei» (modera Simone Casalini, caporedattore del Corriere del Trentino).
Intorno all'esito referendario (2)
di Roberto Pinter
(6 dicembre 2016) L'Italia, contro ogni logica e buon senso si è occupata a tempo pieno di una piccola e maldestra riforma presentata come lo spartiacque tra conservazione e futuro. E lo ha fatto seriamente perché mentre il mondo politico si contrapponeva ferocemente gli elettori si sono fatti una loro opinione, nel merito della riforma o nel merito del plebiscito chiesto da Renzi, e hanno detto la loro, senza seguire pedissequamente i leader che ora rivendicano impropriamente il risultato come un loro risultato, molti in dubbio fino alla fine, lacerati per le pessime compagnie, affatto compatti e significativamente plurali.
di Federico Zappini *
(21 luglio 2017) Si potrebbe tagliare corto. L’operazione di manutenzione dello Statuto di Autonomia non è andata a buon fine. Non è il momento buono, meglio ripensarci poi. Non c’è il giusto clima – si dice – così come per la legge sullo ius soli e, sembra, per ogni argomento che preveda una minima messa in discussione della visione più complessiva del mondo. Venuta meno l’urgenza imposta della (fu) riforma costituzionale proposta da Matteo Renzi abbassare le ambizioni è diventata la parola d’ordine.
Se la questione si potesse risolvere tutta dentro la dimensione politica/partitica non sarebbe difficile spostare in avanti, posticipare, mettere in coda nell’agenda delle priorità. Temo però non ci sia permesso il lusso di evitare di prendere di petto la rivisitazione (non solo difensiva e non solo formale) del funzionamento dell’autogoverno e l’articolazione dell’infrastruttura – istituzionale, politica, sociale e culturale – dell’Autonomia. Lo spiega bene Francesco Palermo, mettendo in guardia chi con troppa facilità vorrebbe rottamare (va ancora di moda, purtroppo) il percorso fatto fin qui: “Attenzione a non rompere gli specchi solo perché non ci mostrano l’immagine che vorremmo. Anche perché, dicono i superstiziosi, rompere gli specchi porta male.”
The battle of Rome... (3)
di Federico Zappini *
(30 settembre 2016) E’ difficile, ma estremamente stimolante, provare a interloquire a distanza – con una persona che nemmeno si conosce – fuori dal chiacchiericcio che ammorba il dibattito pubblico, nel solco di un ragionamento articolato che prenda in considerazione lo stato dell’arte del pensiero e dell’azione politica, a Roma come altrove. Dato per scontato – come si dovrebbe fare ormai senza dubbio alcuno anche in campo economico – che la crisi che stiamo attraversando non è congiunturale ma di sistema, si dovrebbero porre le basi per agire di conseguenze, ipotizzando interventi altrettanto sistemici e non estemporanei.
Rispondo con particolare piacere alle sollecitazioni romane di Silvano Falocco perché gli echi che provengono dalla Capitale trovano – non senza un pizzico di sorpresa – risonanza quassù al nord, in un contesto che a un primo sguardo potrebbe apparire totalmente altro dalla palude dentro la quale è bloccata la città di Roma. Area metropolitana contro piccola città montana. Simbolo del centralismo statuale contro capoluogo di una Regione e di una Provincia autonoma, ipotesi avanzata di decentramento e autogoverno del territorio. Stereotipo della disorganizzazione contro modello di efficenza riconosciuto e apprezzato. Differenze rilevanti, certo, ma che non riescono – almeno ai miei occhi – a nascondere le similitudini che avvicinano la condizione, per entrambe di difficoltà, delle due Giunte in carica.