«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
di Fabio Pipinato
(30 marzo 2011) L'emergenza a Lampedusa? É un'occasione unica per riconoscerci italiani, europei ed euromediterranei.
Italiani. Ieri a Lampedusa si aveva sete. Oggi si ha fame. Per rispondere all'emergenza è inutile tardare la riallocazione dei migranti in altri luoghi per scoraggiare l'arrivo di ulteriori. Finché nelle nostre TV, trasmesse in metà mondo, si vede che da un pacco spuntano centomila euro e le pubblicità, interrotte dai film, sono intrise di auto e case di lusso non vi sarà alternativa. Le carrette solcheranno i mari. L'occasione è, a 150 anni dall'Unità d'Italia, di solidarizzare con la regione più in difficoltà: la Sicilia. Ripartiamo da Marsala, quindi, e "facciamoci carico", in ogni ente locale, di quota parte dei migranti. L'Italia conta 8.000 enti locali. Concentrare i migranti in alcuni di essi equivale ad accentuare tensioni mentre una distribuzione capillare in tutto il territorio nazionale si può trasformare, per dirla con Napolitano, in forza e freschezza per il paese.
di Michele Nardelli
(23 marzo 2011) Ben prima che iniziasse la "primavera dei Gelsomini" e quando ancora con il regime di Gheddafi si facevano accordi commerciali e finanziari, come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani abbiamo messo al centro della nostra attenzione il tema della "Cittadinanza Euromediterranea", un programma annuale fatto di storie non raccontate, di saperi venuti dal mare, di pensieri privi di cittadinanza e di geografie da scoprire. Non avevamo la sfera di cristallo. Perché abbiamo pensato questo percorso ricco di oltre cento iniziative? La risposta è semplice, provare a costruire gli anticorpi culturali allo "scontro di civiltà", a partire dalla consapevolezza che le culture che si sono incontrate nel Mediterraneo hanno molte più cose in comune di quelle che le distinguono.
Poi un giovane tunisino di nome Mohammadi al Bouzizi...
di Michele Nardelli
(20 marzo 2011) Quello che accade in Libia in queste ore ha ben poco a che fare con la rivoluzione dei gelsomini. In Tunisia, in Egitto e in tanta parte del mondo arabo milioni di giovani donne e uomini hanno scelto di riprendere nelle loro mani il proprio destino. Mani nude, con gli strumenti della comunicazione elettronica e del passa parola, con la forza del sorriso e l'orgoglio della dignità, senza simboli religiosi né bandiere del Novecento. La forza di questa primavera era ed è nella nonviolenza.
La Libia è un'altra storia, che abbiamo già visto mille volte. Ed anche l'epilogo di queste ore è nella scia di quella storia. La piega degli avvenimenti ha assunto sin dai primi giorni i caratteri della rivolta e della repressione, dello scontro di potere fra clan e interessi forti, difficile distinguere gli insorti dalle milizie di Gheddafi. E dopo aver esitato per settimane su cosa sarebbe stato più conveniente - non dovremmo dimenticare le prime reazioni dei nostri governanti - la scelta da parte dei potenti della terra è stata quella dei bombardamenti.
Tutto sbagliato, si potrebbe dire. Prima gli affari, la realpolitik del gas e del petrolio, l'idea della Libia come paese offshore nel Mediterraneo e, già che ci siamo, anche le amazzoni del dittatore non guastano. Poi, quando le truppe di Gheddafi erano già nel centro di Bengasi, il tardivo via libera delle Nazioni Unite alla No-fly zone, la coalizione dei volenterosi, i bombardamenti. E così, fra le proteste dell'Unione Africana, della Russia, della Germania, il divieto di volo dei caccia libici (a questo punto sostanzialmente inefficace) diventa guerra, punto e basta. E allora ritornano i rituali. Sarà lampo, chirurgica, per la difesa dei civili e naturalmente per la libertà. Vedremo come andrà a finire. Ma ieri come oggi, la guerra è sempre una sconfitta.
Intanto, gli avvenimenti di Libia gettano un cono d'ombra sulla primavera araba. Dove parlano le armi, vincono i fondamentalismi.
(25 luglio 2012) Oggi ci siamo svegliati tutti un po' più soli. Non perché questo mondo va alla deriva, la Terra ha molte risorse e troverà anche questa volta il modo per uscirne, cambiando. Ma perché un uomo come Alberto Tridente da ieri sera non è più con noi.
Se il concetto di "cittadino del mondo" esprime un modo di essere che sentiamo nostro, nel caso di Alberto si può dire che lui era proprio così, un cittadino del mondo. Alberto ha vissuto in sintonia con i cambiamenti, con le pagine più belle, con la lotta per il riscatto degli ultimi, ma anche con le sconfitte e le tragedie, che hanno attraversato il Novecento, con lo sguardo attento di chi sa guardare alle cose della vita con dolcezza, curiosità e tenacia.
Perché Alberto amava la vita, perché era un costruttore instancabile di relazioni, perché ci ha insegnato a leggere il mondo e a comprenderne la bellezza. Insieme abbiamo attraversato, come mi scrivevi nella dedica sul tuo ultimo libro, tanta parte del Novecento. In questo lungo cammino, caro Alberto, sei stato davvero un maestro per tutti noi.
(4 marzo 2011) Il direttore de L'Adige parla di fallimento dell'integrazione. Un gruppo di cittadini trentini, autoctoni e non, gli rispondono.
di Adel Jabbar, Erica Mondini, Bruna Travaglia, Aicha Mesrar, Renzo Bee, Dario Andreas, Maria Cecilia Campillo, Silvana Cecconi, Selma Costa, Tafa Dieng, Annalisa Michelotti, Irene Suarez Borda, Daniela Amelia Sogno
L'editoriale di Pierangelo Giovanetti su l'Adige del 13 febbraio trattava un tema importante che merita, secondo noi, di essere ripreso e approfondito. Il direttore del giornale partiva dall'assunto che i modelli di integrazione degli immigrati in Europa (multiculturalismo e assimilazionismo) sono falliti e quindi necessita un nuovo approccio.
(21 luglio 2013) Il 24 luglio 2012 ci lasciava Alberto Tridente, fraterno amico e compagno di tanta parte del Novecento, come scrisse nella dedica della sua autobiografia che mi donò in occasione del nostro ultimo incontro. In questi giorni Alberto viene ricordato in Messico e avrei dovuto anch'io essere lì. Purtroppo non ce l'ho fatta ma almeno ho trovato il tempo per scrivere un ricordo di Alberto che ho inviato agli amici di quello straordinario paese e che vorrei condividere con tutti voi.
(13 febbraio 2011) Quello che sta succedendo nel mondo arabo e in particolare in Tunisia e in Egitto, come nello Yemen, in Giordania, in Algeria, sta a dimostrare che è terminato un periodo nel quale quasi tutti i paesi arabi hanno convissuto con la paura. Hanno convissuto con la repressione, spesso feroce, con sistemi assolutamente autoritari, dittatoriali, dispotici, con una componente di corruzione molto evidente, con dei regimi che hanno escluso per anni buona parte della popolazione dalla partecipazione alla vita pubblica e politica, non solo impaurendo ma anche impoverendo. (...)