"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
«Tempi interessanti» (49)
Il 24 aprile 2013 a Savar, nella grande periferia di Dacca (Bangladesh), crollava come un castello di carte il “Rana Plaza”, un edificio di otto piani che ospitava decine di laboratori tessili, oltre a negozi, abitazioni e una banca. Questi ultimi erano stati in precedenza evacuati per il manifestarsi di crepe nel palazzo, i laboratori no. Morirono 1129 persone, i feriti furono 2515...
... dovremmo sapere che “l'esercito invisibile che solca il mondo” di cui parlava Mario Calabresi su “la Repubblica” non è un tutt'uno indistinto, che gran parte dell'internazionalizzazione si fonda sulla deregolazione più offensiva verso i diritti della persona, che anche nella “banalità del bene” alberga l'insidia dei “civilizzatori” e che non basta aiutare una ong per togliersi di torno la falsa coscienza...
di Razi e Soheila Mohebi
(3 agosto 2016) Durante la manifestazione pacifica del 23 luglio in Kabul, oltre 100 persone hanno perso la vita e più di 500 persone sono rimaste gravemente ferite. Erano studenti universitari, laureati e dottorandi, e appartenevano al movimento "enlightenment" ("illuminazione"). In queste righe provo a descrivere il movimento, la sua nascita e le sue speranze…
Dopo la caduta dei Talebani nel 2001, il popolo Hazara ha scelto la via della formazione e dell’educazione per superare la guerra e soprattutto la cultura della belligeranza che fino a quel momento avevano dominato l’intero paese. Dopo la prima conferenza di Bonn del 5 dicembre 2001, gli Hazara hanno percepito e vissuto in uno spazio limitato che comunque permetteva loro di mandare le proprie figlie ed i propri figli a scuola dopo gli anni bui della guerra civile e dei Talebani. Questo spazio ha permesso loro di fondare le prime scuole autofinanziate dai genitori e di mettere in piedi un modello sostenibile di educazione che riuscisse a sopravvivere anche di fronte alle miopie governative e alla precarietà degli aiuti internazionali.
A cura del Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale, di ACCRI Ong e della Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento
Coordina Mauro Cereghini
Intervengono Jairo Agudelo Taborda, Mario Enrique Vargas Sáenz
di Tonino Perna
(7 giugno 2016) Sapere invecchiare è un’arte. Significa fare i conti con le energie che vengono meno, con la paura del giorno finale, con il rimpianto per “i bei giorni che furono”, come nella nota commedia di Samuel Beckett. Come diceva Noberto Bobbio il brutto della vecchiaia non è solo la memoria che si perde, ma che tutto diventa più lento e faticoso.
L‘Europa è diventata come una vecchia isterica che vive di paure, si fa prendere facilmente dal panico, cerca di esorcizzare la morte che si avvicina imbellettandosi con lustrini di eventi spettacolari, grandi opere e Quantitative Easing. Assomiglia, perdonate il riferimento personale, ad una mia vecchia zia che viveva all’Eur, splendida persona, femminista ante litteram, che dagli anni ’90 ho visto rinchiudersi sempre più in casa, far mettere sbarre alle finestre, porte blindate, e vivere nel terrore degli immigrati e dei rom.
«Tempi interessanti» (44)
... Tornando al Brasile, governare un paese come questo – ce lo ricordava spesso Alberto – è impresa temeraria. Farlo senza una maggioranza parlamentare ha reso l'impresa ancor più difficile. Non farcela, venire sconfitti, poteva dunque essere nell'ordine delle possibilità. Ma finire per effetto dell'intreccio fra affari e politica può solo far arrossire di vergogna. E parlare di “golpe” è da irresponsabili per le conseguenze tragiche ne ne potrebbero venire, in Brasile come in Venezuela.
Quando sapremo fare i conti con tutto questo, invece di continuare a darci risposte rassicuranti? Perché non riconoscere che la cultura dell'avere ha reso l'uomo schiavo delle cose e che la cultura del potere l'ha spinto a separare tragicamente fini e mezzi dell'agire politico?
Sguardi e prospettive della cooperazione nella gestione dei conflitti e negli scenari di guerra
Fondazione Fontana onlus organizza venerdì 22 aprile 2016 presso la Sala Rosa del Palazzo della Regione a Trento, il nuovo seminario della Carta di Trento per riflettere sulle pratiche della cooperazione internazionale nella gestione dei conflitti e negli scenari di guerra.
Scarica la brochure QUI
Un seminario rivolto agli operatori, ai ricercatori, agli insegnanti e agli studenti interessati, indipendentemente dagli ambiti di intervento o di specializzazione.
Questo il programma della mattinata.
Gli interventi umanitari nei contesti di guerra: sguardi e prospettive della cooperazione internazionale
Interviene Luca Jourdan - Docente di antropologia politica all’Università di Bologna. Ha condotto studi in Africa centrale sul rapporto fra giovani e guerra e sul ruolo degli interventi umanitari
La cooperazione internazionale e le nuove frontiere del conflitto: processi partecipativi e risorse ambientali
Interviene Massimo De Marchi - Docente di valutazione ambientale all’Università di Padova, è esperto in processi partecipativi e gestione di conflitti ambientali
La costruzione del nemico e l’elaborazione del conflitto: riflessioni ed esperienze
Interviene Michele Nardelli - Ricercatore sulle tematiche della pace e dei diritti umani, è tra i fondatori dell’Osservatorio Balcani e Caucaso
Ad alta voce: letture alla scoperta di storie di guerra e di pace
A cura di Francesca Sorrentino
Modera Silvia Nejrotti - Fondazione Fontana onlus.
Ripropongo un piccolo racconto scritto cinque anni fa in occasione del 25° anniversario dell'incidente nucleare di Chernobyl. Che inizia in quella notte fra il 25 e il 25 aprile 1986. Oggi sono trascorsi altri cinque anni, di mezzo c'è stato un nuovo referendum e un nuovo "no" alle centrali nucleari, forse definitivo. Ciò nonostante il nucleare ci assedia a nord dell'arco alpino e in tutta Europa (sono 181 i reattori in funzione in Europa e 15 le centrali in costruzione, vedi scheda allegata) e pure in Italia dove non si è ancora risolto il problema dei siti di smaltimento. In un mondo interdipendente l'uscita dal nucleare, così come la fine della dipendenza dai combustibili fossili, appare ben lontana.
di Michele Nardelli
(26 aprile 2011) Erano le ore 1 23' 45" del 26 aprile di venticinque anni fa quando una serie di incidenti a catena determinarono il disastro nucleare di Chernobyl, nella centrale intitolata a Vladimir Ilic Lenin. Era una notte come tante altre, poi una forte esplosione, la sensazione di una scossa di terremoto, la gente di Pripyat che corre alle finestre, un incendio illuminava la centrale dove quasi tutti loro lavoravano, lì a due passi. Ma la centrale nucleare era sicura, dicevano le autorità, e la gente quel giorno continuò a vivere nella normalità. Lo descrive con grande efficacia il regista Alexander Mindadzenel suo V Subbotu, Innocent Saturday nella traduzione inglese, Un sabato qualunque.