"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Riprendo volentieri questo intervento dell'amico Marco Revelli scritto all'indomani della manifestazione torinese a favore della TAV apparso sul sito https://volerelaluna.it. Successivamente e in tempi più recenti la risposta popolare è venuta dalla manifestazione svoltasi sempre a Torino ma di segno opposto che ha certamente avuto un numero ben superiore di partecipanti ma non lo stesso rilievo mediatico. (m.n.)
di Marco Revelli
Giuro che non volevo credere ai miei orecchi lunedì sera quando ho sentito a Otto e mezzo, una delle magnifiche sette madamine torinesi “organizzatrici” della manifestazione in Piazza Castello, Patrizia Ghiazza, dichiarare bellamente di ignorare tutto delle problematiche tecniche e ambientali relative alla discussa linea del TAV Torino Lione. Ha detto proprio così: “posso assolutamente dire che non siamo, né io né le altre organizzatrici, competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera”.
Il fatto è che la manifestazione di cui figuravano come promotrici Patrizia Ghiazza e le altre chiamava in causa – forse a loro insaputa, ma indiscutibilmente – proprio il merito delle ragioni tecniche e ambientali dell’opera, per dire che era giusta e buona, e che la si sarebbe dovuta assolutamente fare pena la rovina della città e della Regione.
di Francesco Prezzi
(1 dicembre 2018) Dopo l’ondata di eccezionale maltempo si tende a sottovalutare il fenomeno e ad archiviarlo come evento straordinario, che probabilmente non accadrà più. Si ragiona con una logica emergenziale, preoccupati di trovare risposta a domande del tipo: dove sistemare la massa legnosa? come collocare le radici degli alberi e le foglie delle conifere cadute? Aspetti questi non banali, ma che non approfondiscono le ragioni del perché sia accaduto un simile disastro che ha coinvolto migliaia di ettari di bosco dal Trentino-Alto Adige/Süd Tirol, al Veneto e al Friuli.
Si è parlato, certo, del riscaldamento climatico, dell’effetto serra prodotto dall’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera e della necessità di tagliare l’emissione del biossido di carbonio per superare il fenomeno. Cosa per altro tutt'altro che scontata, considerato che questo significherebbe mettere in discussione l'attuale modello di sviluppo e che di ridurre e riqualificare i consumi proprio non se ne parla.
Dovremmo inoltre considerare che il riscaldamento climatico è l'effetto di un insieme di fattori e di alcuni di questi proprio non se ne parla. Voglio dire che la riduzione delle emissioni di anidride carbonica è importante ma non sufficiente e un po' semplicistica, non tenendo conto che la radiazione solare arriva sulla Terra principalmente nella banda dell’ultravioletto e della luce visibile e viene riflessa nella banda dell’infrarosso. I gas formati da tre o più atomi (biossido di carbonio, metano, ecc) hanno moto molecolare che entra in risonanza con le onde all’infrarosso, riflettendole sulla Terra. Energia che non può essere dissipata nel serbatoio vuoto dell’Universo.
di Raniero La Valle *
Riprendo questo scritto dell'amico Raniero La Valle perché ritengo, pur da non credente, che lo sguardo proposto ci indichi una prospettiva di alto profilo per affrontare questo tempo. Credo altresì che una storia sia finita e che, in mancanza di un'analisi critica della modernità i cui grandi paradigmi sono stati lo stato-nazione e le magnifiche sorti dello sviluppo, ben difficilmente sapremo imparare dal passato e immaginare il futuro. Non tutto è stato scritto e a questo credo dovrebbe servire il tagliando. (m.n.)
(29 novembre 2018) Sono già passati 18 anni dall’inizio del secolo, e anzi del millennio, e le cose avvenute sono tali per cui è diventato urgente fargli il primo tagliando, per capire dove sta andando, e se bisogna lasciarlo andare così.
Era cominciato, il millennio, nella percezione di un grande cambiamento. Con molta retorica era stato celebrato l’Anno Santo del Duemila, stava cominciando l’euro e stava debuttando, col suo nuovo nome di Eurozona, l'Europa, il comunismo non c’era più e il capitalismo stava prendendo il potere in tutto il mondo promettendo libertà e benessere, all’occidentale, per tutti. Grandi (e piccoli) uomini e donne avevano chiuso il passato, ancora appartenendovi, senza sapere o poter aprire il futuro: Paolo VI, papa Wojtyla, Berlinguer, Gorbaciov, e ancora la signora Thatcher, quella che voleva far tornare l’Iraq all’età della pietra, cioè a prima di Babilonia e di Ninive, il Bush del “nuovo secolo americano”, gli autori del Trattato di Maastricht che avevano scelto l’economia al posto della politica e come sovrano il denaro al posto del popolo. In ogni caso però c’era la sensazione profonda di un principio: a Roma si era istituito addirittura un Assessorato che si chiamava “Roma cambia millennio” e si fecero studi e un convegno internazionale per vedere che cosa si dovesse lasciare e che cosa portare con sé nel passaggio dall’una all’altra epoca; poi Rutelli e il cardinale Ruini decisero che bastava così e tutto fu chiuso.
(10 dicembre 2018) Come sappiamo, oggi è il 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (vedi pdf allegato). Non amo le giornate mondiali, né gli anniversari, carichi come sono di retorica e di richiamo formale. E anche questa scadenza, così in evidenza per quanto sta accadendo intorno a noi, non si sottrae. Perché mentre assistiamo, sotto ogni cielo, alla fine dell'umanesimo in nome del “prima noi”, non possiamo altresì non vedere quanto lo stesso umanesimo sia stato «ipocrita e povero di mondo». Ipocrisia alla quale non intendo dare il mio contributo nemmeno oggi, in questa giornata che ne potrebbe celebrare semmai il fallimento. O forse non ci siamo accorti che l'arancia blu sta diventando rossa in nome delle magnifiche sorti progressive dello sviluppo? E che una terza guerra mondiale è in corso che condanna ogni giorno all'oblio una parte consistente dell'umanità? Preferisco affidarmi a queste parole, tratte da “Il mancino zoppo” (Michel Serres, Bollati Boringhieri, 2016), nella speranza che ci aiutino a comprendere l'urgenza di un cambiamento profondo del nostro modo di pensare e di vivere. E di un «nuovo umanesimo».
di Domitilla Melloni *
«Percepiamo gli altri come un’insidia al nostro spazio vitale. E se il nostro spazio è misero, il tasso di aggressività verso di loro diventa ancora più alto».
Questo, leggermente parafrasato, è il passaggio che più mi ha colpito del brano che ho postato ieri su FB. Il libro da cui è tratto (Sicurezza, di Cereghini e Nardelli) è da leggere e non ha solo passi bui, come quello che ho citato. Anzi, è un libro pieno di idee e di segnali indicatori verso vie d’uscita possibili. (Ma niente spoiler).
Quello che mi preme è sottolineare questa relazione fondamentale tra la miseria dello spazio in cui viviamo e la nostra aggressività verso gli altri.
Ringrazio Enrico Franco, già direttore del Corriere del Trentino, per questo articolo. Veder riconosciuto il proprio impegno fa sempre piacere. Contestualmente devo prendere atto con rammarico nel veder venire meno uno degli elementi essenziali della cultura istituzionale, laddove la funzione legislativa, come sottolinea Enrico, dovrebbe spettare all'Assemblea consigliare e ,aggiungo io, le leggi approvate si dovrebbero applicare, oppure cambiare o abrogare. Alcuni dei provvedimenti legislativi di cui sono stato primo firmatario e approvati dal Consiglio Provinciale sono rimasti infatti lettera morta. I Presidenti del Consiglio dovrebbero esserne garanti. (m.n.)
di Enrico Franco *
Mentre a Trento e Bolzano i presidenti delle Province autonome cercano di comporre il mosaico delle rispettive giunte, con difficoltà diverse ma in entrambi i casi con più tessere a disposizione rispetto ai posti da riempire, gli aspiranti a uno scranno sgomitano. Lo fanno non solo per ambizione e per una più o meno sana brama di potere, ma anche perché convinti che altrimenti sarebbero condannati a cinque anni di irrilevanza.
In nome dell’efficienza di governo, infatti, l’azione dell’esecutivo si è estesa sempre più, al punto che di fatto ha assorbito quasi totalmente anche la funzione legislativa. I consiglieri, così, si sentono ridotti a parti in commedia, chiamati ad alzare la manina quando richiesto, senza concrete possibilità non solo di veder approvato un proprio disegno di legge, ma perfino di riuscire a modificare quelli portati nell’Aula dal governatore o dagli assessori.
E' uscito oggi il nuovo rapporto Censis sulla situazione sociale italiana nel 2018. Come da molti anni il Censis offre uno sguardo piuttosto realistico non solo della condizione sociale ma anche degli orientamenti e delle dinamiche culturali della popolazione. Forse mai come in questa occasione, una fotografia graffiante e disperante di un paese che dal rancore passa alla cattiveria, oltremodo legittimato dall'esito delle elezioni del marzo scorso. Ne riprendo alcuni passaggi in attesa di una lettura più attenta. (m.n.)
Da un’economia dei sistemi verso un ecosistema degli attori individuali
Nell'ultima parte dell'anno scorso e nella prima parte di quello che si va chiudendo, il miglioramento dei parametri economici, la fiducia delle famiglie e delle imprese, le positive dinamiche industriali e dell'occupazione facevano percepire la possibilità concreta di vedere completato il superamento della crisi e dei dubbi sul nostro modello di sviluppo. La ripartenza poi non c'è stata: è sopraggiunto un inciampo, un rabbuiarsi dell'orizzonte.
Guardando agli ultimi mesi, segnati da un rallentamento degli indicatori macroeconomici, da un volgersi al negativo del clima di fiducia delle imprese, da un impoverimento del vigore della crescita, dal rinforzarsi di vecchie insicurezze nella vita quotidiana e dal costituirsene di nuove, verrebbe da pensare che tutto arretra. Specie se si guarda, nella cronaca quotidiana, al rapido affermarsi della convinzione che siamo oggi nel bel mezzo di un annunciato ritorno a una economia dello «zero virgola qualcosa».