"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Prendiamoci il tempo. Ora.
di Mauro Magatti *
Ricapitoliamo: Putin pensava che l’annessione del Donbass potesse avvenire a seguito di una veloce azione militare (l’«operazione speciale»), che poi un governo filorusso imposto a Kiev avrebbe ratificato, come era già successo con la Crimea. Piano fallito. L’Ucraina ha reagito e ha resistito anche grazie al sostegno dei Paesi occidentali.
Così, col passare dei mesi, l’esercito di Kiev ha avviato un’importante controffensiva, tanto da spingere Zelensky a porre la riconquista della Crimea come condizione per la fine della guerra. A quel punto, Putin ha annunciato una mobilitazione più larga, che ha suscitato obiezioni e reazioni interne, ma ha portato la Russia a fermare l’avanzata ucraina e a riconquistare qualche lembo di terra. E siamo così alla decisione della Nato di inviare alcune decine di carri armati più potenti per sostenere una nuova controffensiva ucraina. Nel contempo, la Russia si prepara a una nuova azione primaverile, forse coinvolgendo la Bielorussia.
A un anno di distanza dall’inizio delle ostilità, una cosa è chiara: la Russia non può perdere, perché la sua disfatta comporterebbe non solo la caduta del regime di Putin ma un trauma identitario i cui esiti sono ignoti. Da una sconfitta militare potrebbe forse nascere un governo più democratico e filoccidentale, ma anche un regime ancora più autoritario e violento. D’altro canto, anche l’Occidente non può perdere. Se dopo aver aiutato l’Ucraina, la Russia dovesse riuscire a sfondare grazie alla superiorità numerica, il disastro sarebbe totale. Il messaggio che si voleva trasmettere a tutti gli autocrati del mondo si tramuterebbe nel suo contrario. Il conflitto, dunque, si avvita su sé stesso. Secondo molti osservatori si va verso una guerra di logoramento di lungo periodo.
Cgil Cisl e Uil del Trentino vi invitano a partecipare al presidio che si svolgerà venerdì 28 ottobre 2022, alle ore 18.00 in Piazza d'Arogno a Trento
Dopo la morte, durante un fermo di polizia, di Mahsa Amini accusata di non indossare adeguatamente il velo, le proteste di giovani e donne da alcune settimane stanno infiammando diverse città iraniane contro le autorità del regime degli Ayatollah.
Dal 16 settembre ad oggi le prime stime parlano di quasi 250 morti e di oltre 12.000 arresti come conseguenza degli scontri tra manifestanti e forze di polizia iraniane. Intanto varie forme di ribellione alle leggi più oscurantiste, in particolare nelle Università del paese, proseguono nonostante i tentativi del regime di soffocare le proteste.
Per testimoniare la solidarietà della popolazione trentina verso i giovani, le donne e coloro che protestano a Teheran e in tutte le città del paese, per reclamare la fine delle violenze sui cittadini inermi e per chiedere la liberazione della giovane italiana Alessia Piperno ancora in arresto in Iran, ci vediamo venerdì alle 18.00 in Piazza d'Arogno (dietro il Duomo) a Trento.
Per la pace, per l'interruzione immediata dei bombardamenti, per il ritiro delle truppe russe, per la fine dell'occupazione dell'Ucraina. Venerdì pomeriggio anche in Trentino scenderemo in piazza per ribadire che va percorsa una via diplomatica alla risoluzione del conflitto scoppiato nel cuore dell'Europa a causa di una brutale e ingiustificata invasione decisa dal regime di Putin.
Crediamo nella pace oggi più che mai proprio perché si parla di escalation e di possibile utilizzo di ordigni atomici. La pace è¨ l'unica strada possibile per evitare l'olocausto nucleare. Crediamo nella necessità di far tacere le armi per imboccare una strada che porti davvero ad una Ucraina libera, indipendente e pacificata. Crediamo nella necessità di una tregua per soccorrere le vittime di questa guerra. Crediamo nel dialogo e nella diplomazia come forma di risoluzione delle controversie internazionali.
Noi tutti siamo dalla parte degli aggrediti che si difendono da un'invasione e da una occupazione. E sappiamo che solo una pace giusta può garantire agli ucraini di poter finalmente vivere sicuri e in libertà.
Ora tocca a tutti noi dimostrare con le parole e con le azioni che si può essere vicini e solidali con la popolazione ucraina e allo stesso momento essere veri operatori di pace.
Per questo saremo in piazza venerdì 21 ottobre alle ore 17.30 in piazza d'Arogno a Trento
Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Cgil del Trentino, Arci del Trentino, Acli Trentine, Cantiere di Pace
Temi e metodi di pace per l'innovazione didattica
Corso di formazione rivolto ai docenti della Provincia autonoma di Trento
Liceo da Vinci, Trento
ottobre - novembre 2022
Lo scoppio della guerra russo-ucraina è venuto ad interpellare le coscienze democratiche in più forme e maniere: dalla maturazione della consapevolezza che occorre ripensare e ridiscutere i temi della guerra e della pace guardando alle mutate fattezze dello scenario contemporaneo, attraversato da tensioni geopolitiche in parte inedite, al rinnovato richiamo di responsabilità dal quale si sono trovate investite le istituzioni democratiche, sollecitate a contribuire ad un’effettiva educazione alla pace. Tali appelli raggiungono anche il mondo scolastico, configurandosi ad un tempo come sfida didattica: innovare le forme dell’insegnamento per attivare apprendimenti capaci di formare futuri cittadini del mondo, consapevolmente e responsabilmente promotori di pace. Una sfida che non viene solo a riguardare il recentemente introdotto insegnamento trasversale di educazione civica e alla cittadinanza, configurandosi come ad esso previa e più fondamentale, interessando la scuola nel suo complesso e tutti gli insegnamenti disciplinari a livello curricolare.
È possibile riproporre qualcosa di simile alle "tregue natalizie" della Prima guerra mondiale, quando i soldati uscirono dalle trincee e iniziarono a fraternizzare? Immaginiamo un accordo
di Marianella Sclavi*
(21 ottobre 2022) C'è qualcosa di profondamente assente e gravemente sbagliato, nel dibattito in corso sulla guerra in Ucraina, come ha sottolineato Adriano Sofri. Chi non sa nulla di gestione alternativa dei conflitti è convinto che per porre termine a un conflitto bisogna ragionare sulla sua soluzione, e su queste basi cercare un accordo. Ma questo vale unicamente per i casi più semplici e in fondo banali. Nei casi più complessi la via della soluzione è esattamente l’opposto: si deve smettere di discutere sugli esiti e creare contesti nei quali gli attori in gioco possano uscire dai ruoli che li ingessano e immaginare liberamente dei futuri desiderabili. Dal primo Camp David del 1978, all’Accordo di pace del 1992 sulla guerra civile in Mozambico, grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio, all’accordo del 2016 che ha posto fine a 50 anni di guerra civile in Colombia, è ampiamente dimostrato che è l’ascolto attivo e la convergenza sui futuri desiderabili la via maestra per porre fine al conflitto “intrattabile”.
Nell'ambito delle manifestazioni programmate per l'inaugurazione della nuova Biblioteca comunale di Baselga di Piné, viene realizzato nei mesi di luglio e di agosto un percorso di dialoghi filosofici coordinato dalla prof. Marta Villa dell'Università di Trento.
Il 27 luglio 2022, alle ore 10.00, si svolge un dialogo da titolo "La pace non si costruisce nel territorio della guerra", che vedrà in dialogo Michele Nardelli e Massimiliano Pilati.
Un viaggio di ascolto, dentro un pericoloso silenzio
di Federico Zappini *
Dovevamo essere 5mila. Siamo arrivati a Kiev in poco più di cinquanta. Non deve essere letta come una sconfitta questa composizione ridotta della delegazione – anche per motivi di sicurezza, necessariamente stringenti in un paese in guerra – ma come stimolo al dare corpo a mobilitazioni sempre più vaste (oggi colpevolmente assenti, ci tornerò) in grado di fornire una massa critica sufficiente a livello europeo per chiedere/imporre l’interruzione dell’invasione russa e un contestuale percorso diplomatico che dia continuità e solidità alla pace, oggi interrotta e ferita.
Il primo avamposto del Mean (Movimento Europeo di Azione Non Violenta) è un gruppo eterogeneo di uomini e donne che – questo il tratto distintivo della missione appena conclusa – ha condiviso l’idea di un viaggio basato sull’ascolto dei propri interlocutori in Ucraina, di un’esperienza dialogica che accetta la complessità e le contraddizioni di uno scenario di guerra e dei dolori e dell’incertezza cui essa costringe da più di cinque mesi milioni di persone dentro e fuori i confini ucraini.
Un percorso di ricerca e confronto che si basa su una duplice urgenza, perfettamente descritta da Marianella Sclavi, una delle principali animatrici del progetto. Dobbiamo sentirci tutte e tutti coinvolti da un conflitto che a poche centinaia di chilometri dall’Italia e nel cuore dell’Europa da più di centocinquanta giorni terrorizza, colpisce e uccide la popolazione civile ucraina, sotto scacco di una ingiustificabile aggressione. Essere presenti a Kiev l’11 luglio ha significato prima di tutto questo. “Per sentirci e agire in modo umano serve il contatto, la presenza in comune” ci ha ricordato Angelo Moretti, altra anima ispiratrice di questa concreta e visionaria esperienza.
Contestualmente dobbiamo essere consapevoli che rompere il silenzio che stava calando attorno alla guerra – in una caldissima e faticosa estate, dove le crisi globali si sommano e moltiplicano – presuppone l’idea di coltivare e sperimentare l’ambizione di essere con i propri corpi innesco di iniziative non violente (di diplomazia e cooperazione, di confronto e di mobilitazione popolare) che affianchino, indeboliscano e, il prima possibile, sostituiscano il linguaggio della guerra e delle armi, oggi predominante.