"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Riprendo questo testo di Leonardo Nesti dal sito www.glistatigenerali.com che mi sembra in sintonia con molte delle mie stesse osservazioni sul referendum di riforma costituzionale sul quale gli italiani si esprimeranno a breve. Mi permetto un solo appunto. Ha ragione l'autore a ricordare come l'idea federalista abbia radici lontane, in primo luogo – aggiungo io –nelle correnti di pensiero che nel Novecento trovarono riferimento in Giustizia e Libertà e nel Partito d'Azione (penso alle figure di Silvio Trentin, nella foto con la figlia, o degli autori del Manifesto di Ventotene come Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi). Malgrado la cultura centralista di buona parte della sinistra italiana, c'è da dire che il federalismo ha trovato successivamente ambiti di testimonianza e di elaborazione. Penso al Movimento Federalista, penso alla mia stessa storia politica, alla sinistra indipendente, alla migliore elaborazione di Democrazia Proletaria, penso ad esperienze locali come Solidarietà dove il pensiero federalista ha rappresentato uno dei tratti costitutivi... e tutto questo ben prima che la Lega se ne appropriasse in maniera indebita. Doveva essere così anche per il PD nel suo intento di raccogliere le migliori tradizioni di pensiero del Novecento e bene fa Nesti a ricordare i riferimenti al federalismo nella carta costitutiva di questo partito, rimasta in effetti (e non solo su questo piano) soltanto un pezzo di carta. (m.n.)
di Leonardo Nesti
(10 ottobre 2016) C'è stato un periodo, in Italia, nemmeno troppo lontano, diciamo qualche anno fa, quando tutti erano federalisti. Il federalismo in Italia è un'idea lontana, che affonda nel Risorgimento, nel dibattito Costituente, nella nascita delle Regioni. Eppure è un concetto che in Italia non ha mai avuto successo.
Il federalismo, spesso declinato anche in maniera piuttosto bizzarra, lo ha poi a un certo punto riportato in auge la prima Lega Nord. In mezzo a un nugolo di idee razziste, retrograde o semplicemente strampalate, la Lega riuscì piano piano a far entrare nel parlamento italiano l'idea che i soldi pagati in tasse sul territorio dovessero restare, il più possibile sul territorio, alimentando cioè il meno possibile il bilancio dello Stato, più o meno quello che avviene per le Regioni a statuto speciale.
di Michele Nardelli
(5 settembre 2016) Come ogni anno da quando è stata istituita, il 5 settembre si celebra la giornata dell'autonomia. Questa però non è una ricorrenza come tutte le altre, ha qualcosa in più per cui merita un supplemento di attenzione.
In primo luogo, perché sono passati settant'anni da quando venne siglato a Parigi l'accordo De Gasperi – Gruber, una felice intuizione che ci ha permesso di contenere il conflitto in questa terra e di sviluppare inediti livelli di autogoverno. Il secondo motivo è riconducibile al fatto che questo anniversario cade nel pieno del dibattito su una riforma costituzionale che, almeno sul piano del rapporto fra stato centrale e regioni, segna a prescindere dall'esito referendario un vistoso passo indietro nella dislocazione dei poteri verso il basso. La terza ragione di attenzione consiste nell'avvio dell'iter per la revisione dello Statuto di autonomia (il cosiddetto terzo statuto) con la formazione della Convenzione in Alto Adige – Sud Tirolo e della Consulta in Trentino, i cui lavori dovrebbero approdare ad una proposta di nuovo assetto statutario.
Prosegue il dibattito attorno ai temi della partecipazione, delle riforme istituzionali e del terzo statuto di autonomia. Su questo blog potete trovare nella home page gli interventi di Alessandro Dalla Torre, Simone Casalini, Roberto Pinter e Vincenzo Calì. In "primo piano" anche un intervento del sottoscritto sul referendum autunnale sulla riforma costituzionale al quale sono seguiti una serie di commenti (in realtà corposi interventi) di Edoardo Benuzzi, Flavio Ceol, Ciro Russo ed altri. In questo caso riprendo il testo che mi ha inviato l'amico Alessandro Branz sui sistemi partecipativi, tema tutt'altro che estraneo rispetto ai nodi veri del voto autunnale. Nella lettera con la quale Alessandro ha accompato il suo testo, ho colto la grande amarezza per il fatto che il dibattito locale e nazionale questi nodi non li abbia voluti affrontare, vivendo con fastidio una dialettica politica che avrebbe potuto essere salutare e che invece si è trasformata in una sorta di plebiscito a favore o contro il Governo Renzi. Nel ringraziare tutti gli intervenuti per aver scelto di entrare nel merito, rinnovo l'invito a considerare questo blog come uno spazio aperto ai vostri interventi. Nella speranza che nelle prossime settimane in particolare il confronto sul terzo statuto cresca in qualità. (m.n.)
di Alessandro Branz *
(1 settembre 2016) Alcuni giorni fa Nicola Lugaresi esprimeva sul Corriere del Trentino la sua viva preoccupazione per il basso livello di partecipazione manifestato da una serie di iniziative promosse dal Comune di Rovereto e da altri soggetti. Si tratta di preoccupazioni fondate e condivisibili, che da un lato sollecitano una riflessione sulle cause del fenomeno (individuate da Lugaresi nell’ormai diffuso “sentimento di rassegnazione e sfiducia” nei confronti della politica) e dall’altro richiamano ruolo e funzionalità degli stessi meccanismi partecipativi adottati, che evidentemente presentano delle lacune se non riescono a coinvolgere più di tanto i cittadini. Ed è proprio da quest’ultimo punto che vorrei partire per alcune brevi riflessioni.
Riprendo con piacere questo pregevole intervento (che sottoscrivo pienamente) di Gianni Lanzinger sul voto referendario di domenica prossima. Una riflessione che vale perfettamente anche per l'autonomia trentina.
di Gianni Lanzinger
Patriottismo costituzionale?
Per alcuni giorni ancora, si vive un'esperienza del tutto nuova nei rapporti tra la gente e le istituzioni: è come se le grandi affermazioni di principio del firmamento costituzionale fossero scese in terra e diventate parte della quotidianità, mescolate con le opzioni personali, le emozioni e le aspirazioni per il nostro imprevedibile futuro.
È un'esperienza di democrazia diretta che la Costituzione del '48 ci ha assegnato per via dell'articolo 138 (una procedura di “appello al popolo” quando la revisione della Costituzione non raccolga in Parlamento la maggioranza dei 2/3).
La ragione di questo chiavistello popolare imposto ai parlamentari era – ed è – chiara: un conto è governare (a maggioranza variabile) ed altro è invece mettere le mani sulla tavola fondamentale del comune patto sociale. Tale è infatti la nostra Costituzione che contiene un nucleo irriformabile (la forma democratica della Repubblica, d'ispirazione autonomista e solidarista).
di Roberto Pinter
(9 agosto 2016) Il dibattito riguardante il referendum sulla riforma costituzionale è partito male e prosegue peggio. Ci sono due schieramenti in campo: chi vuole la testa di Renzi e chi vuole rilanciare Renzi. In mezzo ci sta la maggioranza degli elettori: quelli che non sono interessati, quelli che non conoscono nel merito la riforma, quelli che la voterebbero ma non vogliono più Renzi e quelli che non la voterebbero ma non vogliono far cadere Renzi.
Nessuna discussione di merito che non sia ipotecata dal futuro del governo, ed è un peccato perché del merito si dovrebbe discutere. La colpa è senz'altro di Renzi che fin dall'inizio ha scelto come sfida simbolica questo referendum, convinto che sarebbe stata più facile che scommettere sulla ripresa economica, sulla legalità o sui diritti per tutti, e convinto che sarebbe stato un suo trionfo. Annunciare la riforma delle riforme ed un paese che cambia, poteva essere una facile scommessa, ma in realtà è difficile appassionarsi al superamento del bicameralismo perché nessuno l'ha mai visto come il motivo di un'Italia che non cambia. Allora Renzi ha provato a giocare la carta più comoda, quello del populismo: “riduciamo i politici”! Finendo per scegliere un terreno dove altri sono più capaci, vedi i 5stelle, e finendo per scontentare una sinistra che non si trova a suo agio nell'agitare gli slogan che, quand'anche in parte giusti, finiscono per togliere alla politica il residuo di credibilità.
«Tempi interessanti» (50)
... Il coraggio delle riforme non può tradursi nel combinato disposto fra rafforzamento del potere esecutivo e leggi elettorali ultra maggioritarie. E' cambiato il mondo, dovremmo immaginare nuovi scenari e spazi di azione politica europea (un sistema di difesa integrato che superi gli eserciti nazionali, un quadro di macro regioni europee oltre i confini statuali, un rapporto di cooperazione e di integrazione con l'area mediterranea...); dovremmo riscoprire il valore dei territori come chiave per responsabilizzare gli attori locali e valorizzare quelle straordinarie unicità per le quali questa parte d'Europa è conosciuta nel mondo e troppo spesso svilite e banalizzate; dovremmo agire sulle potenzialità umane affinché la conoscenza diventi il retroterra di una nuova partecipazione civica...
... L'esasperazione dei toni sul referendum d'autunno non ci aiuta a capire. Non c'è nessun golpe in arrivo e, per altro verso, il cambiamento è altra cosa. La riforma costituzionale del governo Renzi non è il “male minore” - come afferma Cacciari - ma semplicemente un approccio sbagliato (e fuorviante) che non ci aiuta ad affrontare i nodi veri che attraversano questo tempo in bilico fra il "non più" e il "non ancora"...
Quello che segue è l'editoriale del Corriere del Trentino di Simone Casalini (domenica 21 agosto 2016)
di Simone Casalini
(21 agosto 2016) Da quando si aprì la falla sulla nave claudicante della Prima repubblica, un argomento più di altri affiorò nel dibattito politico come possibile architrave di un nuovo modello statuale: il federalismo. La ristrutturazione del comparto dei poteri e la valorizzazione delle autonomie locali sono stati vessilli della lunga transizione verso un Eldorado istituzionale mai raggiunto. Non sono mancate le riforme né il decentramento, un processo a singhiozzo che ha introdotto trasformazioni virtuose (responsabilizzazione degli enti locali, decentralizzazione delle decisioni, un’idea di politica territoriale) e distorsioni eloquenti (spese fuori controllo, conflittualità con lo Stato di fronte alla Consulta, assenza di un’armonizzazione su alcuni principi fondamentali).