"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini *
Nell’ultimo pacco di libri che è arrivato e ho aperto in libreria – ormai due giorni fa, il prossimo sarà immagino tra diverso tempo – c’era Un’altra fine del mondo è possibile, scritto a sei mani (e una miriade di cervelli) da Pablo Servigne, Raphaël Stevens, Gauthier Chapelle. Non è un testo pessimista, anzi. Si trova nella collana Visioni, scelta editoriale lungimirante dell’Istituto Treccani. Una serie di volumi importanti, alcuni fondamentali.
“Alcune cose si vedono bene solo con occhi che hanno pianto”. La citazione di Henri Lacordaire – illuminante – che introduce un ragionamento articolato che tenta di partire da dove siamo (sull’orlo di un precipizio, da prima della comparsa del Covid19) per metterci nelle condizioni di arrivare a un’altra fine, intesa non come tragedia ineluttabile ma come opportunità di attivarsi per un Mondo diverso e migliore. “Per ripensare il modo in cui vediamo il mondo, cioè l’essere nel mondo.” La chiamano collassosofia.
«Tempi interessanti» (100)
Che i tempi siano interessanti non c'è dubbio. Inquietanti pure. Evidenziano la fragilità del castello di carte sul quale si regge l'attuale ordine mondiale. Non solo per l'intrecciarsi delle crisi – ecologica, finanziaria, demografica, sociale, politica, morale – ma anche per lo svelarsi della fede nel veleno, di quell'insano meccanismo che, malgrado gli ammonimenti che nel tempo ci hanno messo in guardia rispetto ai limiti dello sviluppo, ci ha fatto credere nel mito moderno del progresso e che la scienza e la tecnica avrebbero comunque trovato le soluzioni alla sua insostenibilità. Rivelano altresì, per usare le parole di Luigino Bruni, un'immensa impotenza. «Abbiamo messo in piedi un sistema economico estremamente vulnerabile. Niente come un virus mostra che il re capitalista è nudo. Come sapeva già Keynes i piedi di argilla del capitalismo sono i sentiments e le emozioni della gente. I grandi strumenti, i potentissimi mezzi dell'economia e della finanza oggi non possono nulla. La mano invisibile si è totalmente inaridita e le voci dei suoi paladini zittite...»
Questo articolo è stato pubblicato oggi, martedì 10 marzo 2020, sul Corriere del Trentino
di ***
1. La Biennale Arte di Venezia nel 2019 si intitolava “May You Live In Interesting Times”, “Che tu possa vivere tempi interessanti”. Il confine tra augurio e maledizione contenuto in questa frase non è mai stato così sottile e scivoloso. Quelli che attraversiamo sono tempi complessi. Confusi e frenetici. Sono tempi non banali, che non possono lasciare indifferenti. Tempi nervosi, non pacificati. Tempi contraddittori che non generano solo paura – emozione primaria, legittima e spesso necessaria – ma tracimano nel panico. Tempi interessanti quindi, e per questo di faticosissima interpretazione.
di Marco Revelli *
Alla velocità della luce siamo arrivati a una sorta di ground zero. La decisione del Governo di trasformare l’intero Paese in un’unica “zona rossa” – di arrestare la vita sociale ed economica per salvare la vita biologica – ne è l’emblema. Nell’arco di meno di una settimana il mondo consueto in cui vivevamo si è rovesciato, e siamo regrediti, d’un balzo, a un grado zero non solo dell’attività – dei movimenti, del lavoro, della produttività – ma della relazionalità. E anche, vogliamo dirlo? della civiltà. E’ quanto accade quando repentinamente la politica si rivela come bio-politica. E più che le regole umanizzate della Polis valgono quelle elementari della sopravvivenza, del Bios. Il fatto che il provvedimento preso appaia al tempo stesso terribile e ragionevole – un ossimoro – ci dice quanto a fondo in effetti il male sia arrivato a toccarci “nell’osso e nella carne” (per usare le parole che nel libro di Giobbe il satana rivolge a dio), polverizzando d’un colpo ogni nostra consolidata abitudine. Ogni precedente “pensato” orientato alla convivenza civile in un “sistema sociale”, travolto dalle nuove – pre-umane, dis-umane – regole dei “sistemi viventi”.
di Federico Zappini
(23 gennaio 2020) SìAmo Trento è il nome scelto per la coalizione di centro-sinistra che a Trento correrà alle elezioni amministrative del prossimo maggio. Una dichiarazione d’amore e il segno della comune intenzione di dar vita a un progetto condiviso e plurale. Un buon inizio. Chiusa una fase caratterizzata da una pericolosa lentezza se ne apre un’altra – quella della campagna elettorale – dal ritmo frenetico.
In soli sette giorni sono stati molti i momenti in cui è stata sperimentata l’idea di campagna porta a porta, abitando la prossimità delle piazze e dei bar, dei piccoli punti di ritrovo di quartiere. Hanno preso velocità anche le iniziative delle forze politiche facenti parte la coalizione, iniziando il necessario percorso di riconoscimento reciproco nei confronti di un candidato che – a differenza di quanto avvenuto negli ultimi trent’anni – non è diretta espressione di nessuno dei partiti. Una personalità fuori da quegli stessi partiti si è cercata negli ultimi mesi, dando quasi per scontato che i confini tra il dentro e il fuori siano netti e per nulla porosi. Fosse davvero così si correrebbe il rischio di pensare che l’alterità della figura del candidato scelto rispetto al recente passato politico e amministrativo di questo territorio metta al riparo i protagonisti di quella stagione (tanto i singoli quanto le forme organizzate) da una necessaria analisi critica di ciò che è stato, collegata a una progettazione inedita della città che sarà. Sarebbe un tragico errore, sia per l’orizzonte breve che conduce fino alla scadenza elettorale che per quello più disteso che guarda, per approssimazione, ai prossimi venti o trent’anni.
di Michele Nardelli
Le carte geografiche corrispondono alle visioni del tempo. Così per secoli abbiamo immaginato che la nostra parte di mondo fosse più rilevante di quel che era nella realtà, come a rendere oggettivo il dominio sul resto del pianeta. Non era solo la storia ad essere scritta dai vincitori, anche la geografia seguiva tendenzialmente questa logica. Storia e geografia corrispondevano del resto ad un umanesimo narciso e povero di mondo, intento – nella sua ipocrisia – a proclamare un diritto internazionale asimmetrico e largamente inesigibile.
La Carta di Peters (1973) ha incominciato a raddrizzare le cose, rispettando le dimensioni reali dei continenti, le proporzioni, le distanze, compresa la colorazione degli Stati non più riconducibili ai possedimenti coloniali. A venir messe in discussione in maniera evidente, oltre alle carte, era la pretesa oggettività dei geografi, a testimonianza del fatto che la geografia è una materia viva, in continuo divenire ed in stretta relazione – come ogni sapere – al carattere multidisciplinare della conoscenza. Malgrado ciò, ancora oggi è la Carta di Mercatore (1569) ad essere quella di maggior uso comune. Ed un neocolonialismo a colorare di fatto nuove egemonie.
Un saggio di Ugo Morelli su "Doppiozero"
(24 febbraio 2020) Mettere in dialogo ed intrecciare le riflessioni e gli stimoli che quattro libri, molto diversi fra loro quand'anche accomunati nell'indagare questo nostro tempo, offrono ai lettori: è quanto si prefigge il professor Ugo Morelli che sul prestigioso sito “Doppiozero” posta un articolo dal titolo “Creare un mondo di molti mondi” (https://www.doppiozero.com/materiali/creare-un-mondo-di-molti-mondi) e che qui riprendiamo in versione integrale nell'allegato.
I quattro libri in questione sono quello di Geoff Mann e Joel Wainwright “Il nuovo Leviatano. Una filosofia politica del cambiamento climatico” (Treccani, 2019), quello di Grammenos Mastrojeni e Antonello Pasini, “Effetto serra, effetto guerra” (Chiarelettere, 2020), quello di Paolo Vineis, Luca Carra, Roberto Cingolani “Prevenire. Manifesto per una tecnopolitica” (Einaudi, 2020) ed infine quello uscito in questi giorni di Diego Cason e Michele Nardelli “Il monito della ninfea. Vaia, la montagna, il limite” (Bertelli Editori, 2020). Che a loro volta s'intrecciano con un'ormai vasta letteratura che prova a dare sostanza d'analisi e cittadinanza politica al nodo cruciale di un cambio quanto mai urgente del paradigma riconducibile alle magnifiche sorti progressive che ha governato questo pianeta da almeno due secoli.