"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(24 luglio 2022) Proprio nei giorni scorsi con alcuni amici parlavo di Alberto Tridente e di quando nella primavera del 1994 andammo insieme per un mese in Messico per la campagna elettorale di Cuatemoc Cardenas, allora candidato presidente per il PRD, il Partito della Rivoluzione Democratica. Fu un'esperienza intensa e profonda, che mi porterò nel cuore finché vivo. Grazie ad Alberto conobbi persone e luoghi straordinari ed iniziai ad amare quel paese nel quale poi ho avuto la possibilità di ritornare in più occasioni.
Oggi sono dieci anni che Alberto ci ha lasciati. Ma il fatto che Alberto abiti frequentemente le mie conversazioni e i miei pensieri significa che la sua traiettoria esistenziale ha lasciato un segno profondo.
Come sindacalista, quando fare sindacato significava farsi carico della condizione umana a tutto tondo, lui che veniva da una famiglia operaia di immigrati a Venaria e che a sua volta, trascorsa l'infanzia, di quella condizione era suo malgrado interprete come operaio metalmeccanico e come dirigente sindacale.
Caro Professore caro,
ti scrivo, ancora una volta.
Questa lettera veleggerà nell’aria fino a raggiungerti nel silenzio dell’universo dove sei approdato. Non posso ignorare il morso di dolore che stringe lo stomaco, al pensiero della morte nonostante la tua lunga complicata vita.
Di recente ho attraversato le dolenti spiagge dell’abbandono della persona amata ed ora il saluto che devo rivolgere a te acuisce il solco della perdita. Delle varie perdite, che si sommano a mano a mano che si devono salutare i volti di quanti hanno intercettato i nostri passi e con cui si sono condivisi pensieri e speranze.
Nel tuo romanzo “Il petalo giallo”1 hai messo in campo lo scambio di lettere tra i personaggi della storia narrata, ribadendo che le lettere collegano, spiegano, fanno affiorare il rimosso, illuminano, aiutano. Tra i protagonisti, Igor a Magda, un tempo le lettere erano state “un dono, di una creatura accorta ma sognatrice e infantile, che l’aveva aiutato a ritornare nel mondo degli esseri umani”, perché l’invio di missive in qualche caso permette di ricucire gli strappi della vita.
Forse anche fra noi, pur in piccola misura, i messaggi scambiati hanno lenito momenti di solitudine. Leggendo le tue narrazioni, ho intercettato tante domande ed è forse da qui che ha preso il via la nostra corrispondenza, fatta di cartoline e di lettere, scritte a mano o battute a macchina, come facevi solitamente, secondo antica usanza. Per questo oggi ti scrivo e, col tuo permesso, condivido pubblicamente alcuni argomenti di cui abbiamo discusso da lontano.
Spero che altri possano raccogliere il testimone e proseguire allargando il cerchio del dialogo intrapreso.
Un abbraccio denso di affetto.
Micaela
Viaggio nella solitudine della politica.
Tredicesimo itinerario.
Sulle tracce di Al Andalus e del Don Chisciotte
22 aprile 2022 – 2 maggio 2022
«Il palcoscenico costruito da Cervantes era affollato da versioni diverse della domanda
se le cose possano mai essere quelle che sembrano, che affermano di essere,
che vogliamo che siano, che ad altri occorre che siano»
Maria Rosa Menocal, Principi, poeti e visir
Mi sono interrogato più volte se fosse il caso di proporre - malgrado tutto quel che accade intorno a noi - un ennesimo viaggio. Pandemia, crisi climatica, guerre ci potrebbero indurre ad attendere tempi migliori. Il fatto è che il tempo migliore viene considerato quello della normalità, ovvero il contesto nel quale l'intreccio delle crisi che stiamo attraversando ha trovato il proprio retroterra materiale, culturale e politico. Ovviamente valuteremo nelle prossime settimane quali saranno gli sviluppi degli avvenimenti, ma anche questo nostro immergerci nella storia europea e mediterranea lo vorrei considerare come una risposta a chi ci ripropone - in queste ore di guerra - lo scontro di civiltà. E poi non vorrei cedere ad un'emergenza che diviene infinita, perché non sappiamo leggere in altro modo il presente.
Ecco perché - salvo ostacoli insormontabili - vorremmo di nuovo metterci in viaggio. Uso il plurale, perché questi viaggi sono stati un agire collettivo, una forma di "presenza al proprio tempo" e anche occasioni di formazione, che hanno a loro volta prodotto pensiero e relazioni, diari e libri ed altro ancora.
Abbiamo imparato che ogni terra è un caleidoscopio sul proprio tempo. Lo è andando a rileggere il passato che, quando non elaborato, incombe sul presente. Lo è per quanto ha saputo condensare nella modernità. Lo è infine nella capacità di far vivere il futuro nel presente.
Se ci pensiamo, tutti i precedenti itinerari di questo nostro “Viaggio” hanno cercato di interpretare altrettanti limes, come a far scorrere avanti e indietro la macchina del tempo alla ricerca dei nodi gordiani di un secolo con il quale non abbiamo saputo fare i conti, ancora ingombro dei pensieri e dei paradigmi di una storia finita.
Ancora ci mancavano alcuni passaggi cruciali. Lungo le rotte mediterranee fra l'Europa, l'Africa e il vicino Oriente, alla ricerca di ciò che rimane delle “primavere arabe”. Lungo il cuore di tenebra del progresso, fra la regione del carbone e del ferro contesa nella prima guerra mondiale, il mito della razza che portò ai campi della morte e il delirio dell'homo faber che ha nell'“Arbeit mach frei” e nel controllo dell'atomo i suoi tragici simboli. E infine il passaggio che ci racconta di quando Europa volse il proprio sguardo verso occidente, come a voler rompere il cordone ombelicale che la tratteneva alla Mezzaluna fertile del Mediterraneo.
E’ quest'ultimo un itinerario concettuale prima ancora che fisico, che ci porterà ad aprile in Andalusia, per toccare tre aspetti che meglio di altri crediamo possano trasmetterci qualcosa dalla storia e dal presente di questa terra.
(19 giugno 2021) Erano passati ormai una decina d'anni da quando i nostri percorsi politici avevano preso strade diverse. Eppure, nell'incontrarsi, bastava uno sguardo fra noi per dirci in buona sostanza che le cose in fondo non erano cambiate.
In questa sorta di intesa non centrava quel che accadeva nel mondo – grandi mutamenti investivano tempi piuttosto interessanti – quanto il trattamento che veniva riservato al pensiero laterale e a chi quella sensibilità sincretica cercava di interpretare.
Così il carattere aperto, la ricerca, la mitezza venivano scambiate per moderazione e arrendevolezza. Che nelle prerogative verticali, maschili e autoritarie delle strutture (di partito e non solo) diventavano motivo di emarginazione. La forza era data dai numeri, nelle piccole appartenenze forse ancor più che in quelle più robuste.
Avevamo imparato a sorriderne, ma questo non diminuiva certo il dolore e la fatica del sentirsi inascoltati o mal sopportati.
di Razi e Soheila Mohebi
"A volte uno non si cura dei passeri e non sente quello che hanno da dire.
A volte non si cura di sentire il suono di flauto del pastore e non distingue le voci delle pecore e degli agnelli
e non si capisce cosa vogliono dire e poi arriva anche la volta in cui non sente più i sospiri e i gemiti delle altre persone.
L'esperienza della massimizzazione , sempre al suo apice, è possibile solo per l'uomo in guerra.
"Guerra significa massimizzare tutto."
Il nostro asino nero e altre Memorie di Jaghoori
Afghanistan
Mi viene da dire che tutto sia andato ad una velocità atroce, ma poi mi fermo sul mio pensiero: sapevamo fin dal lontano 2011, quando siamo partiti con una equipe della FilmWork sostenuta a sua volta dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, per girare il primo episodio di "Afghanistan 2014 campo lungo".
Il film racconta la prospettiva della comunità internazionale dopo il loro ritiro delle truppe dall'Afghanistan. Abbiamo percorso le nostre inquietudini fino al 2014 realizzando il secondo episodio "Afghanistan 2014, Insert " e attraversando l'Europa, dalla Grecia all’Italia, dalla Germania alla Svezia, abbiamo domandato della diaspora afghana in esilio, per sapere cosa pensano possa accadere con il ritiro definitivo delle forze internazionali.
(4 maggio 2021) Se ne è andato da questa vita Francesco Maria Feltri. Aveva 63 anni. Una morte improvvisa che ha lasciato nello sconcerto le molte persone che lo avevano apprezzato nel suo tragitto di studioso, insegnante e formatore.
Per chi non ha avuto l'opportunità di conoscerlo, Francesco Maria Feltri era considerato tra i massimi esperti italiani di Storia del Nazionalsocialismo e della Shoah. Innumerevoli i viaggi di studio che ha accompagnato in Polonia, Repubblica Ceca, Paesi Baltici, Russia, Turchia e Israele, collaborando con musei, fondazioni e istituzioni della memoria, tra cui la Fondazione Fossoli di Carpi e l'Istituto di Storia della Resistenza di Modena.
Ho conosciuto Francesco Maria Feltri solo nel 2018, in occasione del viaggio di studio “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa”. Andammo a rendere omaggio a Predrag Matvejevic, nel luogo della sua ultima dimora nel cimitero di Zagabria; al memoriale che ricorda il campo di sterminio di Jasenovac; a Omarska, nei pressi di Prijedor, dove nel 1992 riapparvero i campi di concentramento; a Sarajevo, dove ebbe tragicamente inizio il Novecento e dove altrettanto tragicamente si concluse; a Srebrenica, dove si consumò sotto lo sguardo ipocrita del mondo il massacro della popolazione bosgnacca che aveva cercato protezione nella base delle Nazioni Unite. E qui mi fermo un attimo.
Mercoledì 3 marzo 2021, alle ore 17.30
in diretta sulle pagine FB delle Librerie Il Catalogo, due punti e Tamu
Islam, oltre la rappresentazione. La lezione di Massimo Campanini.
Saluto iniziale di Donatella Nepgen, moglie di Massimo Campanini.
Intervengono
Pejman Abdolmohammadi (Università di Trento)
Massimo Campanini, una biografia intellettuale.
Francesca Forte (Accademia Ambrosiana)
Il profilo filosofico di Massimo Campanini.
Luigi Alfieri (Università di Urbino)
L'Islam e l'Occidente, l'Islam come Occidente.
Francesco Cargnelutti (Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII)
Islam politico in Tunisia: dalla repressione al governo, l’esperienza di Ennahda.
Anthony Santilli (Università l’Orientale di Napoli)
L’Islam politico alla prova della realtà araba: il caso dei Fratelli musulmani.
Francesca Badini (Fondazione per le Scienze religiose Giovanni XXIII)
L’esegesi coranica tra modernità e contemporaneità.