"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

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Gli alberi caduti e la comunità che semina il proprio futuro
Alberi

di Federico Zappini *

Scrivo queste righe mentre ancora non si è esaurita la coda dell’allarme maltempo che da giorni tiene in scacco il Trentino insieme a diverse altre regioni italiane. Fuori dalla porta della libreria cade ancora qualche goccia di pioggia. Sul divano della libreria Petra e Adele – le mie due figlie – capiscono solo in parte la causa delle loro prolungata assenza da scuola. Incrocio sui social network le cronache appassionate di amministratori locali che guidano e monitorano, mani e piedi nel fango, i tentativi di rimettere in esercizio vie di comunicazione interrotte, riattivare servizi di base come luce e acqua non garantiti in alcuni casi da giorni, elaborare la conta dei danni e – compito ingrato e doloroso – offrire sostegno a chi ha subito dei lutti.

Siamo quindi ancora nel campo precario di ciò che avviene immediatamente dopo un fenomeno traumatico che impatta su un territorio e sulla comunità che lo abita. Si interrompe il flusso normale della vita. Si incrinano le certezze banali e pur fondamentali della quotidianità. Soffrono le istituzioni – politiche, sociali ed economiche – che ne regolano il funzionamento.

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Sicurezza. Dalla paura a un nuovo umanesimo
Il libro

Da Radio Articolo 1 un'intervista sull'uscita del libro "Sicurezza"

 
(4/10/2018) Un prezioso volume di Michele Nardelli e Mauro Cereghini, per svelare le ambiguità di un termine abusato, e le sue possibili declinazioni in un'ottica progressista, solidale, comunitaria. A cura di Emiliano Sbaraglia
 

Un altro mondo è possibile? Un altro mondo è necessario…
Terre

di Federico Zappini *

Si può pensare seriamente di disinteressarsi di una tornata elettorale che riguarda il territorio che si abita, decidendo di osservarla con totale distacco? E’ possibile sorvolare sulle differenze fra le proposte politiche in campo accettando di rimanere alla superficie del dibattito pubblico? La risposta a entrambe le domande è ovviamente no, a meno che non si voglia tentare – inutilmente – di contraddire l’adagio che recita: “se non ti occupi della politica sarà lei ad occuparsi di te”. Non esiste però un unico modo di avvicinarsi al voto (o al non voto, anch’esso un diritto) e fondamentale è proprio il “come” si può – o si sarebbe potuto, o dovuto – approcciare le elezioni provinciali ormai imminenti.

Annunciate come storiche (da qualcuno per la discontinuità che dovrebbero generare, da altri per i danni che potrebbero arrecare al Trentino) appaiono invece deboli proprio nella capacità di determinare innovazione. Da un lato perché tendono a riproporre il ricorrente – e non del tutto onesto intellettualmente, perché totalmente semplificatorio – scontro tra non populisti e populisti, tra europeisti e antieuropeisti, tra buoni e cattivi. Dall’altro perché il grande assente, pur se richiamato in molti modi, è proprio il futuro. É paradossale che la stessa malattia, la retrotopia – un’utopia dallo sguardo bloccato rivolto al passato – , colpisca i due principali fronti che si sfidano, accomunandoli nell’incapacità di uno sguardo visionario e prospettico, progettuale e non emergenziale.

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I migranti di Riace e il sindaco che Salvini insulta
Riace nel 2001

E intanto sono due anni che il Comune deve ricevere fondi che gli spettano, rischiando il dissesto secondo quello che sembra un piano preordinato

 

Era il Capodanno del 2001. In uno dei nostri primi viaggi del turismo responsabile andammo con l'amico Tonino Perna a visitare Riace ed in particolare l'esperienza degli amici di Città Futura impegnati nell'accoglienza e nella valorizzazione del territorio. L'idea era davvero interessante: ridare vita ad un borgo abbandonato da una parte significativa dei propri abitanti emigrati al nord o in altri paesi attraverso la concessione delle abitazioni in comodato d'uso a chi voleva mettere nuove radici in quella terra e riattivare antichi mestieri che si andavano perdendo. Noi stessi in quell'occasione venimmo ospitati in una di queste abitazioni altrimenti vuote, concretizzando in questo modo anche una diversa idea di offerta turistica. Ricordo in particolare lo stupore di noi tutti di fronte alla bellezza dei manufatti artigianali che venivano dalla lavorazione della ginestra, una delle tradizioni che Città Futura aveva fatto rivivere. In quella circostanza conoscemmo anche Domenico Lucano che di quell'esperienza era l'animatore. Mimmo non era ancora sindaco, ma ci rimase impresso il suo fervore vulcanico che aveva come caratteristica in primo luogo l'amore verso il territorio. Ora Mimmo, nel frattempo diventato Sindaco di Riace, è stato arrestato per aver perseguito con risultati positivi quell'idea di accoglienza, tanto da divenire un simbolo e un modello anche in altri paesi. Riprendo qui l'articolo pubblicato nel giugno scorso con il quale Tonino Perna faceva trasparire un cattivo presagio che poi si è tristemente avverato. Quando in quegli stessi giorni siamo stati con il “Viaggio nella solitudine della politica” nelle “Terre dell'osso” volevamo andare ad incontrare anche Mimmo nella sua Riace, ma non ce l'abbiamo fatta. Tonino ora mi propone di andare a dicembre in Calabria a presentare “Sicurezza”. Sarà l'occasione per un nuovo itinerario e per riabbracciare con l'amico Tonino anche Mimmo Lucano, al quale in queste ore buie va tutta la mia vicinanza e solidarietà. (m.n.)

 

di Tonino Perna *

In un’intervista del ministro Salvini a Repubblica.tv, diventata virale sui social, il leader della Lega invitato dall’intervistatore a mandare un messaggio al sindaco di Riace “Lucano” ha testualmente risposto: «Al sindaco di Riace non dedico neanche mezzo pensiero. Zero. È lo zero».

Questa risposta si commenta da sé e il ministro dovrà risponderne di fronte ai calabresi, ai meridionali e a tutti le italiane e gli italiani che in questi vent'anni sono venuti a Riace per tirare una boccata di ossigeno, per scoprire come si possa convivere tra tante etnie e culture diverse, per vedere con i propri occhi quello che un grande regista tedesco ha dichiarato di fronte a dieci premi Nobel per la pace: «A Riace, un paesino della Calabria, ho scoperto la vera civiltà e quale potrebbe essere il nostro futuro». È successo nel 2009, nella ricorrenza del ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, quando Wim Wenders, dopo aver girato un docufilm su Badolato e Riace, ha così esordito stupendo la stampa di mezzo mondo.

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Nel gorgo della Diamond Route (3)
Agostino Zanotti nel giorno dell'inaugurazione del luogo della memoria sulla Diamond Route

Il terzo racconto breve è ambientato nella Bosnia centrale, nei pressi di Gornji Vakuf, teatro venticinque anni fa di una tragica vicenda dove persero la vita Sergio Lana, Fabio Moreni Guido Puletti, tre volontari italiani che cercavano la pace1

 

di Michele Nardelli

«Nell'epoca della globalizzazione

la guerra non è più monopolio degli stati nazionali

né, come voleva von Clausewitz,

“la continuazione della politica con altri mezzi”.

Al suo posto c'è un altro tipo di violenza organizzata,

in cui confluiscono ragioni militari e criminalità,

economia illegale e violazione dei diritti umani...»

Mary Kaldor

Le nuove guerre

 

Non so quale fosse la ragione per la quale l'UNPROFOR2 avesse chiamato così quella strada sterrata nella Bosnia centrale, forse per via della miniera di Radovan cui si poteva accedere proprio attraverso la rotta che collegava Prozor a Travnik lungo il torrente che scende dalle pendici della Vranica.

Di certo c'era che quella strada avrebbe dovuto essere sotto il controllo delle Nazioni Unite e dunque percorribile per i convogli umanitari. Ma in quegli anni imparammo che il vecchio ordine stava proprio per finire, che nelle nuove guerre non ci sarebbero state nemmeno formalmente delle regole cui attenersi e che il monopolio della violenza non sarebbe più stato riconducibile alle sole istituzioni statuali, figuriamoci in un paese dove le vecchie istituzioni erano svanite come neve al sole.

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La leonessa della Lijeva Obala (2)
Jasna

Il secondo dei racconti brevi che prendono spunto dal percorso formativo “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa”1

 

di Michele Nardelli

 



«La Commissione di indagine sui crimini di guerra delle Nazioni Unite

presieduta da Tadeusz Mazowiecki, nel suo rapporto del 1994,

ha dichiarato che la distruzione sistematica della comunità bosniaca

nell'area di Prijedor merita il nome di genocidio».

Luca Rastello

La guerra in casa”



In un primo momento non voleva incontrarci. Troppo tempo trascorso nel silenzio, troppe delusioni, fors'anche una sorta di – peraltro reciproco – senso di colpa. Anni nei quali le speranze di una nuova vita dopo la tragedia che aveva segnato quella precedente si sono infrante in una dura quotidianità che non ti riconosce nemmeno il dolore, che di nuovo ti respinge e ti discrimina, che ti fa sentire sola, che ti fa capire quanta ipocrisia e falsa coscienza ti circonda.

Finiti gli anni del fervore, quando nel ritorno e nella ricostruzione ti dicevi “malgrado tutto sono ancora qui” e ti sentivi forte di questo e sapevi guardare negli occhi chi ti aveva cacciata e che ora faceva finta di nulla, non è facile trovarsi a dover fare i conti con una realtà dimezzata, negli affetti più cari che se ne vanno e con gli amori che non riescono più a nascere.

C'è un sole ancora caldo a Rizvanovici, uno dei villaggi sulla riva sinistra del fiume Sana, nel territorio della municipalità di Prijedor. Malgrado l'apparente normalità e i fiori alle finestre, ancora si scorgono qua e là i segni di quei tragici giorni della primavera del 1992 in cui venne raso al suolo senza risparmiare nulla, nemmeno i cimiteri o le strade, l'acquedotto o i pali della luce. Nella “Lijeva Obala” si contarono circa millecinquecento vittime. Jasna scappò attraverso i boschi tenendo per mano i suoi due figli piccoli. Una storia simile a quella di tante altre donne.

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Piero Del Giudice, il partigiano con la Bosnia nel cuore
Sarajevo, 5 aprile 2012, Piero Del Giudice e Nicole Corritore (Foto © Tullio Bugari )

Dopo una breve malattia, il 30 agosto è morto a Milano Piero Del Giudice. Docente, giornalista e scrittore, inviato nei paesi della ex Jugoslavia, curatore di edizioni italiane dell’opera di diversi poeti e scrittori del sudest europeo è stato anche collaboratore di OBC Transeuropa. Un ricordo dal sito www.balcanicaucaso.org

di Melita Richter *

Era uno dei grandi. Un appassionato, collerico, visionario, schierato dalla parte delle vittime e della ragione, competente e pronto sempre ad approfondire, a conoscere, a dedicarsi alla ricerca. I Balcani nel cuore, la Bosnia, la sua Sarajevo. Era e rimane un partigiano.

L’ultima volta che lo vidi a Trieste si muoveva con difficoltà, ma con l’eterno spirito giovanile. E tanti progetti ancora. Abbiamo collaborato in diverse occasioni, chiedeva l’aiuto, anche quello “alla Piero”, immediato, di contatti balcanici, di traduzioni istantanee… Si accaldava se le cose stentavano a partire, critico e severo. Un fiuto fine a riconoscere i nazionalismi anche camuffati da posizioni dotte degli intellettuali su misura del nuovo corso, ma vecchie ideologie.

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