"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Con lo scritto del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky vorrei aprire in questo spazio un confronto in vista del referendum attorno alla cosiddetta Riforma costituzionale.
di Gustavo Zagrebelsky
(20 gennaio 2016) Democrazia e lavoro sono le radici della nostra Costituzione del 1948. Una cosa è cambiare, un’altra è il come cambiare. Il superamento del bicameralismo perfetto è largamente condiviso, ma siamo di fronte a un testo incomprensibile e al ritorno a condizioni pre-costituzionali.
Coloro che, la riforma costituzionale, la vedono gravida di conseguenze negative non si aggrappano alla Costituzione perché è “la più bella del mondo”. Sono gli zelatori della riforma che usano quell’espressione per farli sembrare degli stupidi conservatori e distogliere l’attenzione dalla posta in gioco.
La posta in gioco è la concezione della vita politica e sociale che la Costituzione prefigura e promette, sintetizzandola nelle parole “democrazia” e “lavoro” che campeggiano nel primo comma dell’art. 1. Qui c’è la ragione del contrasto, che non riguarda né l’estetica (su cui ci sarebbe peraltro molto da dire, leggendo i testi farraginosi, incomprensibili e perfino sintatticamente traballanti che sono stati approvati) né soltanto l’ingegneria costituzionale (al cui proposito c’è da dire che nessuna questione costituzionale è mai solo tecnica, ma sempre politica).
Tempi interessanti (27)
... l'atto politico forse più emblematico, al di là degli effetti concreti che ne verranno, del dibattito sulla riforma costituzionale è stato l'accoglimento da parte del Governo di un ordine del giorno presentato da Raffaele Ranucci (PD) che impegna il governo a prendere in considerazione prima dell'entrata in vigore della riforma, "l'opportunità di proporre attraverso una speciale procedura di revisione costituzionale, la riduzione delle Regioni". In un suo precedente Disegno di Legge, presentato a dicembre del 2014 insieme al deputato romano PD Roberto Morassut, Ranucci prevedeva la riduzione delle Regioni italiane da 20 a 12. Non so quanto questa fosse una proposta del PD o solo di due suoi parlamentari, ma di certo si tratta di una proposta che definire folle è una gentilezza. Per la cronaca, in questa cornice, il Trentino e il Sud Tirolo verrebbero a far parte della Regione Triveneto...
Tempi interessanti (19)
(9 giugno 2015) So di andare controcorrente ma questo non sarebbe una novità. Questa volta ancor più di altre, mettiamola allora così. Di che cosa sto parlando? Mi riferisco al referendum tenutosi domenica scorsa in 55 Comuni del Trentino che ha portato a 15 fusioni. Solo 4 municipi hanno espresso un voto contrario, peraltro con motivazioni – diciamo così – non sempre apprezzabili. Per il resto si è trattato di un plebiscito a favore delle fusioni, con grande soddisfazione della politica provinciale.
Personalmente leggo questo voto popolare a favore delle fusioni come l'ultimo colpo portato all'affossamento della riforma istituzionale varata dalla Provincia nel 2006, un disegno di cambiamento profondo nella dislocazione dei poteri a favore dei territori, abolendo i Comprensori e dando vita alle Comunità di Valle, organismi ad elezione diretta e dunque dotati di autorevolezza politica verso i quali si sarebbe dovuta attuare una cessione di sovranità tanto da parte della Provincia quanto da parte dei Comuni.
Luca Sommadossi è stato negli ultimi cinque anni presidente della Comunità della Valle dei Laghi. Mi permetto di dire un ottimo presidente di una Comunità che in questo tempo ha iniziato a darsi un proprio percorso di riconoscibilità e di autogoverno, attraverso le idee e la capacità di fare comunità, nel coinvolgimento di soggetti sociali che sono diventati i protagonisti di un significativo progetto di rinascita. La sua rinuncia (forzosa) alla ricandidatura rappresenta non solo un fatto negativo che lascia incompleto questo percorso, ma anche il segno di come quella che è stata una delle principali riforme istituzionali in questa terra e che avrebbe potuto dare nuovi poteri ai territori stia venendo affossata. (mn)
«Carissimi, la vita è bella perché non è mai scontata e perché si presenta sempre con strade nuove e inedite da percorrere.
Sapete tutti che stavo lavorando alla formazione di una lista a sostegno della mia candidatura per un nuovo mandato da presidente della Comunità della Valle dei Laghi. Una lista che fosse al contempo espressione delle amministrazioni comunali e rappresentativa della società civile con cui avevamo lavorato in questi 5 anni.
Eravamo ormai giunti alle soglie della presentazione (ringrazio tutti quelli che avevano dato la loro disponibilità). Le amministrazioni comunali non hanno sostenuto questa linea e hanno scelto una strada diversa con una nuova lista e un nuovo candidato presidente. Viste le nuove modalità di elezione indiretta tramite i rappresentanti dei consigli comunali introdotte dalla riforma del novembre scorso era chiaro che questo rendeva praticamente pari a 0 la possibilità di continuare in ulteriori 5 anni di mandato e una mia candidatura non avrebbe fatto altro che creare divisione all'interno della Valle senza alcun risvolto positivo.
di Alessandro Branz*
(28 aprile 2015) Non è certo bello lo spettacolo cui assistiamo a livello politico e parlamentare a proposito dell’approvazione dell’Italicum: la rimozione dei deputati “dissidenti” del PD dalla Commissione affari costituzionali della Camera, la scelta “aventiniana” delle opposizioni, la polemica reciproca infarcita di battute poco edificanti, sono il segno non solo di un controverso cammino della legge, ma anche di uno stato della nostra democrazia perlomeno preoccupante. In realtà quella elettorale non è semplicemente una questione tecnica e non riguarda soltanto i meccanismi di traduzione dei voti in seggi, ma incide profondamente sullo stesso funzionamento delle istituzioni. E’ inevitabile quindi che, dietro i tecnicismi, si possano intravvedere, in maniera più o meno palese, diversi ed opposti modi di concepire la democrazia, la sua qualità ed i suoi effetti. In tal senso vorrei soffermarmi soprattutto su due questioni, che tagliano trasversalmente il dibattito e che, al di là della loro natura apparentemente teorica, presentano delle forti ricadute pratiche.
di Ilvo Diamanti *
(27 aprile 2015) Matteo Renzi sta cambiando non solo la legge elettorale, ma anche il modello di democrazia che contrassegna il nostro Paese. Si tratta, in fondo, di un'osservazione scontata, perché il sistema elettorale è il "primo principio" della democrazia rappresentativa. Attraverso cui i cittadini partecipano alla scelta delle assemblee parlamentari e, quindi, del governo.
L'Italicum, però, delinea, al tempo stesso, una modifica della "forma di governo", perché conduce e induce all'elezione diretta del Presidente del Consiglio. E, insieme, al rafforzamento dei poteri dell'esecutivo a spese del legislativo. Di fatto, anche se non formalmente. Lo ha chiarito, in Commissione Affari costituzionali, alla Camera, Roberto D'Alimonte. Autore della versione originaria dell'Italicum. E l'ha ribadito ieri, sul Sole 24 ore: capo del governo e maggioranza parlamentare saranno decisi direttamente dai cittadini.
D'altronde, se, con le nuove regole, le elezioni garantiranno la maggioranza assoluta non a una coalizione ma a un partito, risulta evidente come il leader del partito vincitore diverrebbe automaticamente "premier". E disporrebbe di una maggioranza "fedele", visto che i capilista di circoscrizione, come prevede l'Italicum, sono pre-definiti. Bloccati. E, dunque, scelti dal "centro". Non si tratta, peraltro, di una novità, perché, da quasi 15 anni, i candidati premier vengono indicati nelle stesse schede elettorali. Insieme e accanto al nome del partito. O della lista. Giovanni Sartori, non per caso, ne ha sempre denunciato l'in-costituzionalità. Perché si tratta di un metodo attraverso il quale si modifica la base "parlamentare" della nostra democrazia. Naturalmente, come hanno chiarito alcuni autorevoli giuristi (Barbera, Ceccanti, Clementi), l'Italicum non prevede cambiamenti sul piano "costituzionale". Ma ne produrrà, sicuramente, sul piano "istituzionale" e politico. Perché il potere legislativo, la fiducia al governo e al premier spetterebbero ancora al Parlamento. Tuttavia, a differenza del passato, anche recente, il leader del partito vincitore non solo diverrebbe, automaticamente, premier. Ma non dovrebbe più sottostare ai vincoli e ai condizionamenti di coalizioni instabili e frammentate. Di leader di piccoli partiti, ma con un grande potere di "ricatto". Si tratti di Mastella, Bertinotti. Di Rifondazione, dell'Udeur oppure della Lega.
di Raniero La Valle
(31 marzo 2015) La nuova Costituzione di destra della Repubblica italiana è stata provvisoriamente approvata dalla Camera dei Deputati il 10 marzo scorso, e ancora non si sa perché.
Dicesi “la nuova Costituzione” perché al di là dell’alto numero degli articoli modificati (più di 50), è l’intera figura della Repubblica che viene cambiata. È ciò che sostengono Bersani, Rosi Bindi e gli esponenti della minoranza del PD, che pure l’hanno votata; ed è ciò che risulta dal passaggio, per nulla secondario, dal bicameralismo al monocameralismo e dal cambiamento di verso del circuito della fiducia, che non correrà più in senso orario dal Parlamento al governo, ma in senso inverso fluirà dal capo del governo al Parlamento, ovvero ai parlamentari che, grazie alla legge elettorale in gestazione, saranno scelti da lui.
Dicesi “di destra” perché nella tradizione linguistica e storica ciò che profitta alla discrezionalità e alla perpetuazione del potere è chiamato di destra, e ciò che profitta alla sovranità popolare e all’equilibrio e sindacabilità dei poteri è chiamato democratico se non di sinistra; e dicesi “di destra” perché la nuova Costituzione è stata scritta di concerto dal governo e dalla destra parlamentare, anche se il 10 marzo per una ripicca politica questa non l’ha votata.
Dicesi “provvisoriamente” perché se i suoi fautori considerano di averla messa per “il 90 per cento in cassaforte” (Ceccanti su Avvenire dell’11 marzo), non è affatto detto che il processo trasformatore continui il suo corso fino alla fine (legato com’è alle sorti del governo: simul stabunt et simul cadent) e non è detto che in ultima istanza esso non sia bloccato dal voto popolare nel referendum, come già avvenne nel 2006 con il rifiuto popolare della Costituzione di Berlusconi.