"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«Tempi interessanti» (50)
... Il coraggio delle riforme non può tradursi nel combinato disposto fra rafforzamento del potere esecutivo e leggi elettorali ultra maggioritarie. E' cambiato il mondo, dovremmo immaginare nuovi scenari e spazi di azione politica europea (un sistema di difesa integrato che superi gli eserciti nazionali, un quadro di macro regioni europee oltre i confini statuali, un rapporto di cooperazione e di integrazione con l'area mediterranea...); dovremmo riscoprire il valore dei territori come chiave per responsabilizzare gli attori locali e valorizzare quelle straordinarie unicità per le quali questa parte d'Europa è conosciuta nel mondo e troppo spesso svilite e banalizzate; dovremmo agire sulle potenzialità umane affinché la conoscenza diventi il retroterra di una nuova partecipazione civica...
... L'esasperazione dei toni sul referendum d'autunno non ci aiuta a capire. Non c'è nessun golpe in arrivo e, per altro verso, il cambiamento è altra cosa. La riforma costituzionale del governo Renzi non è il “male minore” - come afferma Cacciari - ma semplicemente un approccio sbagliato (e fuorviante) che non ci aiuta ad affrontare i nodi veri che attraversano questo tempo in bilico fra il "non più" e il "non ancora"...
Quello che segue è l'editoriale del Corriere del Trentino di Simone Casalini (domenica 21 agosto 2016)
di Simone Casalini
(21 agosto 2016) Da quando si aprì la falla sulla nave claudicante della Prima repubblica, un argomento più di altri affiorò nel dibattito politico come possibile architrave di un nuovo modello statuale: il federalismo. La ristrutturazione del comparto dei poteri e la valorizzazione delle autonomie locali sono stati vessilli della lunga transizione verso un Eldorado istituzionale mai raggiunto. Non sono mancate le riforme né il decentramento, un processo a singhiozzo che ha introdotto trasformazioni virtuose (responsabilizzazione degli enti locali, decentralizzazione delle decisioni, un’idea di politica territoriale) e distorsioni eloquenti (spese fuori controllo, conflittualità con lo Stato di fronte alla Consulta, assenza di un’armonizzazione su alcuni principi fondamentali).
In un contesto globale caratterizzato da una crescente competizione tra territori e da grandi flussi di merci, denaro e persone, possono i modelli istituzionali autonomistici rappresentare un fattore di crescita e di sviluppo, nonché un’opportunità per definire nuovi modelli di convivenza? E possono esserlo senza cadere in tentazioni identitarie e di rinserramento nelle “piccole patrie”? Partendo dal caso di una regione autonoma, la Catalogna, che sta discutendo in modo acceso il proprio futuro, il Consiglio provinciale propone una riflessione sulla dialettica tra autonomia territoriale, stato nazionale e processo di integrazione europea.
Con:
Josep Borrell Fontelles (già presidente del Parlamento Europeo)
Sergio Fabbrini (Direttore Luiss School of Government)
Modera Steven Forti (ricercatore di storia contemporanea- Universidade Nova de Lisboa).
Andare oltre il referendum. Esistono infatti procedure altrettanto efficaci, capaci di coinvolgere i cittadini in maniera più completa ed esaustiva.
di Alessandro Branz *
(24 aprile 2016) L'istituto del referendum è sempre stato oggetto di strumentalizzazioni, anche a causa della sua natura rigorosamente binaria (o Si o No). Ne abbiamo avuto conferma in occasione della consultazione referendaria di domenica 17 aprile, caratterizzata dalla caduta di stile e dall’atteggiamento pesantemente diseducativo di coloro che, pur ricoprendo ruoli istituzionali di primo piano, hanno invitato i cittadini (purtroppo con successo) a non recarsi alle urne, salvo poi menar vanto di un risultato così poco edificante.
Per fortuna le cose non sono andate sempre cosi. Ricordo, ad esempio, il dibattito argomentato e competente che circa due anni fa si è aperto sulle colonne del Corriere del Trentino a proposito delle definizioni da attribuire al termine «democrazia» (fra cui anche quella «diretta»).
Carissime/i,
ho il piacere di invitarvi ad una serata di riflessione che credo e spero vi possa interessare. Si tratta del primo di una serie di incontri promossi dall’Associazione PERCORSI (RI)COSTITUENTI, dedicati ad un’analisi critica delle riforme che nel campo istituzionale e costituzionale sono promosse dal governo Renzi.
Nella fattispecie la serata in oggetto si incentra su una disamina attenta del c.d. Italicum, la legge elettorale approvata nel 2015 dal Parlamento: naturalmente si tratta di un tema decisivo non solo per il PD, ma anche per lo stesso funzionamento del sistema politico italiano, stante gli aspetti (a mio avviso) preoccupanti di novità che tale legge introduce e l’influsso che essa certamente eserciterà sullo stesso modello di partito del futuro.
Proprio per questo, data l’importanza e la complessità dell’argomento, abbiamo chiamato a parlarne uno dei più attenti studiosi in materia, Antonio Floridia, che in Trentino è conosciuto per aver preso parte in più occasioni ad iniziative incentrate sulla forma partito o sui modelli di democrazia.
(12 maggio 2016) La normativa sulle Unioni civili è da ieri legge dello Stato italiano. Con un voto a larga maggioranza la Camera dei Deputati ha approvato il testo licenziato dal Senato che pure aveva prodotto qualche strascico polemico per aver lasciato fuori le norme sulle adozioni. Si tratta di un passo importante, che pone fine ad una insopportabile discriminazione sia verso le coppie omosessuali che verso quelle di fatto. Non finiranno, invece, le polemiche considerato che attorno a questa normativa la destra populista – intravvedendo la possibilità di utilizzare il tema della famiglia come arma di scontro e di consenso politico elettorale – ha già annunciato ostruzionismo diffuso, obiezione di coscienza e una propria iniziativa referendaria. Il ritorno ad una contrapposizione fra credenti e laici non mi sembra affatto uno scenario desiderabile, con l'effetto di imbarbarire ancora di più un clima politico già oltremodo degradato. In questo senso ho trovato di grande valore l'intervento di Massimo Cacciari, apparso nelle scorse settimane sulla rubrica “Parole nel vuoto” del settimanale “L'Espresso”, che ho pensato di riprendere. (m.n.)
di Massimo Cacciari
Accade, di rado fortunatamente, che la politica e l’attività legislativa si imbattano in problemi di straordinaria complessità storica e culturale. Sarebbe certo, allora, auspicabile il massimamente improbabile, e cioè una certa consapevolezza che le questioni che si affrontano investono forme di vita e di civiltà, mutamenti di portata antropologica e non qualche moda passeggera.
È il caso degli attuali dibattiti, più o meno piazzaioli, sulle unioni civili, tema che assume il proprio significato soltanto se inserito nel drammatico contesto del rapporto attuale tra scienza-tecnica, politica e vita. Discutere di un aspetto di tale relazione astraendo dagli altri e dall’intero è la follia che ci condurrà ciechi e inconsapevoli chissà dove.
di Federico Zappini *
(11 febbraio 2016) Vi sarà capitato almeno una volta di sentire il motore della vostra auto – a secco di carburante – ammutolirsi, costringendovi a parcheggiare mestamente a bordo strada. E’ una sensazione spiacevole, che genera – a seconda del carattere – imprecazioni o sconforto. Spesso entrambi. Saprete quindi quanto è faticoso a quel punto far muovere quel pesante mezzo di lamiera per provare a raggiungere la prima piazzola di sosta o un’area di servizio per fare il pieno. Se poi vi è successo di vivere questa disavventura da soli, avrete presente quanto la situazione possa diventare complessa. Se vi rimboccate le maniche e provate a spingere non potete controllare il volante, rinunciando a gestire la direzione del mezzo. Se invece rimanete al posto di guida, senza una spinta non vi sposterete di un centimetro, pur avendo le mani salde sul volante che indirizza la marcia.