«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
E' passata più di una settimana dall'incontro tenutosi al Cafè de la Paix di Trento per discutere della situazione siriana. Uscivamo da giorni segnati dal timore per un imminente intervento militare su Damasco e dall'appello di pace espresso da Papa Francesco di fronte ad una Piazza San Pietro gremita, non solo di fedeli. Sono trascorsi pochi giorni, ma ora sembra passato un secolo. Tutto sembra essere tornato dentro i confini della gestione diplomatica. Messo in sordina dai media, sparito dal dibattito italiano, forse dimenticato anche da chi pochi giorni fa si era indignato per un possibile intervento armato internazionale. Ma è davvero così?
L'accordo Usa-Russia che impone (o chiede?) ad Assad la consegna delle armi chimiche sembra rappresentare in questo momento l'unica strada percorribile per evitare l'immediato uso della forza, ma l'impressione è che si tratti più di un espediente per prendere tempo di fronte ad una situazione complessa che non di una soluzione. Si muore forse meno in questi giorni di empasse dentro le città martoriate della Siria? Hanno smesso di fuggire dalla guerra civile i profughi che cercano rifugio in Iraq piuttosto che in Turchia, o che in barca raggiungono le coste italiane? E' meno preoccupante l'instabilità geopolitica che si respira in tutto il Mediterraneo, unita all'assenza sempre più evidente di un'efficace idea politica per la pace e per la mediazione dei conflitti?
(23 settembre 2013) La vittoria di Angela Merkel alle elezioni in Germania è netta ma, a guardar bene, registra anche il suo isolamento. La Cdu-Csu, infatti, non riesce a raggiungere la maggioranza assoluta. E l'esclusione dal Parlamento dei liberali e delle formazioni antieuropeiste fanno sì che il quadro politico tedesco sia destinato a modificarsi, rendendo necessaria una coalizione più ampia con il coinvolgimento al governo dei socialdemocratici.
Alla Cdu-Csu è andato il 41,5% dei voti mentre i socialdemocratici dell'Spd si sono attestati al 25,7% . I liberali della Fdp con il 4,8% perdono dieci punti e restano fuori dal Bundestag, non superando la soglia di sbarramento. Non entra in Parlamento nemmeno il partito antieuro Afd, che ha incassato il 4,7%. Alla Cdu vanno 311 seggi, contro i 192 dell'Spd. Il partito di sinistra Linke ottiene l'8,6% e 64 seggi, i Verdi si fermano all'8,4% e ottengono 63 seggi".
La vittoria della Merkel rischia di rivelarsi meno grande di quel che appare.
di Adel Jabbar
Mentre ordinavo i miei pensieri per scrivere quest'articolo, si è registrata un'escalation della repressione da parte degli apparati della sicurezza nei confronti dei manifestanti in diverse piazze dell'Egitto, causando centinaia di morti e migliaia di feriti.
Quarantacinque giorni di mobilitazione con migliaia e migliaia di manifestanti che denunciavano quello che consideravano un golpe contro l'ex presidente Morsi - effettivamente ne ha tutte le caratteristiche - non hanno suscitato una reazione di condanna nei confronti della casta militare, né da parte degli altri stati arabi, che per la maggioranza hanno invece espresso il proprio assenso, né da parte dei paesi occidentali.
di Rossana Rossanda
(16 luglio 2013) Non faccio parte di coloro che si scandalizzano per il cosiddetto "datagate". Da che esistono gli stati, uno spia l'altro, anche servendosi di persone illustri - Giordano Bruno spiò per l'Inghilterra - giacché sa passare le notizie soltanto chi ne ha accesso e ne comprende la portata. Quando Richard Sorge segnalò il prossimo attacco tedesco, Stalin non vi credette e benché molti antinazisti, specie di categorie superiori e in grado di sapere, abbiano lavorato per i servizi dell'Urss, non si usa dirlo perché il senso della patria, parente prossimo del nazionalismo, ha sopraffatto nel secondo dopoguerra l'internazionalismo del proletariato anche a sinistra; e per molte ragioni che sarebbe interessante esaminare. In ogni modo né Assange né Snowden mi commuovono, specie il secondo che aveva scelto la Cia come datore di lavoro.
Faremmo bene a sapere che viviamo sotto molteplici occhi, e non solo dei servizi stranieri, in una globalizzazione sotto l'egemonia del capitale e in presenza d'una tecnologia che siamo i primi a venerare. La nostra privacy, ammesso che sia un valore, è protetta soltanto dall'eccesso di informazioni che pervengono ai molti che ci controllano, anche attraverso il web, superconfessionale laico, superscenario mediatico nonché sfogatoio universale e garantito dall'anonimato, più e meglio che nel passato. Amen.
Per dire che quel che trovo scandaloso nella faccenda di Alma Shalabayeva non è che Alfano e Bonino non sapessero ma che accettino come cosa normale che ci siano reparti di polizia vestiti di nero con catene al collo, oltre che con diritto di insulto allo straniero (o forse anche all'indigeno), che sono ufficialmente incaricati di catturare ed espellere il tizio o il caio purché "rispettino le procedure".
(3 luglio 2013) Il leader riformista Mohamed El Baradei, il gran imam della moschea e università islamica di Al-Azhar e il papa copto hanno incontrato il generale Abdel-Fattah el-Sissi, capo dell'esercito, che in precedenza aveva incontrato gli alti vertici militari. Il tema era la road map politica per l'Egitto. Lo ha annunciato Khaled Daoud, portavoce del Fronte di salvezza nazionale, principale partito di opposizione egiziano di cui El Baradei è alla guida.
Quello che si profila in queste ore per l'Egitto è uno strano golpe. L'apparizione delle massime autorità morali del paese alla TV di Stato avrebbe dunque il sapore di una sorta di ampia legittimazione popolare dell'intervento dell'esercito nel presidiare i nodi strategici della capitale egiziana.
Piazza Tahrir è colma di milioni di persone che nei fatti hanno tolto il consenso assegnato solo un anno fa ai Fratelli Mussulmani, dimostratisi in questi mesi largamente incapaci di costruire un progetto di coesione nazionale e politica.
Sono tempi strani. Quello che accade in Turchia, in Brasile e ora in Egitto ha qualcosa in comune e non credo facilmente inquadrabile negli schemi precedenti. In fondo non così estraneo alle forme di espressione che abbiamo conosciuto in Occidente a fronte di una politica che fatica a dare rappresentazione ad un tempo nuovo, ferma com'è alle categorie nel secolo scorso.
(11 aprile 2013) Erano in migliaia, qualcuno ha detto quattromilacinquecento persone, ad accogliere il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso in occasione di questa sua quarta visita al Trentino.
Tanta gente festosa ed insieme raccolta, nella leggerezza profonda del messaggio che il leader spirituale del popolo tibetano ha voluto consegnare a questa terra che nel corso degli anni è diventata insieme luogo di fratellanza ma anche di studio e di elaborazione se pensiamo al valore della "Carta di Trento per l'autonomia del Tibet", forse uno dei passaggi più importanti nella battaglia per l'autogoverno del tetto del mondo dal 1959 sotto l'occupazione cinese.
Un'accoglienza che dovrebbe far riflettere tutti noi su molte cose, sulla domanda di spiritualità, sul bisogno di dare coerenza ai comportamenti, sulla necessità che la nonviolenza possa trovare cittadinanza piena nel pensiero come nell'agire politico.
Guarda il video: http://video.gelocal.it/trentinocorrierealpi/locale/in-migliaia-al-palatrento-per-il-dalai-lama/11423/11432