"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Ricerca politica

Un viaggio nella solitudine della politica
Paul Klee

Incontro di presentazione

Sarà un momento fra amici per illustrare e condividere un viaggio un po' particolare che avrà come ambito di indagine "la solitudine della politica". Che cresce in virtù dell'incapacità di dare risposte ai grandi temi del nostro tempo e della rarefazione degli ambiti collettivi di confronto e di elaborazione.

A questa parola, solitudine, non assegno un significato in sé negativo. Vorrei dire piuttosto che si tratta semmai di una condizione dalla quale partire per non farsi prendere la mano dallo sconforto o dal rincorrere l'agenda politica, per inoltrarci nella crisi della politica, laddove ancora si fa fatica a riconoscere la sconfitta che segna la fine del Novecento e cercare sul piano del pensiero prima ancora che dell'agire strade inedite. Un viaggio che ci aiuti ad essere meno soli e ad osservare da vicino le molteplici esperienze che nascono malgrado tutto nella sperimentazione sociale, culturale e politica. E che nel viaggio vorrei conoscere e raccontare.

Un viaggio che avrà inizio il primo giorno di primavera e proseguirà per il tempo necessario, attraverso una serie di itinerari lungo gli ambiti scoscesi e poco camminati di territori che la politica nazionale tende a sorvolare o di cui ci si occupa solo in prossimità di emergenze e solo fin quando i riflettori di una comunicazione tanto cinica quanto superficiale non traslocano altrove, senza interrogarsi o trarre insegnamento.

Continuare a cercare per continuare a capire assieme.
Cambi d'epoca: la Fiat seicento

Una lettera di Aldo Bonomi intorno al libro di Marco Revelli "Non ti riconosco" (Einaudi, 2016)

Caro Marco,

ti scrivo, come spesso accaduto anche in passato in analoghe circostanze, per ragionare insieme della discontinuità che attraversa il sociale, l’economia e la politica. Nelle passate occasioni mi era più chiaro comprendere le linee di discontinuità che andavano delineandosi. Nel passaggio dal fordismo al postfordismo mi era chiara la discontinuità tra le voragini urbane e sociali lasciate dalla FIAT a Torino e l’emergere della fabbrica diffusa, del capitalismo molecolare, orfani nella scomposizione sociale del soggetto operaio massa. Il motivo di questa mancanza di chiarezza credo risieda nel fatto che non di discontinuità dobbiamo parlare oggi, ma di vero e proprio salto d’epoca.

Guardando a ciò che resta dei modelli di sviluppo, loro la chiama crescita, della società e della politica, mi domando se non ci resti che sussurrare, o urlare, “non ti riconosco più” e ritirarci in buon ordine nel racconto di microcosmi e di territori resilienti, magari facendo rete con Magnaghi e la sua rete dei territorialisti alla ricerca del “vento di Adriano” o di un’altra globalizzazione “dal basso”, oppure se valga la pena di alzare lo sguardo e continuare a cercare per continuare a capire oltre l’invito di Candido “Dobbiamo coltivare il nostro orto”, evocato in un tuo scritto sul Manifesto. O ancore se valga la pena continuare nella fatica di Sisifo dello scomporre e ricomporre il farsi della società nel salto d’epoca dell’accelerazione, con lo sguardo delle lunghe derive braudeliane del potere, del mercato e della civiltà materiale.

 

 

Nel gorgo, per non abbaiare
Foto di Francesco De Bastiani

Racconto di viaggio lungo la valle del Po, fra ingombranti eredità e la ricerca di nuovi paradigmi

di Michele Nardelli

In ognuno degli itinerari fin qui realizzati del “Viaggio nella solitudine della politica” sentivo di essere sul pezzo, ma mai come in quest'ultimo percorso nel cuore della “Padania” la sensazione di “essere presenti al proprio tempo” è stata così viva. 

Essere lì, a Pieve di Soligo, nella terra di Andrea Zanzotto e di Giuseppe Toniolo, il poeta che ha saputo raccontare con grande profondità lo spaesamento della sua terra e l'economista cattolico che seppe dar corpo e profilo culturale al movimento cooperativo veneto, nel giorno cruciale del referendum per l'autonomia, ad interrogarci sul valore dell'autogoverno in una prospettiva europea, ha dato oltremodo significato al nostro viaggio assumendo nel tempo di twitter e dei talk show – come qualcuno ha osservato nel corso dell'incontro riferendosi all'aridità dell'attuale contesto politico – un profilo quasi commovente.

Pulsare col tempo, coglierne i segni, non è affatto scontato. Vivere un presente tanto complesso, oltremodo in una regione come la “Padania” che – da Caorso alla Marca trevigiana – porta addosso le conseguenze visibili del fallimento di un modello di sviluppo industriale ed energetico che ha avuto l'effetto di snaturare quella che rappresentava una della più importanti aree rurali d'Europa, fra pulsioni contraddittorie e laceranti, ci è servito a riflettere su come il cambio dei nostri paradigmi sia un passaggio tanto cruciale quanto ineludibile.

Populista a chi?
Totò

«“Populisti” in politica sono sempre gli altri, gli avversari. In realtà ogni buon partito dovrebbe essere “populista”, cioè ascoltare cosa pensano e cosa chiedono le persone ordinarie, i semplici cittadini. Invece nel dibattito pubblico la parola viene usata in senso dispregiativo. No, non sono preoccupato per la presunta minaccia del “populismo”, ma per la possibile risposta autoritaria alla crisi della democrazia».

Zygmunt Bauman (1925-2017)



Va dato merito agli estensori del manifesto di Senso Comune di avere avuto il coraggio di rompere uno schema che voleva la sinistra (colpevolemente) autocompiacersi dell'essere altro/meglio del populismo, incapace di provare a leggere con maggior attenzione i segnali emersi dai risultati elettorali da un lato ma soprattutto da una trasformazione profonda della composizione sociale e delle condizioni materiali del contesto storico che stiamo attraversando.

Roma/Trento. Così lontane, così vicine.
Immagine di Leszek Bujnowscki.

The battle of Rome... (3)

di Federico Zappini *

(30 settembre 2016) E’ difficile, ma estremamente stimolante, provare a interloquire a distanza – con una persona che nemmeno si conosce – fuori dal chiacchiericcio che ammorba il dibattito pubblico, nel solco di un ragionamento articolato che prenda in considerazione lo stato dell’arte del pensiero e dell’azione politica, a Roma come altrove. Dato per scontato – come si dovrebbe fare ormai senza dubbio alcuno anche in campo economico – che la crisi che stiamo attraversando non è congiunturale ma di sistema, si dovrebbero porre le basi per agire di conseguenze, ipotizzando interventi altrettanto sistemici e non estemporanei.

Rispondo con particolare piacere alle sollecitazioni romane di Silvano Falocco perché gli echi che provengono dalla Capitale trovano – non senza un pizzico di sorpresa – risonanza quassù al nord, in un contesto che a un primo sguardo potrebbe apparire totalmente altro dalla palude dentro la quale è bloccata la città di Roma. Area metropolitana contro piccola città montana. Simbolo del centralismo statuale contro capoluogo di una Regione e di una Provincia autonoma, ipotesi avanzata di decentramento e autogoverno del territorio. Stereotipo della disorganizzazione contro modello di efficenza riconosciuto e apprezzato. Differenze rilevanti, certo, ma che non riescono – almeno ai miei occhi – a nascondere le similitudini che avvicinano la condizione, per entrambe di difficoltà, delle due Giunte in carica.

 

Una crisi lunga dieci anni, un laboratorio sul presente
Roma

The battle of Rome... (2)

di Silvano Falocco *

(20 settembre 2016) L'esperienza amministrativa capitolina va considerata, a tutti gli effetti, un vero e proprio laboratorio. Non un laboratorio, come sarebbe facile credere, delle ambizioni di governo del M5S, qui messe duramente alla prova da un surplus di approssimazione e autolesionismo, che non era facile immaginare. Si pensava, infatti, che l'esito scontato della prova elettorale avesse dato il tempo a tale forza di organizzare, meglio, la propria squadra di governo e il proprio gruppo dirigente. Ma, forse, anche se il tempo a disposizione fosse stato il doppio o il triplo, gli esiti non sarebbero stati granché migliori di quelli attuali.

E qui arriviamo al motivo per cui tale laboratorio è veramente interessante: stiamo infatti assistendo alla sperimentazione della capacità di governo della complessità da parte di “organizzazioni politiche moderne” costruite - e qui i partiti si somigliano in modo preoccupante - sulla base di un processo, allo stesso tempo, di verticalizzazione (il leader, il cerchio magico, il premier, il governatore, il sindaco) e restrizione della base militante (sezioni inesistenti, assenza di luoghi di riflessione ed elaborazione, sovrapposizione tra eletti e dirigenti di partito). Tali esperienze - come un iceberg che innalza la propria cuspide e restringe la propria base - si mostrano, alla prova dei fatti, inadeguate, fragili e fortemente instabili.

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Democrazia e forme partecipative, un'occasione mancata
Aperture

Prosegue il dibattito attorno ai temi della partecipazione, delle riforme istituzionali e del terzo statuto di autonomia. Su questo blog potete trovare nella home page gli interventi di Alessandro Dalla Torre, Simone Casalini, Roberto Pinter e Vincenzo Calì. In "primo piano" anche un intervento del sottoscritto sul referendum autunnale sulla riforma costituzionale al quale sono seguiti una serie di commenti (in realtà corposi interventi) di Edoardo Benuzzi, Flavio Ceol, Ciro Russo ed altri. In questo caso riprendo il testo che mi ha inviato l'amico Alessandro Branz sui sistemi partecipativi, tema tutt'altro che estraneo rispetto ai nodi veri del voto autunnale. Nella lettera con la quale Alessandro ha accompato il suo testo, ho colto la grande amarezza per il fatto che il dibattito locale e nazionale questi nodi non li abbia voluti affrontare, vivendo con fastidio una dialettica politica che avrebbe potuto essere salutare e che invece si è trasformata in una sorta di plebiscito a favore o contro il Governo Renzi. Nel ringraziare tutti gli intervenuti per aver scelto di entrare nel merito, rinnovo l'invito a considerare questo blog come uno spazio aperto ai vostri interventi. Nella speranza che nelle prossime settimane in particolare il confronto sul terzo statuto cresca in qualità. (m.n.)

 

di Alessandro Branz *

(1 settembre 2016) Alcuni giorni fa Nicola Lugaresi esprimeva sul Corriere del Trentino la sua viva preoccupazione per il basso livello di partecipazione manifestato da una serie di iniziative promosse dal Comune di Rovereto e da altri soggetti. Si tratta di preoccupazioni fondate e condivisibili, che da un lato sollecitano una riflessione sulle cause del fenomeno (individuate da Lugaresi nell’ormai diffuso “sentimento di rassegnazione e sfiducia” nei confronti della politica) e dall’altro richiamano ruolo e funzionalità degli stessi meccanismi partecipativi adottati, che evidentemente presentano delle lacune se non riescono a coinvolgere più di tanto i cittadini. Ed è proprio da quest’ultimo punto che vorrei partire per alcune brevi riflessioni.

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