"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Domenica 5 luglio la Grecia andrà al voto per dire un sì o un no alla proposta della troika (Commissione Europea, BCE e FMI) per una soluzione alla crisi finanziaria della Grecia. Un passaggio delicatissimo non solo per quel paese ma per l'insieme dell'Europa, il suo presente ed il suo futuro. Mi è sembrato dunque interessante riprendere l'intervista di Georg Blune all'economista e scrittore Thomas Piketty pubblicata nei giorni scorsi dal settimanale tedesco Die Zeit.
DIE ZEIT: Persino i francesi adesso rendono omaggio ai dogmi della politica tedesca del risparmio. Ce ne dobbiamo rallegrare noi tedeschi?
Thomas Piketty: Assolutamente no. Questo non è né per la Francia, né per la Germania e tantomeno per l'Europa un motivo di gioia. Piuttosto ho paura che i conservatori, soprattutto in Germania, siano sul punto di distruggere l'Europa e l'idea europea, e questo proprio a causa della loro spaventosa mancanza di memoria storica.
ZEIT: Eppure noi tedeschi abbiamo avuto modo di riflettere a lungo sulla storia.
Piketty: Ma non avete riflettuto abbastanza sulla cancellazione del debito tedesco! Eppure il suo ricordo dovrebbe essere molto importante per la Germania attuale. Consideri la storia dei debiti pubblici: Gran Bretagna, Germania e Francia sono già state un tempo nella situazione in cui si trova la Grecia adesso, anzi hanno sofferto un debito ancora più alto. La prima lezione che si può trarre dalla storia dei debiti pubblici è che non siamo di fronte a nuovi problemi. Ci sono sempre state molte occasioni per condonare i debiti. E mai solo una, come Berlino e Parigi vogliono far credere ai Greci.
Secondo l’economista statunitense il premier Tsipras non poteva fare altro che ricorrere agli elettori: “La troika sperava che il governo greco avrebbe ceduto o in alternativa si sarebbe dimesso. Non posso biasimare il premier ellenico per aver rimesso tutta la questione nelle mani degli elettori”.
di Paul Krugman, da Repubblica, 29 giugno 2015
Ad oggi ogni monito riguardo a un’imminente frattura dell’euro si è dimostrato infondato. A dispetto di quanto affermato in fase di campagna elettorale, i governi cedono alle richieste della troika, e parallelamente la Bce interviene per calmare i mercati. Tale dinamica ha permesso di tenere insieme la moneta unica, ma ha al tempo stesso perpetuato un’austerità profondamente distruttiva: non lasciate che qualche trimestre di modesta crescita metta in ombra l’immenso costo di cinque anni di disoccupazione di massa.
Dal 29 maggio al 2 giugno 2015 si svolgerà a Trento la decima edizione del Festival dell'economia dedicata quest'anno al tema della "mobilità sociale". Il programma lo potete trovare cliccando qui http://2015.festivaleconomia.eu/programma oppure sul banner dedicato al Festival nella home page di questo sito. L'inaugurazione alle 15.30 del 29 maggio, alla Sala Depero della Provincia.
Il Festival dell'economia compie dieci anni
di Michele Nardelli
(30 maggio 2015) Il festival dell'economia è giunto alla sua decima edizione e non c'è dubbio che si sia trattato di una manifestazione di successo per le decine o forse centinaia di migliaia di persone coinvolte, per la qualità degli interlocutori coinvolti, per l'immagine di questa terra ed infine anche per l'indotto che ne è venuto attraverso il turismo culturale che rappresenta oggi uno dei segmenti più interessanti dell'economia locale.
Pensiamo al valore prodotto nel corso degli anni dalle proposte museali, dal Mart al Castello del Buonconsiglio, dal Museo storico del Trentino a Castel Thun, dal Filmfestival internazionale della Montagna al Festival dell'economia, per arrivare all'esplosione (di visitatori e di idee) in questo primo anno del Muse. Potremmo affermare che grazie alla cultura (e agli investimenti che l'autonomia le ha saputo riservare) il Trentino ha saputo reggere la sfida del tempo e dei cambiamenti di fondo che chiamiamo crisi.
Nel delirio del fare, emerge il valore della parola, della conoscenza, della relazione. Anche quando, le parole faticano a delineare nuovi pensieri e scenari. Vorrei dire che se in questi dieci anni di festival dell'economia qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto è proprio questo aspetto, peraltro non marginale: la capacità di visione.
(13 febbraio 2016) Riprendo questo commento di Luciano Imperadori pubblicato qualche settimana fa dal Corriere del Trentino sulla Riforma delle Banche di Credito Cooperativo. Il decreto emanato in questi giorni dal governo italiano risulta più grave di quanto si potesse immaginare, sopprattutto nella parte che apre la possibilità di privatizzare un patrimonio che in quanto cooperativo andrebbe considerato indivisibile. Sembrano esserci margini di modifica prima della conversione in sede parlamentare, ma per questo è necessaria una forte mobilitazione per evitare lo snaturamento di un patrimonio culturale prima ancora che economico.
di Luciano Imperadori *
La cosiddetta riforma delle Banche di Credito Cooperativo, Casse Rurali, rischia di distruggere in un solo colpo 130 anni di storia. Una riforma che finora è stata trattata solo nelle stanze romane senza il coinvolgimento dei soci. Non c'è da stare allegri. Sull'onda degli "scandali" di Banca Etruria e altre si rischia che passi questa controriforma in nome della stabilità, ma i pericoli invece rischiano di aumentare.
Tempi interessanti (10)
Nella società dell'immagine, dove tutto si gioca alla velocità della luce, realtà ed apparenza si confondono fino a non saper più distinguere il falso dal vero. Accade così che in un recente sondaggio alla domanda "Sentite di avere un maggiore controllo sul vostro futuro finanziario?" il 44% degli italiani intervistati (un campione di due mila persone) abbia risposto positivamente, qualche punto in più rispetto alla precedente rilevazione. Sufficiente per far dire ai media (e alla politica interessata ad incassare consenso) che l'Italia sta volgendo al meglio. E questo nonostante gran parte dei dati reali indichino livelli record di disoccupazione (il 12,7%, mai così alta dal 1977), il 43,9% di giovani senza lavoro, una crescita produttiva pari a zero, ampie fasce sociali a rischio di impoverimento. Strani effetti mediatici, ma nel comune sentire c'è aria di ripresa.
Dal 23 al 27 ottobre si è svolta a Torino una nuova edizione del Salone internazionale del Gusto - Terra Madre. Quello che segue è l'intervento di Carlo Petrini.
di Carlo Petrini
(6 novembre 2014) In tanti anni abbiamo visto cambiare il focus del mondo sull’alimentare italiano che prima era su Cibus, che mostrava la potenza di un’industria alimentare prepotente. Ma che è cambiata, anche grazie a noi, e ora le nostre industrie del cibo possono andare nel mondo senza paura di fare brutte figure sul fronte etico, ne hanno guadagnano di prestigio. Con Slow Food, Salone e Terra Madre è cambiato tutto: basta pensare allo spazio del cibo in tv, al fatto che non c’è Comune che non sia orgoglioso di una cipolla, di un peperoncino, di un prodotto che è simbolo di identità, diventa mito. E non si costruisce nessuna forza senza il mito; e il mito, a volte, è anche un prodotto semplice in cui comunità intere vedono il lavoro dei loro padri, il valore di un territorio, e creano il mito che dà forza all’economia. Ha fatto bene il Salone del Gusto a trasformarsi, dal 1996, in modo internazionale: senza essere sciovinisti, accogliendo e mostrando tutte le comunità del cibo del pianeta abbiamo portato il mondo a Torino.
E io vorrei che Expo 2015 a Milano fosse un po’ anche questo: se “se la canta e se la suona” sulla potenza dell’Italia, non va bene. Serve più umiltà: l’Italia accolga il mondo, e non per i suoi prodotti, ma per i suoi contenuti, perché o questa Expo, nei pochi mesi che mancano, si costruisce una vera anima che ancora non ha, o altrimenti avremmo sì i capannoni a posto, ma non riusciremo a passare alla storia.