"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Mondo

Ucraina: un nuovo banco di prova per l'Europa
Ucraina

In queste ore la crisi in Ucraina sta prendendo una piega particolarmente pericolosa. Occorre evitare che la prova di forza in atto sulla Crimea provochi un escalation militare delle conseguenze disastrose per tutti. L'Europa deve dimostrarsi capace di percorrere ostinatamente una strada diversa.   

di Michele Nardelli

(28 febbraio 2014) L'Europa è di nuovo alla prova, tanto sul piano della capacità di elaborare la fine del Novecento nel superamento degli stati nazionali, come nel saper mettere in campo la sua forza inclusiva. Gli avvenimenti che in questi giorni stanno sconvolgendo l'Ucraina rappresentano infatti l'onda lunga della disintegrazione dell'impero sovietico (dalla quale sono nati sin qui non meno di diciotto stati riconosciuti o di fatto) e gli effetti altrettanto devastanti del turbocapitalismo che ne è seguito.

Se non ripartiamo da qui, dal formarsi nel secolo scorso di stati plurinazionali e dagli avvenimenti che sono seguiti alla caduta del muro non riusciremo a comprendere appieno il significato di quanto sta accadendo nel secondo più grande stato europeo (perché questo è l'Ucraina), con il rischio di avvallare così le descrizioni superficiali e manichee che vengono date in pasto all'opinione pubblica. 

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Io vorrei essere là.
Nelson Mandela alle Nazioni Unite

(10 dicembre 2013) Nel giorno che le istituzioni internazionali hanno dedicato ai diritti umani, nella grande commozione di milioni di persone ed anche nell'ipocrisia di chi questi diritti li calpesta, si svolge a Johannesburg la cerimonia di saluto a Nelson Mandela. Io vorrei essere là.

Un piccolo omaggio a Madiba.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=bzh3MXJiN0I

 

JFK, il giorno dopo.
Un solo assassino

(23 novembre 2013) La cosa che più mi stupisce nelle celebrazioni del cinquantenario dell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy è come una società che vive nel mito di essere paladina della democrazia nel mondo non abbia affatto elaborato quel che accadde il 22 novembre 1963.

Tanto è vero che ancora oggi il direttore dell'"Assassination Records Review Board" (l'agenzia istituita nel 1992 con il compito di raccogliere e pubblicare tutti i
documenti governativi relativi all'assassinio di JFK) Jeremy Gunn afferma di "non sapere cosa successe quel giorno". Credo sarebbe interessante indagare questa sorta di schizofrenia, il tenere vivo il mito di JFK e lasciare nell'oblio quella pagina oscura della storia americana.

Al di là di come siano andate le cose quel giorno a Dallas - le inchieste e le ricostruzioni cinematografiche hanno fornito un quadro radicalmente diverso da quello della Commissione Warren - possiamo dire che quell'assassinio (e quelli immediatamente successivi di Bob Kennedy e di Martin Luter King) rappresentarono l'azione di una potente lobby militare, industriale e politica trasversale che cambiò il corso della storia in quel passaggio cruciale che ebbe al centro la guerra nel Vietnam e la strategia golpista in Centroamerica e in America Latina.

Mito ed oblio, del resto, hanno accompagnato da sempre la storia americana. Quel che oggi fa specie, a cinquant'anni da quei drammatici istanti in cui s'infranse il "sogno americano", è che quel grande paese non abbia saputo fare i conti con se stesso.

E' incredibile come ritorni, sotto ogni latitudine, il tema dell'elaborazione del conflitto (o della storia) come condizione cruciale per guardare al futuro. 

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Il coraggio del perdono
Nelson Mandela in carcere

"Le persone coraggiose non hanno paura di perdonare per il bene della pace".

Nelson Mandela


"... laddove Jankelevitch ne desume che il perdono diventa impossibile, e che la storia del perdono finisce, là noi ci domanderemo se paradossalmente la possibilità del perdono come tale, se ce n'è, non abbia la sua origine. Noi ci domanderemo se il perdono non cominci laddove esso sembra finire, laddove esso sembra im-possibile, proprio alla fine della storia del perdono, della storia come storia del perdono...

Cenni storici per capire quel che accade in Ucraina
Kiev

(26 febbraio 2014) Quel che sta avvenendo nelle ultime ore in Ucraina è ancora più inquietante delle immagini di scontri e repressione che per giorni e giorni abbiamo visto nelle piazze di Kiev. Unità dell'esercito russo sono entrate in azione a Sebastopoli, sul Mar Nero, dove da anni è insediata una delle più importanti basi navali della Russia, con il sostegno della popolazione che inneggiava alla madre patria e alla secessione. Insomma, è come rivedere un film già visto, dove i simboli etnico religiosi nascondono le contraddizioni tipiche dei paesi post comunisti e leadership corrotte che non hanno mai smesso di fare affari d'oro. Come afferma Francesco Prezzi nella scheda storica che qui riportiamo, sembra proprio che non impariamo mai nulla dal passato, anche recente. Richiederebbe elaborazione più che atteggiamenti manichei. (m.n.)    

di Francesco Prezzi

Pare di capire che la guerra civile nell’ex Jugoslavia non abbia insegnato all’Europa assolutamente nulla. La politica europea in questi anni non ha saputo nemmeno cogliere le primavere arabe, il fallimento delle quali ha provocato l’isolamento della Comunità Europea in un cerchio di fuoco e di guerre civili.

Eppure sarebbe bastato leggere e conoscere la storia di questi paesi per comprenderne il significato. L’iniziativa europea in Siria ha dato come risultato l’aumento del terrorismo, mentre in Ucraina ci si sta drammaticamente avviando verso la guerra civile in un paese che possiede tecnologie nucleari. L’Ucraina, repubblica dell’Unione Sovietica, era anche membro fondativo delle Nazioni Unite.

Forse non tutti sanno che il termine Russia (Russ) nasce a Kiev e non in Moscovia. Non tutti sanno che il cristianesimo di rito bizantino nasce a Kiev e poi si è diffuso nella Moscovia.

Lampedusa, l'indignazione e l'imbarazzo
Lampedusa

"... Il passo di chi è partito per non ritornare

e si guarda i piedi e la strada bianca

la strada e i piedi che tanto il resto manca

e dietro neanche un saluto da dimenticare

dietro soltanto il cielo agli occhi e basta..."

Gianmaria Testa, Il passo e l'incanto


di Michele Nardelli

Indignazione, rabbia, tristezza. Questi sono i sentimenti che nascono dentro ognuno di noi di fronte alla morte di innocenti, come in queste ore a Lampedusa.

Forse però - superata la dolorosa emozione dei primi momenti - è l'imbarazzo lo stato d'animo che dovrebbe trovare spazio nei nostri commenti, nelle nostre prese di posizione. Imbarazzo per il fatto di non riuscire a tutelare la vita di persone - uomini, donne e bambini - che cercano di raggiungere le coste italiane e trovano la morte a poche centinaia di metri dalla meta. Imbarazzo per aver reso il Mar Mediterraneo un luogo ipersorvegliato e non per questo più sicuro per chi lo attraversa, trasformandolo in quella invisibile frontiera che vorrebbe separare le sue due sponde.

Cosa succede in Siria?
Damasco

E' passata più di una settimana dall'incontro tenutosi al Cafè de la Paix di Trento per discutere della situazione siriana. Uscivamo da giorni segnati dal timore per un imminente intervento militare su Damasco e dall'appello di pace espresso da Papa Francesco di fronte ad una Piazza San Pietro gremita, non solo di fedeli. Sono trascorsi pochi giorni, ma ora sembra passato un secolo. Tutto sembra essere tornato dentro i confini della gestione diplomatica. Messo in sordina dai media, sparito dal dibattito italiano, forse dimenticato anche da chi pochi giorni fa si era indignato per un possibile intervento armato internazionale. Ma è davvero così?

L'accordo Usa-Russia che impone (o chiede?) ad Assad la consegna delle armi chimiche sembra rappresentare in questo momento l'unica strada percorribile per evitare l'immediato uso della forza, ma l'impressione è che si tratti più di un espediente per prendere tempo di fronte ad una situazione complessa che non di una soluzione. Si muore forse meno in questi giorni di empasse dentro le città martoriate della Siria? Hanno smesso di fuggire dalla guerra civile i profughi che cercano rifugio in Iraq piuttosto che in Turchia, o che in barca raggiungono le coste italiane? E' meno preoccupante l'instabilità geopolitica che si respira in tutto il Mediterraneo, unita all'assenza sempre più evidente di un'efficace idea politica per la pace e per la mediazione dei conflitti?