"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

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Il referendum sulla riforma costituzionale, il dibattito che non c'è.
immagine costituzione

di Roberto Pinter

(9 agosto 2016) Il dibattito riguardante il referendum sulla riforma costituzionale è partito male e prosegue peggio. Ci sono due schieramenti in campo: chi vuole la testa di Renzi e chi vuole rilanciare Renzi. In mezzo ci sta la maggioranza degli elettori: quelli che non sono interessati, quelli che non conoscono nel merito la riforma, quelli che la voterebbero ma non vogliono più Renzi e quelli che non la voterebbero ma non vogliono far cadere Renzi.

Nessuna discussione di merito che non sia ipotecata dal futuro del governo, ed è un peccato perché del merito si dovrebbe discutere. La colpa è senz'altro di Renzi che fin dall'inizio ha scelto come sfida simbolica questo referendum, convinto che sarebbe stata più facile che scommettere sulla ripresa economica, sulla legalità o sui diritti per tutti, e convinto che sarebbe stato un suo trionfo. Annunciare la riforma delle riforme ed un paese che cambia, poteva essere una facile scommessa, ma in realtà è difficile appassionarsi al superamento del bicameralismo perché nessuno l'ha mai visto come il motivo di un'Italia che non cambia. Allora Renzi ha provato a giocare la carta più comoda, quello del populismo: “riduciamo i politici”! Finendo per scegliere un terreno dove altri sono più capaci, vedi i 5stelle, e finendo per scontentare una sinistra che non si trova a suo agio nell'agitare gli slogan che, quand'anche in parte giusti, finiscono per togliere alla politica il residuo di credibilità.

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La scomparsa del federalismo
Ernesto Rossi, Carlo e Nello Rosselli

Quello che segue è l'editoriale del Corriere del Trentino di Simone Casalini (domenica 21 agosto 2016)

di Simone Casalini

(21 agosto 2016) Da quando si aprì la falla sulla nave claudicante della Prima repubblica, un argomento più di altri affiorò nel dibattito politico come possibile architrave di un nuovo modello statuale: il federalismo. La ristrutturazione del comparto dei poteri e la valorizzazione delle autonomie locali sono stati vessilli della lunga transizione verso un Eldorado istituzionale mai raggiunto. Non sono mancate le riforme né il decentramento, un processo a singhiozzo che ha introdotto trasformazioni virtuose (responsabilizzazione degli enti locali, decentralizzazione delle decisioni, un’idea di politica territoriale) e distorsioni eloquenti (spese fuori controllo, conflittualità con lo Stato di fronte alla Consulta, assenza di un’armonizzazione su alcuni principi fondamentali).

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Per una buona gestione del conflitto
Stefano Cagol. Immagine tratta dal sito www.doppiozero.com

Riprendo dal sito www.doppiozero.com questo interessante contributo dell'amico Ugo Morelli

di Ugo Morelli

Cerchiamo nemici di questi tempi. Li cerchiamo in ogni direzione. Forse perché il nemico che viene da fuori ci appare meno minacciante di quello che si presenta dall’interno di noi stessi. Agisce in noi una mafia interna, una specie di industria della protezione di una parte di noi su un’altra. A volte la parassita fino a neutralizzarla. Siamo nemici di noi stessi e ci consegniamo alle nostre paure senza elaborarle e senza combatterle. È così che le subiamo e la paura finisce per comandare. Quello che ci risulta in ogni caso difficile fare è dare cittadinanza al conflitto, inteso come incontro e dialogo tra differenze. Sia nel nostro mondo interno che nelle relazioni con gli altri tendiamo a polarizzare le nostre posizioni e i nostri atteggiamenti e comportamenti: o scegliamo il quieto vivere e l’indifferenza, o scadiamo nell’antagonismo, nel litigio e nella guerra. Eppure oggi vi sono molte buone ragioni per cercare di riconoscere il valore del conflitto inteso come dialogo e incontro tra differenze.

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Un viaggio nella solitudine della politica
Topolino amaranto

 

Sarà un viaggio un po' particolare, che avrà come ambito di indagine la solitudine della politica. A questa parola, solitudine, non assegno un significato in sé negativo. Vorrei dire piuttosto che si tratta semmai di una condizione dalla quale partire per non farsi prendere la mano dallo sconforto o dal rincorrere l'agenda politica, per inoltrarci nella crisi della politica, laddove ancora si fa fatica a riconoscere la sconfitta che segna la fine del Novecento e cercare sul piano del pensiero prima ancora che dell'agire strade inedite. Un viaggio che ci aiuti ad essere meno soli e ad osservare da vicino le molteplici esperienze che nascono malgrado tutto nella sperimentazione sociale, culturale e politica. E che nel viaggio vorrei conoscere e raccontare.

Il testo della lettera in pdf

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Climate Change 2021. I messaggi principali del Sesto Rapporto IPCC
Antartide

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Lo stato attuale del clima

Rispetto al Quinto rapporto di valutazione dell’IPCC (AR5) sono migliorate le stime basate sulle osservazioni e le informazioni dagli archivi paleoclimatici, che forniscono una visione completa di ogni componente del sistema climatico e dei suoi cambiamenti fino ad oggi. Nuove simulazioni dei modelli climatici, nuove analisi e metodi che combinano numerose evidenze, portano ad una migliore comprensione dell’influenza umana su un’ampia gamma di variabili climatiche, compresi gli estremi meteo-climatici.

È inequivocabile che l’influenza umana ha riscaldato l’atmosfera, l’oceano e le terre emerse. Si sono verificati cambiamenti diffusi e rapidi nell’atmosfera, nell’oceano, nella criosfera e nella biosfera.

- Gli aumenti osservati nelle concentrazioni di gas serra (GHG) dal 1750 circa sono inequivocabilmente causati da attività umane. Dal 2011 le concentrazioni in atmosfera hanno continuato ad aumentare, raggiungendo nel 2019 medie annuali di 410 ppm per l’anidride carbonica (CO2), 1.866 ppb per il metano (CH4), e 332 ppb per il protossido di azoto (N2O).

 

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Amianto. La sentenza del Tribunale di Ivrea, l'impunità che scricchiola e una bonifica che procede a rilento.
Le corrozze ferroviarie, uno degli utilizzi più intensi e frequenti dell\'amianto

(20 luglio 2016) Con la sentenza del Tribunale di Ivrea nel processo per le morti da amianto alla Olivetti è arrivata la condanna a cinque anni e due mesi di reclusione per Carlo e Franco De Benedetti, a un anno e 11 mesi per Corrado Passera. Le imputazioni, a vario titolo, vanno dal concorso in omicidio colposo alle lesioni e si riferiscono ai decessi di dieci operai, fra il 2008 e il 2013, che fra la fine degli anni 70 e l'inizio dei 90 lavorarono alla Olivetti e si ammalarono di mesotelioma pleurico. Siamo solo al giudizio di primo grado, ma intanto la cappa di impunità che fin qui ha coperto le responsabilità di chi conosceva il rapporto di causa-effetto nella lavorazione della fibra di amianto e l'insorgenza del mesotelioma pleurico comincia a scricchiolare.

Non dimentichiamo che l'amianto in gran parte del pianeta non è stato ancora messo fuorilegge e che anche laddove ciò è avvenuto, come in Italia, il lavoro di bonifica del territorio è ben lungi dall'essere realizzato. E lo stesso vale per il Trentino, dove pure nella scorsa legislatura abbiamo legiferato su mia proposta per l'obbligatorietà della bonifica. Si tratta della legge provinciale n.5/2012 la cui attuazione va purtroppo a rilento. Una legge all'avanguardia che però l'amministrazione provinciale ha finanziato a singhiozzo riducendo progressivamente gli stanziamenti e non attuando gli impegni di informazione previsti dalla legge presso la nostra comunità.

Un'eredità pesante ed ingombrante, per certi versi paradigmatica delle sorti magnifiche e progressive dello sviluppo.

Voglio riprendere la questione attraverso la ripubblicazione della scheda sull'utilizzo dell'amianto e il testo della LP 5/2012 (in allegato).

La LP 5/2012 sull'amianto

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La politica dell’atto dovuto
spazi abbandonati

 

di Federico Zappini **

Si commetterebbe un grave errore se dell’azione legale avviata dalla Provincia Autonoma di Trento nei confronti di sei componenti del Centro Sociale Bruno – volta al recupero di un presunto credito di circa 119.000 Euro –  si prendesse in considerazione esclusivamente la dimensione giudiziaria. La si ridurrebbe – sbagliando – a una lunga e piuttosto noiosa telenovela, che conosce nel bel mezzo dell’estate 2016 l’ennesima puntata. E’ bene invece non perdere di vista l’atto scatenante (l’occupazione da parte di un gruppo di cittadini e cittadine dello stabile di Via Dogana a Trento) e l’atteggiamento che la politica trentina tiene nei confronti del necessario, e sempre più urgente, processo di recupero del patrimonio immobiliare che versa in stato di abbandono o degrado.

Anche per via di un contesto economico e culturale mutato radicalmente nell’ultimo lustro, quella attorno al riutilizzo di edifici in disuso non è più una discussione che si può ridurre nell’abusata dicotomia legalità/illegalità, laddove questa coppia semantica sia mai stata sufficiente a descrivere il nucleo filosofico/pratico capace di determinare il valore (o il disvalore) delle pratiche di occupazione e autogestione di spazi sociali. Ciò che più stupisce nella scelta della Giunta provinciale è proprio la linearità con cui affronta – dentro una pericolosa omologazione tra destra e sinistra, tra civici e autonomisti, tra democratici e leghisti – una questione che necessiterebbe invece un deciso salto di paradigma nell’interpretazione teorica prima e nell’elaborazione pratica poi.

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