"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Riporto questo articolo di Barbara Spinelli pubblicato su la Repubblica. Non lo condivido, ma ritengo che possa costituire una chiave di lettura di quel che è avvenuto nelle ultime settimane. Riservandomi di commentarlo nei prossimi giorni.
di Barbara Spinelli
C'era una volta Italia Bene Comune, ovvero Italia giusta: in mezzo a una crisi economica mai vista dopo il '45, la sinistra sembrò cercare la parola, che la squadrasse da ogni lato. Giustizia non era solo sociale. Comprendeva diritti che proprio in tempi di disagio la persona possa accampare. Che siano fondamentali: irrinunciabili come i primi 12 articoli della Costituzione. In fondo non basta chiamarli diritti: meglio parlare di autodeterminazione del cittadino, come dei popoli. Gli inglesi usano il termine empowerment: padronanza di sé. Nata da un accordo fra Pd e Sel, la Carta d'intenti di Italia Bene comune denunciava "i guasti del pericoloso bipolarismo etico" invalso per un ventennio.
di Michele Nardelli
In queste ore il confronto politico ruota attorno alla questione se sia giusto oppure un errore dar vita ad un governo di larghe intese. Perché in effetti quello che si va tessendo, peraltro con indubbia capacità di mediazione da parte di Enrico Letta, è un governo politico che potrebbe durare ben oltre il tempo necessario per una riforma del sistema elettorale.
La domanda insistente che corre in rete è se sia lecito, oltre che utile, fare un governo con il PdL dopo aver detto in campagna elettorale "mai con Berlusconi". Io stesso in questi giorni ho immaginato che l'unica possibilità per evitare di ritornare al voto con la stessa legge elettorale potesse essere un governo di scopo, ovvero un esecutivo a termine con alcuni punti qualificanti sui quali potesse esserci una convergenza di natura istituzionale. Incontrando, anche su questo piano, non poche perplessità.
di Michele Nardelli
(21 aprile 2013) Giorgio Napolitano è stato rieletto Presidente della Repubblica. Il voto a larghissima maggioranza dei grandi elettori chiude con una scelta solo qualche giorno fa imprevedibile una delle pagine forse più difficili e delicate di questo paese, tanto è vero che il secondo mandato presidenziale rappresenta un inedito nella storia repubblicana.
Certo. La figura di Giorgio Napolitano non può che rappresentare un elemento di equilibrio in una fase di grande instabilità. Al tempo stesso dobbiamo dirci senza infingimenti che questo passaggio rappresenta la risposta ad una situazione di emergenza e di crisi profonda della politica, non la soluzione.
Il PD sceglie Franco Marini come candidato alla presidenza della Repubblica. L'esito è che non verrà votato da una parte significativa dei parlamentari del suo stesso partito. Che salta il patto politico con Sinistra Ecologia Libertà. Che una eventuale soluzione della crisi avverrà con le larghe intese... Così questo passaggio potrebbe trasformarsi in una sorta di pietra tombale su un partito che appare sempre più incapace di interpretare questo tempo e di immaginare scenari nuovi.
In questo caso non sarà per colpa di Renzi, che pure continua a non piacermi. Ma l'effetto di una persistente incapacità di comprendere quel che sta accadendo, di un peso insopportabile dei destini personali su quelli collettivi, di una malintesa cultura di governo che non sa elaborare la sconfitta.
Testimonia, al fine, che la ragione fondante del Partito Democratico, l'idea di fluidificare pensieri e culture politiche provenienti da percorsi diversi in una nuova sintesi politica, è rimasta sulla carta. E considerato che quelli di prima non funzionano più, credo sia giunto il tempo di ripartire da quella scommessa perduta (m.n.)
di Raniero La Valle
Un papa che si fa chiamare Francesco suscita prima di tutto un moto d'incredulità: no, non è possibile che sia un Francesco. Infatti nessun papa prima si era fatto chiamare così, e ciò perché a partire da quando era ancora in vita Francesco d'Assisi, Francesco e il papa hanno rappresentato due archetipi, due figure diverse dell'essere cristiano. Da quando il papa, a partire dalla "rivoluzione papale" dell'XI secolo, è stato costruito dalla tradizione romana come sostituto di Dio e supremo signore terreno, a cui dovesse essere "sottomessa ogni umana creatura", nessun successore di Pietro avrebbe potuto osare chiamarsi Francesco.
(4 marzo 2013) Che la caduta del governo Prodi nel 2008 fosse avvenuta attraverso il passaggio di alcuni senatori dalla maggioranza di centrosinistra al centrodestra lo sapevano tutti. Che questa operazione fosse stata orchestrata dall'allora capo dell'opposizione Silvio Berlusconi attraverso promesse e prebende era facilmente intuibile. Ma che il passaggio di singoli senatori compiacenti fosse avvenuto attraverso il lauto compenso individuale di tre milioni di euro nel ventre molle di parlamentari dell'Italia dei Valori o di altri partiti del centrosinistra, si configura come un una sorte di golpe bianco.
Quello reso pubblico dall'ex senatore De Gregorio, infatti, non si configura semplicemente come un gravissimo episodio di corruzione. Se, con l'avvento del costituzionalismo, il colpo di stato si configura come un "mutamento del governo attuato in violazione della costituzione legale dello Stato" (Utet), quello che ha interrotto la XV legislatura assume i caratteri di una forma particolare di colpo di stato laddove al sovvertimento violento del potere costituito si sostituisce lo strumento della corruzione al fine di sovvertire l'espressione di voto degli elettori italiani.
Nemmeno questo servirà a modificare l'orientamento politico di quel 29% di italiani che hanno votato Silvio Berlusconi nonostante le menzogne, il voto di scambio e il suo fervore mussoliniano. E francamente non so se essere più preoccupato per la natura eversiva di questo personaggio o per il cuore di tenebra che vien fuori da questo paese marcio dentro. (mn)
di Michele Nardelli
Dell'esito del voto mi sconcertano in particolare tre cose. La prima è che un terzo dell'elettorato ritenga che Berlusconi sia l'uomo politico che meglio possa rappresentare questo paese, che il signore di Arcore si sia fatto con le proprie mani, Mussolini fosse un grande statista che ha fatto qualche errore, Ruby la nipote di Mubarak e l'Imu potesse venir restituita a chi l'ha pagata. Il fatto è che Berlusconi rappresenta meglio di chiunque altro non solo un certo modello sociale e culturale, ma anche la nostra parte peggiore e talvolta inconfessabile, tanto da mentire anche sulle intenzioni di voto. Un paese malato, che non ha saputo elaborare nulla della sua storia novecentesca e delle sue pagine più nere. E nemmeno di quel che è accaduto nella "seconda repubblica", fra ritorno della P2 e stragismo, cultura plebiscitaria e scasso istituzionale, demolizione del welfare e solitudine sociale. Quel che scrivevo nelle ore precedenti il voto, si rivela alla luce dell'esito elettorale in tutta la sua gravità.