«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
I trentini hanno detto No al referendum della Lega e le Comunità di Valle hanno un futuro
Queste sono due buone notizie, ma ce n'è una meno buona ed è che bisogna lavorare molto bene per far sì che le Comunità siano viste e vissute come bene comune.
Cento mila trentini si sono recati nelle urne per dire Sì alla abrogazione delle Comunità. Sono la metà del numero degli elettori che erano andati a votare nell'ottobre del 2010, ma non è la metà degli stessi, ad esempio i 17 mila Sì di Trento, e ci sono sicuramente elettori che non avevano eletto le Comunità. Ma è comunque un dato con il quale fare i conti. Pochissimi quelli che hanno votato No, meno di quelli che avevano dichiarato che avrebbero difeso le Comunità anche con il voto. Tantissimi hanno detto NO al referendum della Lega astenendosi dal voto ma tanti sono anche quelli che sono rimasti estranei alla consultazione e anche con questi bisogna fare i conti. Non siamo in un periodo dove la partecipazione politica viene considerata un dovere e i venti del rifiuto della politica sono forti.
di Ulrich Beck e Daniel Cohn Bendit
(3 maggio 2012) Un Anno europeo di volontariato per tutti - per tassisti e teologi, per lavoratori e disoccupati, per manager e musicisti, per insegnanti e allievi, per scultori e sottocuochi, per giudici della corte suprema e cittadini anziani, per uomini e donne - come risposta alla crisi dell'euro!
I giovani d'Europa non sono mai stati così istruiti, eppure si sentono impotenti di fronte all'incombente bancarotta degli Stati-nazione e al declino terminale del mercato del lavoro. Tra gli europei con meno di venticinque anni, uno su quattro è disoccupato. Nei tanti luoghi in cui hanno allestito campeggi e lanciato proteste pubbliche, i giovani defraudati dei loro diritti rivendicano giustizia sociale. Ovunque - la Spagna, il Portogallo, i paesi del Nordafrica, le città americane o Mosca - questa domanda sale con grande forza e grande fervore. Sta montando la rabbia per un sistema politico che salva banche mostruosamente indebitate, ma dilapida il futuro dei giovani. Ma quanta speranza può esserci per un'Europa che invecchia costantemente?
(17 aprile 2012) Nel fondo di oggi del Corriere del Trentino, una lucida analisi di Simone Casalini sul Congresso del Partito Autonomista Trentino Tirolese.
«... Difficilmente vedremo un soggetto politico unitario capace di raccogliere le aree dell'autonomismo e del cattolicesimo democratico (Unione per il Trentino)».
(30 luglio 2012) Si continua a parlare di crisi. Anche oggi in Consiglio Provinciale, quand'anche a vanvera... Così posto su Facebook qualche veloce considerazione su una crisi che dovremmo considerare normalità e che richiede un cambio di pensiero. Ne esce un dibattito tutt'altro che banale.
di Michele Nardelli
Più passa il tempo e più mi convinco che il concetto di crisi sia fuorviante per descrivere il presente. Dovremmo capire che quella con cui abbiamo a che fare non è affatto una contingenza bensì la normalità che pure fatichiamo ad accettare. Non ci sarà nessuna ripresa, nessun treno al quale agganciarsi,... nessuna competitività (a parità di prodotto) da conquistare... perché la crisi di cui si parla ha come cornice la globalizzazione dei mercati e una finanziarizzazione che devasta l'economia produttiva. Che pure avviene seguendo contesti di omologazione e di deregolazione.
E allora? Allora non andiamo da nessuna parte ad inseguire una dinamica impazzita. Occorre piuttosto uno scarto di pensiero.
di Michele Nardelli
(1 aprile 2012) Nei passaggi della storia non è facile orientarsi, si è in un contesto nuovo ma la testa è nel passato, lo sono le categorie di analisi, lo è il nostro sguardo, lo sono le stesse parole che usiamo. Occorre cambiare, ma questo richiede apertura di pensiero, studio, fantasia. Si misura qui la capacità della politica di interpretare il proprio tempo. Non di assecondarlo, rincorrendo gli avvenimenti, riducendosi a mero strumento di ricerca del consenso, ma di essere capace di visione, di fare sintesi fra istanze e sensibilità diverse, di farsi carico responsabilmente.
Incontro per strada un'amica che mi lancia da lontano una battuta, parole che mi sconcertano. "Per fortuna che c'è il PD nazionale" mi dice mentre la saluto e non ho nemmeno il tempo di ribattere perché già se ne è andata. No, non era un complimento. Si riferiva piuttosto alla questione della ventilata proposta di mettere mano in Trentino al nodo del reclutamento del personale nel contesto dell'autonomia scolastica. La Provincia, per bocca della sua assessora all'istruzione e del suo presidente, ha detto che è tempo di cambiare. Qualcuno del PD si è subito messo di mezzo, chiamando in causa il partito a livello nazionale, coperta di Linus un po' consunta ma evidentemente ancora utile per una politica ferma nei suoi stanchi rituali.
di Michele Nardelli
(5 aprile 2012) Dopo Berlusconi, anche Bossi è costretto a farsi da parte. La sua vicenda sembra finire nel peggiore dei modi, vittima di quella stessa questione morale che negli anni '90 ne aveva favorito l'ascesa.
Umberto Bossi, al di là delle apparenze, non è stato affatto un fenomeno da baraccone. Grazie proprio all'intuizione del suo padre padrone, la Lega ha rappresentato in questi anni un fatto politico moderno, capace di interpretare forse più di ogni altro questo improvvido tempo.
Il tempo dello spaesamento, il tempo della solitudine sociale, il tempo del rancore, il tempo dell'egoismo, il tempo del disprezzo verso la cultura. La Lega ha saputo parlare alla pancia di una società che andava perdendo rapidamente i propri riferimenti sociali e culturali, in piena sintonia con la "locanda" delle volgarità e dell'invidia. Chi votava Lega era in larga parte la povera gente.
di Massimo Giannini, da www.repubblica.it
(21 marzo 2012) "Niente birra e panini al numero 10 di Downing Street", era il motto di Margareth Thatcher ai tempi della storica vertenza con i minatori inglesi. Nella Gran Bretagna di Iron Lady con i sindacati non si trattava. Trent'anni dopo, nell'Italia di Mario Monti le porte di Palazzo Chigi sono aperte: con le parti sociali si tratta, e si è trattato a lungo in questi giorni e in queste settimane. Ma il risultato pratico è lo stesso.
Se i "corpi intermedi" della società condividono le scelte, tanto meglio. In caso contrario, il governo va avanti comunque. Lo strappo si è dunque compiuto. Il presidente del Consiglio ha deciso di scrivere la sua riforma del mercato del lavoro sacrificando la Cgil. Un sacrificio pesante, e gravido di conseguenze. È ancora una volta l'articolo 18 a segnare un decisivo cambio di fase, che modifica strutturalmente non solo le relazioni industriali, ma anche le consuetudini politiche del Paese.