"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Democrazia e partecipazione

La disfida in perdita.
C'era una volta... Centro sociale per l'autonomia

Dopo la riflessione di Roberto Pinter sulla riforma Calderoli e la scelta referendaria, prosegue il confronto con l'intervento di Lorenzo Dellai.

 

di Lorenzo Dellai

Condivido pienamente le riflessioni di Roberto Pinter pubblicate sul quotidiano “Il T” nei giorni scorsi. Per come si sta sviluppando, la disfida sulla “Autonomia Differenziata” per le Regioni Ordinarie rappresenta uno dei segni più evidenti – certo non l’unico – del degrado della Politica italiana.

Il Governo di Destra (che si fonda in larga parte su una istanza nazionalista e statalista) ha fatto muro in Parlamento attorno ad una Legge che attua l’art. 116, terzo comma, della Costituzione. L’opposizione di Sinistra (che quella previsione costituzionale aveva voluto e votato, ancora nel 2001) raccoglie invece le firme per un Referendum popolare abrogativo di tale Legge, evocando lo spettro della “divisione” del Paese e della dissoluzione della sua “unità”.

Il Governo di Destra difende la sua proposta in forza di un patto interno fra le sue tre componenti attorno ai loro rispettivi “totem” (alla Lega l’Autonomia Differenziata; a Fratelli d’Italia il Premierato; a Forza Italia la riforma della Giustizia con la separazione delle carriere dei Magistrati). L’opposizione, dal canto suo, trova nella proposta referendaria abrogativa un terreno di intesa (tra i pochi) per il cosiddetto “campo largo”.

Si possono affrontare in questo modo le grandi e delicate questioni delle “Riforme” costituzionali ed istituzionali?

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Autonomia differenziata: il dibattito che non c’è.
Rovereto, Mescolanze

Prosegue il dibattito sulla riforma Calderoli e sul referendum contro l'autonomia differenziata. Oggi l'intervento di Roberto Pinter, pubblicato nei giorni scorsi dal quotidiano "Il T".

 

di Roberto Pinter

La legge Calderoli per l’Autonomia differenziata non è una buona legge, e anche se il primo passo è stato fatto con la riforma costituzionale voluta dal centrosinistra, nasce più per dividere che per cambiare, oggetto di compensazione rispetto al premierato e di difficile attuazione. E’ giusto provare ad affossarla con un’alleanza ampia che coglie l’occasione per mettere in difficoltà il governo Meloni.

In Trentino, più per partito preso che per convinzione, le destre difendono la legge Calderoli, e le sinistre sostengono il referendum abrogativo. Nessun dibattito, nessun confronto e così l’Autonomia speciale, a quanto pare, non ha nulla da dire o non vuol dire nulla rispetto alla riforma che comunque chiama in causa le Autonomie speciali.

Il problema non è il rischio immediato per la nostra Autonomia, ma quanto si sta registrando nel dibattito o meglio nello scontro in atto in Italia. Perché dalla opposizione al disegno di legge Calderoli si è ben presto passati all’opposizione all’Autonomia differenziata e oggi, a forza di semplificazioni, sono sempre di più gli slogan contro l’Autonomia punto e a capo.

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Una legge civetta e l'autogol del referendum
Il Monte Peralba, visto dalla Val Visdende. Un monte simbolico delle geografie ecosistemiche

A fine luglio si è svolto a Dosoledo (BL) l'incontro di un folto gruppo di persone provenienti dal Trentino, dall'Alto Adige Südtirol, dal Friuli, dalla provincia di Belluno e da altre aree marginali del Veneto per riflettere sulla Regione che non c'è, la regione ecosistemica delle Dolomiti (https://www.michelenardelli.it/diario-di-bordo/2024/07/). Fra le varie questioni ci si è confrontati anche sul tema della riforma Calderoli e sulla proposta di referendum abrogativo che ne è seguita, proponendoci di avviare una discussione per uscire dalla dimensione propagandistica e manichea con cui si sta affrontando questo delicatissimo tema. Con l'intervento dell'amico Giorgio prende dunque il via la pubblicazione su questo blog di una serie di interventi intorno alla questione.

 

di Giorgio Cavallo*

Quale sia il progetto politico a breve-medio termine dell’attuale maggioranza politica che governa l’Italia appare evidente. L’approvazione della legge sulla autonomia differenziata spalanca le porte al più rapido possibile percorso parlamentare per la modifica costituzionale relativa al Premierato e quindi alla definitiva trasformazione della Repubblica. Il progetto Renziano di accentramento del potere governativo troverà così una ben più radicale soluzione e, con molte probabilità il corpo elettorale in un referendum avrà perso molti degli anticorpi di difesa democratica che hanno portato al risultato del 2016 e tutto sommato potrebbe non disdegnare di identificarsi nella semplificazione del “capo”. D’altronde è dagli anni 90 del secolo scorso che abbiamo imparato a votare il leader o la persona (Sindaco, Governatore, preferenza unica, collegi uninominali) e non una proposta politica o amministrativa.

Oggi la sinistra immagina la battaglia contro l’autonomia differenziata come il primo tempo di una partita che poi forse giocherà fino ai supplementari per poter difendere i valori base della democrazia e della Costituzione. Per fare questo però ritiene che il consenso popolare possa derivare da una accentuazione propagandistica dei limiti di una legge squilibrata e di fatto inattuabile, in contenuti e in procedure, attraverso la mitizzazione di conflitti (nord contro sud, ricchi contro poveri) e la riproposizione garantista della efficienza di un percorso di centralizzazione della amministrazione dello stato.

 

Belluno e l'autonomia negata, il documentario
da www.ladige.it

Rimbalza sui social l'opera realizzata dal canale di divulgazione culturale NovaLectio, che con una serie di interviste descrive le allarmanti condizioni sociali in un territorio alpino inascoltato, sofferente per lo spopolamento e la crisi dei servizi pubblici. Una provincia che per anni aveva tentato un dialogo (inascoltato) con il Trentino

di Zenone Sovilla*

Delle battaglie autonomistiche ultra decennali della vicina provincia dolomitica di Belluno l'Adige si è occupato spesso, fin dal primo referendum cosiddetto secessionista. Era il 2005 quando il Comune di Lamon, nell'area sudoccidentale del Bellunese, al confine con le aree trentine del Vanoi e del Tesino, fu l'apripista di una serie di votazioni, su base costituzionale, animate in particolare dal movimento Bard (Belluno autonoma Regione Dolomiti), allo scopo di portare finalmente al centro dell'attenzione del legislatore nazionale la questione di questo fazzoletto alpino pesantemente svuotato di strumenti istituzionali

Dopo Lamon seguirono decine di territori confinanti, specie con il Trentino, ma anche con l'Alto Adige, cioè dell'area bellunese impropriamente denominata "ladina storica", quasi a nobilitarla rispetto ai municipi vicini e appartenente alla medesima minoranza linguistica ma non già all'Impero asburgico.

Nella gran parte dei casi vinsero i sì all'addio alla matrigna Regione Veneto colonizzatrice; ma per ragioni alquanto oscure, l'unico via libera parlamentare fu ottenuto da Sappada, comune germanofono bellunese di nordest che nel 2017 passò al Friuli Venezia Giulia. Una regione, quest'ultima, che peraltro in materia di politiche per la montagna non si distingue gran che dal Veneto, entrambe prevalentemente di mare e di pianura.

Ci fu anche un comune, quello di San Pietro di Cadore, dove in municipio si fece presente l'impossibilità di indire il referendum, perché l'unico confine non bellunese è con l'Austria...

 

Tenere insieme Europa, Italia e Trentino
Paul Klee

di Federico Zappini

Ogni elezione ci offre un’istantanea della realtà. Parziale certo, ma utile per analizzare le cause che hanno determinato una serie di esiti e cogliere i segnali di possibili traiettorie di futuro che – più o meno nascoste – il presente già contiene. Dall'Europa, intesa come dimensione minima per stare al Mondo, al territorio trentino, ovvero il frangente nel quale possiamo impegnare le nostre energie e agire le trasformazioni necessarie.

C'è una finestra di opportunità, secondo me, che va dal 2024 al 2030: non si tratta di un countdown inesorabile ma di uno spazio (anche simbolico, che richiama quell'Agenda 2030 che può e deve rimanere il minimo comune denominatore della nostra visione politica) per mettere le basi di un percorso collettivo. Ci aspettano scadenze elettorali assortite – per noi il Comune di Trento nel 2025, le Politiche nazionali nel 2027, le Provinciali trentine nel 2028 – che bene faremmo a tenere collegate dentro un unico processo politico, punti di emersione di un percorso politico che deve essere necessariamente più profondo, più ampio e più lento.

Ma andiamo con ordine.

Una politica per la montagna. Dopo Vaia, un percorso inedito di coesione sociale
Lavarone, il drago Vaia. Foto di Domenico Sartori

(15 gennaio 2022) E' stato presentato stamane presso il Muse di Trento il documento "Un Green Deal per le foreste dolomitiche". Il documento, sottoscritto da 28 realtà della società civile trentina che insieme hanno dato vita ad un Tavolo di lavoro sul "dopo Vaia", rappresenta un fatto importante almeno per due buone ragioni.

La prima perché indica un'ipotesi di lavoro sul tema delle foreste colpite tre anni fa dal ciclone extratropicale Vaia, andando oltre l'approccio emergenziale che sin qui ha caratterizzato la risposta alla sciagura che in una notte dell'ottobre 2018 ha abbattutto 42.500 ettari di bosco. Quando si parla di ecosistemi forestali occorrono infatti visioni capaci di interagire con i tempi biologici della natura.

La seconda perché indica un metodo inedito di incontro che dal luglio scorso ad oggi ha saputo coinvolgere associazioni di diversa natura in genere collocate su fronti diversi, a partire dalla consapevolezza che la crisi climatica (e Vaia ne è una conseguenza) richiede risposte sistemiche da parte della nostra comunità e dunque una progettualità politica di lungo respiro sulla montagna.

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Domini collettivi: se fosse in loro la ragion pura di eccellenza e autonomia?
Roana, cartello usi civici

di Marta Villa *

Gli spunti proposti dall’editoriale (Corriere del Trentino del 7 febbraio scorso) del prof. Michele Andreaus mi hanno sollecitato: da vent’anni faccio ricerca etnografica nelle Terre Alte documentando e analizzando strategie di adattamento a un territorio liminale, quello montano, e mi sono confrontata con i concetti di autonomia ed eccellenza. Vorrei qui proporre un ulteriore spunto di discussione, dal mio punto di vista, storico-antropologico.

Concordo che queste parole sono sulla bocca di molti, vittime di strumentalizzazioni. Mi inserisco quindi nel dibattito per articolare maggiormente la prospettiva e per rilanciare, guardando al futuro, una declinazione che è stata vetrificata: un ninnolo, certamente, e, aggiungo io, da musealizzare come quegli idola provenienti da culture lontane che, suscitando in noi paure ancestrali, vengono esorcizzati riponendoli all’interno di scatole. Autonomia ed eccellenza invece possono essere parole di una potenza straordinaria, se ricollocate all’interno di processi decisionali partecipati e vitali.

 

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