«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani». "Manifesto di Ventotene"

Democrazia e partecipazione

Certo il sole è sorto anche oggi, eppure…
Sole

Intorno all'esito referendario (1)

di Federico Zappini

(6 dicembre 2016) Il sole si è alzato anche ieri mattina. Alle 7.21 per la precisione. Questa volta non è servito aspettare l'alba per scorgere chiaro il risultato del referendum costituzionale. L'ormai tradizionale maratona di Enrico Mentana si è risolta in una poco avvincente gara dei 100 metri piani, corsa tra quelli che – moltissimi, troppi e decisamente impresentabili – si sono precipitati per intestarsi la vittoria e chi, in definitiva il solo Matteo Renzi, ha dovuto fare i conti con un risultato tanto rotondo quanto fatalmente decisivo per la propria esperienza di governo. Il tratto della velocità ha segnato l'ultima appendice di quella che è stata una lunghissima ed estenuante campagna. Interminabile nella sua fase di formazione e avvicinamento, repentina nella sua conclusione. Ritmi schizofrenici, come non poteva essere altrimenti. Ecco allora che la metafora della regolarità dei cicli solari, richiamata da Barack Obama nella notte che ha sancito la vittoria di Donald Trump e di conseguenza buona per ogni momento di ipotetica tragedia montante, risulta certo evocativa ma non del tutto rassicurante nel momento in cui alla certezza del sorgere e del tramontare quotidiano della nostra stella di riferimento non corrisponde un'analisi sufficientemente accurata delle condizioni di contesto sopra le quali quei movimenti si ripetono con tanta precisione.

Se il potere è più populista dei cittadini
E' nata la Repubblica

Dal Corriere della Sera del 3 dicembre 2016 un significativo editoriale di Dario Di Vico.

di Dario Di Vico

Raccontando in anteprima ai suoi amici cosa aveva scritto nel cenquantesimo Rapporto Censis, Giuseppe De Rita ha ricordato il senso del dibattito che nel lontano 1973 divise Aldo Moro e Giulio Andreotti. Mentre il primo sosteneva che la politica dovesse orientare la società, il secondo rispose esattamente il contrario: «Deve solo assomigliarle».

In epoca di web dominante e di post verità può sembrare colpevolmente retrò ritornare a un dibattito tra i cavalli di razza della vecchia Dc ma De Rita lo ha fatto con lo scopo preciso di parlare dell’oggi e della circostanza per cui «chi governa sembra più populista di chi sta in piazza».

L'ideologia della vittoria
Codice di Hammurabi, particolare

di Raniero La Valle

(8 novembre 2016) Chi vincerà il prossimo referendum? Ormai da molti mesi l’unico scopo, l’“oggetto immenso” della politica italiana è la vittoria nel referendum. Renzi non pensa ad altro, e attribuisce all’esito del referendum conseguenze epocali sia per il vincitore – che dovrebbe essere lui – sia per i perdenti che dovrebbero essere tutti gli altri (D’Alema, Bersani, Zagrebelski, i Cinque Stelle, i gufi, i parrucconi).

Alla Leopolda, il 5 novembre, tirava una brutta aria: come ha sintetizzato la Repubblica: “abbracci agli amici, botte ai nemici”. Scrive Michele Prospero sull’Espresso: «Renzi cerca continuamente un nemico, qualcuno a cui stare antipatico: se ne è creati molti, spesso scientificamente. Renzi cerca la contrapposizione così come cerca continuamente l’acclamazione. La cerca alla Leopolda o durante le direzioni del Pd, che sono entrambi luoghi di obbedienza e celebrazione».

 

In attesa che arrivi il 5 dicembre…
dal sito Ponti di vista

 

In attesa di capire se verrà accolto il ricorso di Onida – viva lo spacchettamento! – e se non prevarrà la voglia di posticipare – no, vi prego, no… – propongo questa breve riflessione che non entra precisamente nel merito del quesito e nel suo giudizio tecnico, ma prende in considerazione ciò che sta a monte di ogni possibile riforma o trasformazione dell’esistente, cioè le condizioni del contesto politico e sociale dentro il quale dovrebbero verificarsi. Mi sembra un argomento più interessante della sfida tra comitati del #bastaunsì e del #iovotono, a cui però farò riferimento almeno per segnalare la mia intenzione di voto.

di Federico Zappini

Sto seguendo – non potrebbe essere altrimenti – il dibattito attorno al referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo. Definirlo dibattito è già di per sé un atteggiamento eccessivamente magnanimo per quella che si trasformando giorno dopo giorno in una battaglia senza esclusione di colpi. Lo stimolo per la stesura di questo pezzo – che, come dice il titolo, sarà l’unico che pubblicherò sul tema – è emerso dalla lettura di un editoriale del direttore del Foglio Claudio Cerasa (Generazione perché sì) di qualche tempo fa e, parallelamente, di un certo numero di commenti che riducono a opportunismo, o peggio, la scelta di alcuni (non molti per la verità) di immaginare o almeno riflettere (di) una terza via – non nel voto, ma di pensiero – alla sfinente battaglia tra Sì e No. E ancora manca quasi un mese.

La «Carta di Udine», un capolavoro di ipocrisia
I protagonisti della Carta di Udine

«Tempi interessanti» (55)

(15 ottobre 2016) Il federalismo scomparso, non una parola sulla messa in discussione del principio di parità fra i livelli istituzionali costitutivi della Repubblica Italiana sancita nel Titolo V all'articolo 114, nulla sul trasferimento dei poteri verso lo Stato che contraddice il significato profondo della riforma del 2001 peraltro rimasta largamente inattuata (come sull'introduzione del federalismo fiscale). Nulla sulla proposta di accorpamento delle Regioni avanzata da esponenti del PD in Parlamento, assunta dal governo come indirizzo, che ipotizza l'accorpamento delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione Friuli Venezia Giulia al Veneto. E un insieme di contorsionismi per dire che la riforma del Titolo V rappresenterebbe un salto di qualità nella piena applicazione dei principi costituzionali, quando è evidente al mondo intero che i poteri delle Regioni ne uscirebbero profondamente ridimensionati. La "Carta di Udine" è un capolavoro di ipocrisia...

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Merito e metodo, ragioni per dire che questa riforma non va bene
Costituzione

di Alessandro Branz

(31 ottobre 2016) In questo breve contributo non è mia intenzione entrare nei dettagli della riforma costituzionale, sia per ragioni di spazio sia perché il rischio sarebbe quello di inoltrarsi in “tecnicismi” difficili da comprendere. Mi limiterò quindi a toccare tre questioni di carattere metodologico, che costituiscono, a mio parere, altrettanti snodi fondamentali per capire quanto sta succedendo.

Innanzitutto va detto che quello di superare il c.d. “bicameralismo perfetto” (sarebbe meglio definirlo “paritario”, per non generale equivoci) è un obiettivo condivisibile: del resto se ne sta discutendo da anni sia in sede scientifica che a livello di opinione pubblica. Non è questo il punto: il punto è “come” questa operazione viene effettuata.

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Terzo statuto, il fallimento della Convenzione
Castelfirmiano, 1957

di Riccardo Dello Sbarba *

(22 giugno 2016) Con un documento approvato da una parte sola, che ha messo in minoranza la delegazione di lingua italiana quasi al completo, la Convenzione per l'autonomia di Bolzano ha negato nei fatti quello che era il suo compito: disegnare una nuova autonomia come patto costituzionale tra cittadine e cittadini di ogni gruppo linguistico, seguendo il metodo dell'intesa e del reciproco rispetto.

La Convenzione di metodi ne ha seguito un'altro: quello della maggioranza, che in Sudtirolo diventa facilmente, se non ci si sta attenti, maggioranza etnica. E così è stato. Il documento finale ha visto saldarsi l'asse Svp-Schützen sulla linea del “noi andiamo per la nostra strada”. Questo asse equivale a uno schiaffo alla attuale classe dirigente della Stella Alpina, Kompatscher in primis, e proprio per questo al ponte verso la destra ha lavorato incessantemente il campione della vecchia classe dirigente, cioè l'ex presidente Durnwalder.

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