"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Questo piccolo saggio è apparso sul n.113 di "Protagonisti", la rivista dell'Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea (Isbrec) dedicato al tema delle autonomie e della Regione Dolomiti.
di Michele Nardelli
«... E' pericoloso credere che un individuo o un gruppo possa essere libero solo a patto di essere anche sovrano. La famosa sovranità delle società politiche non è mai stata altro che un'illusione, che per di più può reggersi solo grazie agli strumenti della violenza, cioè con mezzi di per sé extra-politici. Data la condizione dell'uomo, determinata dal fatto che sulla terra non esiste l'uomo, bensì esistono gli uomini, libertà e sovranità sono così lontane dall'identificarsi da non poter neppure esistere simultaneamente. … Se gli uomini desiderano essere liberi, dovranno rinunciare proprio alla sovranità». Hannah Arendt, Tra passato e futuro
Hannah Arendt scrive queste parole nel 1954 ma il suo sguardo lungo giunge fino a noi, in questo tempo di “sovranismi” dove riecheggiano, malgrado le lezioni della storia, le rivendicazioni del “prima noi”, eco appunto di quel “Deutschland über alles” così foriero di sventura.
SCAPPARE LA GUERRA
14 febbraio / 14 marzo 2018
Mostra fotografica di Luigi Ottani / Reportage dal confine greco-macedone
Presentazione volume 14 MARZO 2018 ore 17.30
Si è inaugurata il 14 Febbraio scorso a Milano, presso la Galleria San Fedele (via Hoepli 3/), “Scappare la guerra”, un reportage fotografico dal confine greco-macedone di Luigi Ottani e Roberta Biagiarelli, tratto dal volume Dal libro dell’esodo (Piemme edizioni).
Il corpus di opere fotografiche, in bianco e nero, documenta il viaggio dei due autori compiuto nell’estate del 2015 sulla rotta balcanica dei migranti, a fianco delle famiglie di profughi siriani iracheni e afgani, durante l’esodo sulla via dei Balcani. Si tratta di un viaggio che porta la guerra e il dolore fin dentro il cuore d'Europa e che l'artista multidisciplinare Roberta Biagiarelli, con la sensibilità e l’attenzione acquisite attraverso l’esperienza del teatro storico sociale, e il fotografo Luigi Ottani, con lo sguardo empatico e penetrante di chi cattura attimi di storia, hanno documentato in un reportage intenso.
di Federico Zappini
(2 aprile 2018) Abbiamo deciso di intraprendere un viaggio dentro la crisi politica catalana dopo esserci chiesti – a metà dicembre scorso – quale potesse essere il ruolo dell’Autonomia nella delicata fase che sta vivendo l’Europa. Siamo arrivati a Barcellona mentre sei indipendentisti catalani entravano in carcere o erano costretti all’esilio. Sulla via del ritorno abbiamo appreso che Carles Puigdemont era in stato di arresto e si andavano formando le prime manifestazioni di solidarietà e protesta nelle piazze catalane.
Questo il contesto nel quale ci siamo mossi, tra incontri con partiti politici e conversazioni con soggetti sociali e culturali. Un contesto che, visto lo spropositato utilizzo della carcerazione preventiva da parte dello Stato spagnolo, rischia di veder chiudersi ogni possibilità di dialogo politico, favorendo una maggiore polarizzazione delle posizioni in campo e attivando una crescente radicalizzazione dei metodi di lotta da un lato e di tentativo di reprimerli dall’altro.
di Michele Nardelli e Federico Zappini
La questione catalana sembra essersi incagliata nella storia del Novecento. Se non sapremo proporre un approccio diverso, indicare nuovi scenari, immaginare paradigmi inediti, sarà ben difficile disincagliarla. E se l'orizzonte di ciascuna delle parti (ma anche dell'Europa e a ben vedere di ognuno di noi) rimane ancorato ai concetti di sovranità da un lato e di autodeterminazione dall'altro, sarà difficile venirne a capo. Può infatti sembrare paradossale, ma nella contrapposizione sulla Catalunya i principali protagonisti la pensano sostanzialmente allo stesso modo.
La situazione non è poi così diversa da ciò che avvenne nel 1999 nella crisi del Kosovo, oggi silenziata ma non per questo risolta, tanto è vero che per il diritto internazionale il Kosovo è ancora una regione della Serbia nonostante la sua indipendenza sia stata riconosciuta da 114 Paesi.
Shukri al Mabkhout
L'Italiano
Edizioni e/o, 2017
L'Italiano è un romanzo dello scrittore Shukri al Mabkhout, ambientato nella Tunisia della seconda metà degli anni '80, in un passaggio cruciale di quel paese, fra il nazionalismo arabo baathista che segnò tutta la fase post coloniale e il prendere corpo dell'islamismo politico.
Fra queste due tendenze – la prima ancorata nell'apparato statuale del supremo combattente1, la seconda che ha come riferimento il movimento dei Fratelli mussulmani radicata attorno al potere religioso – una sinistra marxista incapace di rappresentare un'alternativa, un po' perché fenomeno poco radicato nella complessità del tessuto sociale, un po' perché legata agli schemi ideologici di un mondo che ha esaurito – per usare una terminologia di quegli anni – la propria spinta propulsiva.
Di questo mondo è espressione il giovane protagonista del romanzo, Abdel Nasser, l'Italiano, chiamato così per la raffinatezza dei modi e del vestire, dal fascino che gli viene dalle origini andaluse della madre e dall'alterigia della bellezza turca del padre. Leader universitario di belle speranze, abbraccerà casualmente la professione giornalistica nel maggiore quotidiano legato a doppio filo al potere politico tunisino, perdendosi poi fra disincanto, storie d'amore e malcostume.
Il romanzo prende il là dal funerale del padre di Abdel e dallo scandalo che genera quest'ultimo picchiando l'imam sheikh 'Allala mentre celebra il rito funebre. Da qui si srotola il racconto, un affresco della società tunisina e di quel passaggio di tempo.
Giacomo Scotti
Il gulag in mezzo al mare
Nuove rivelazioni su Goli Otok
Lint editoriale, 2012
«Primo in Italia a rivelare le tristi vicende di quel gulag ... Scotti ritorna su quell'isola con questo libro. Stavolta però non si ferma soltanto sull'Isola Calva, ma ci porta nell'intero arcipelago concentrazionario jugoslavo della fine degli anni Quaranta e degli anni Cinquanta: isola di Sveti Grgur (San Gregorio), isola di Ugljan (prezzo Zara), Sremska Mitrovica in Serbia, Stara Gradiska e Nova Gradiska in Croazia, Bileca in Erzegovina; un variegato arcipelago di terra e di mare nel quale si consumò per circa un decennio uno dei crimini più orrendi contro l'uomo: la sua distruzione fisica e morale, la sua trasformazione da uomo libero in schiavo».
dalla prefazione di Predrag Matvejevic
Le autorità locali di Sarajevo hanno dato al nuovo palazzetto dello sport, nel quartiere di Grbavica, il nome banale di “Novo Sarajevo” (Sarajevo Nuova) per evitare di intitolarlo a Goran Cengic. Ma è proprio così che la città muore
di Azra Nuhefendic *
Goran Cengic era un ragazzo del posto, un raja come si direbbe tra amici a Sarajevo, e un eccellente sportivo ai tempi della Jugoslavia. Giocava a pallamano e faceva parte della squadra nazionale. Ma non era questo a contraddistinguerlo. Era il coraggio che Goran, durante la guerra, aveva mostrato per difendere un vicino e che gli costò la vita.
Il quartiere di Grbavica era stato occupato dai nazionalisti serbi. Gli abitanti musulmani e cattolici furono malmenati, uccisi, derubati, violentati e cacciati dalle proprie case. A Grbavica operava Veselin Vlahovic Batko, conosciuto come “il mostro di Grbavica”. Maltrattava e uccideva la gente, spesso per puro piacere. Era temuto anche dai serbi stessi. Dopo la guerra Batko fu processato e condannato a 45 anni di carcere per crimini di guerra e contro l’umanità.
Un giorno Batko prelevò da una casa un uomo anziano e ammalato. Lo maltrattava nel cortile, la gente sentiva la supplichevole voce del vecchio, qualcuno sbirciava da dietro la finestra, ma nessuno osava intervenire. Tranne Goran engi. Egli si oppose a Batko e cercò di difendere il vicino. Ma fu lui, alla fine, ad essere ucciso. I suoi resti sono stati trovati dopo la guerra.